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Compiti per le vacanze PDF Stampa E-mail

17 Giugno 2015

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Ora, se una irricevibile lista di banalità diviene motivo di riflessione, oggetto di unanime elogio e poi causa di notorietà di chi la stila, ciò significa che lo stato della cultura e della scuola italiana è in totale decadenza.

Sto parlando dei "compiti per le vacanze" del Prof. Catà che, va detto, sono un tentativo   mal riuscito di porre rimedio al totale distacco di tanta parte della scuola italiana con la realtà e il senso stesso dell'insegnamento, che deve essere "segnamento interiore", cioè accensione del senso critico mediante l'esempio e l'emozione e non con le fredde prescrizioni stile ricetta medica.

Vediamo perché malriuscito: la lista di Catà si apre, al primo punto, con una "contraddizione performativa" cioè "siate felici", approccio più avanti ribadito con "siate allegri". Questo tipo di "ricerca" della felicità rammenta quell'affaccendarsi frivolo e superficiale, percepito come un obbligo sociale al quale adeguarsi, tra faccine e selfie, tra i quali si perdono tanti giovani d'oggi. Non ha senso una felicità suggerita o imposta con un imperativo. Poi, se il compito è essere felici, non si capisce perché questo scopo debba essere raggiunto con la contemplazione del mare al tramonto piuttosto che con una pomiciata estemporanea in discoteca.

Anche l'invito a non preoccuparsi per la tristezza e lo spavento è socialmente deleterio. Catà incolpa l'estate di tale sensazione, perché "l'estate mette in subbuglio l'anima". A parte il biologismo spicciolo, quanto forse inconsapevole, di questo approccio, è proprio tale tristezza e preoccupazione che dovrebbe essere colta dal ragazzo nel suo essere intimamente "sensata". Catà avrebbe potuto invitare a riflettere (ad occuparsene) sulle motivazioni psicologiche e sociali di tale insoddisfazione invece che invitare a non preoccuparsi.

Se "l'estate è una danza ed è sciocco non farne parte", come deve sentirsi chi non ha voglia di danzare? Questo inno alla spensieratezza, profuso a piene mani nella lista, è totalmente acritico e per di più incurante del processo di crescita come definizione e accettazione della propria individualità, al di là di cosa sia considerato sciocco da altri.

La luce sfavillante, le rondini, lo stare in silenzio all'alba ad occhi chiusi, tutto ciò che Catà propone, sa di spiritualità new age, di introspezione a buon mercato, che va a compensare quella perdita di sacralità che è la cifra della nostra epoca. La "medicina" di Catà è un palliativo, un farmaco che allevia i sintomi e perciò prescriverlo è tanto colpevole, come un antidolorifico somministrato ad un cavallo prima del galoppo. Alla fine l'organismo risulta depotenziato dalla cura.

Dalla lista di Catà trasuda un perbenismo borghese, rassicurante e mieloso ("non dite parolacce, siate educati"). Se questi compiti fossero tutti compiuti, ci ritroveremmo con dei "bravi ragazzi", totalmente incapaci di incazzarsi con questa società, inconsapevoli del loro ruolo di rinnovatori politici e sociali, dei quali avremmo estremamente bisogno. E le vacanze estive sarebbero soltanto innocui momenti di svago, aventi la funzione di ricaricare le pile degli automi che il sistema vuole e crea inoffensivi e inconsapevoli, pronti a settembre a riaccettare il condizionamento buonista.

Don Bosco, vero ghost writer di questa lista di compiti e figura di riferimento della scuola nella quale Catà insegna, è un modello molto parziale di crescita del giovane, che deve essere emendato con altri modelli, i quali vadano oltre le istanze di pacifica convivenza sociale e di generica attenzione a ciò che non è mera materia.

Leggendo la lista ci si augura che sia stata pensata per i ragazzi del primo o del secondo liceo, ai quali andrebbe comunque stretta, in quanto a profondità. Se è stata scritta per chi sta leggendo Nietzsche, Freud, Marx e Spinoza, risulta offensiva. Vi sono dei pensieri che perfino nel Libro Cuore suonerebbero come buonisti. Sembra emergere un totale scollamento del professore dalla realtà del mondo giovanile di oggi, in un tentativo di vicinanza amicale che invece ha il risultato caricaturale di approfondire le distanze.

 

Matteo Simonetti 

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