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1 Agosto 2015

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Da Rassegna di Arianna del 29-7-2015 (N.d.d.)

 

1) Il fenomeno delle migrazioni è l'ineluttabile conseguenza dell'istaurarsi del nuovo ordine mondiale scaturito dalla globalizzazione. Ma questa sorta di unificazione globale ha come fondamento l'universalizzazione della forma merce. Se il progresso è il motore della storia, non si comprende a quale forma di emancipazione del genere umano possa condurre la globalizzazione. L'immigrazione quindi porterà progresso ed emancipazione?

Esiste un progresso materiale e tecnologico, non morale né politico. Se partiamo da un presupposto sbagliato, sarà sbagliato l’intero castello di considerazioni. L’immigrazione, risolvendosi concettualmente in migrazione permanente (spostarsi da un capo all’altro del mondo diventa talmente possibile da risultare preferibile, viste le drammatiche condizioni economiche e lavorative di tutti, a cominciare dai giovani occidentali), porta dritto e di filato ad un mondo di sradicati, instabili e precari esistenziali. Socialmente e psicologicamente, è il contrario dell’emancipazione: è alienazione. A meno di non considerare il reddito, cioè il superamento della fame, come unico scopo valido della vita. La fame è il bisogno e la leva dell’immigrazione di massa, ma non si può fare di un problema un ideale collettivo.

 2) L'emigrazione delle masse del terzo mondo verso l'occidente è dovuta all'impoverimento ed ai conflitti nei paesi d'origine provocati dall'occidente a guida americana. L'emigrazione non rappresenta l'incipit di un processo di trasformazione globale che finirà per coinvolgere anche i paesi più evoluti? Lo sviluppo dell'economia globale, sia nel campo produttivo che in quello finanziario, che comporta continue delocalizzazioni di risorse materiali ed umane, non genererà in futuro un nomadismo produttivo universale cui l'umanità sarà condannata per sopravvivere?

Era quanto accennavo già nella risposta alla prima domanda. Il cliente perfetto per l’economia globale è un produttore/consumatore uguale e identico su tutto l’orbe terracqueo, che non solo compra, ma possibilmente anche contribuisce a produrre gli stessi prodotti, conducendo lo stesso stile di vita e adeguandosi alla stessa ideologia di fondo. Di qui viene l’imperativo categorico di omologare tutti, dal Primo al Terzo Mondo, al falso ideale del “migrante”: ciascuno di noi può esserlo, perché ogni luogo è interscambiabile con un altro purché ci fornisca un lavoro con relativa paghetta, mutuo e weekend di decompressione. Chiaramente stiamo parlando in prospettiva, ma è una prospettiva già delineata e, per quanto riguarda i ragazzi che si rifugiano all’estero per sbarcare il lunario (fuga di cervelli, o anche solo di braccia), già abbondantemente in atto.

 3) Al fenomeno dell'immigrazione è naturalmente connesso il problema dell'integrazione dei migranti nelle società occidentali. Integrazione significa condivisione della cultura e dei valori civili del paese ospitante. Ma mi chiedo come sia possibile chiedere ai migranti di credere in valori etici e ordinamenti politici a cui gli europei hanno smesso di credere da almeno mezzo secolo ad oggi. Inoltre, occorre domandarci se noi saremmo disposti ad integrarci nelle società dei paesi islamici, asiatici o africani. Provocatoriamente mi chiedo: se le masse di immigrati provenissero dall'Inghilterra o dagli Usa pretenderemmo la loro integrazione nella società italiana?

Ovviamente no, perché la società italiana è stata colonizzata culturalmente dal mondo anglosassone. Concordo con l’altra affermazione: ha poco senso pretendere che gli immigrati aderiscano ai nostri supposti valori, dal momento che noi per primi non ci crediamo più. Quel che io propongo è cercare di riattivare la capacità di generare valori attuali e forti attraverso la partecipazione fattiva alla vita politica e sociale, da parte degli stranieri che vivono qui stabilmente, e da parte nostra. Una sorta di obbligo civile di attivismo, sul territorio, nelle associazioni o in politica, l’importante è che si attesti che si fa qualcosa di operativo per la società. La democrazia è democrazia solo se i cittadini, e gli aspiranti tali, agiscono per migliorare la vita di tutti. Altrimenti è solo una parola vuota, una crocetta sulla scheda, un paravento per risucchiare schiavi a buon mercato dall’estero.

4) In tutte le epoche si sono verificate migrazioni di popoli dai vari continenti. Dal conflitto e/o l'incontro tra popoli diversi sono nate nuove civiltà. Non riesco a comprendere quale nuova civiltà possa scaturire da un mondo che non riconosce più le diversità e non comprende più l'esistenza dell'altro da sé.

La nostra è la civiltà più incivile mai esistita, proprio perché vorrebbe negare, schiacciare, reprimere e rimuovere ciò che ci rende umani: la differenza. Se diventiamo tutti uguali, diventiamo più simili alle macchine. Non è il viavai di genti diverse il problema: è renderlo la regola e lo strumento per stravolgere le diversità culturali. Ecco perché la globalizzazione è un male in sé. E sottolineo che è stata un salto di qualità enorme rispetto alle migrazioni pre-industriali, che erano numericamente contenute e mai giustificate e alimentate da un’economia mondializzata, che non c’è mai stata fino, appunto, all’industrialismo e all’accelerazione degli ultimi cinquanta-trent’anni.

5) La società differenzialista che verrebbe a generarsi a seguito di massicce ondate di immigrazione sarebbe costituita da vari popoli distinti in comunità autonome che preserverebbero in una sorta di apartheid pluri - comunitaria la propria identità. Ma tale società, non si identifica con quella del melting pot, in cui le singole comunità divengono parte integrante di un sistema capitalista stratificato in funzione del ruolo produttivo svolto nel contesto economico - sociale? Il differenzialismo non darebbe luogo ad un ordinamento di natura feudale - castale in cui i singoli popoli verrebbero identificati in base ai ruoli (per lo più subalterni), nella logica della ottimizzazione dell'impiego delle risorse umane nel contesto produttivo?

Anzitutto sgombriamo il campo dall’equivoco in cui cadono in molti: il differenzialismo è l’esatto contrario del razzismo, perché il primo mette le differenze sullo stesso piano, il secondo assume un’identità come superiore alle altre e ne fa un uso discriminatorio e predatorio. Una soluzione possibile, sempre che avessimo voglia di ripensare il nostro modo di vivere, sarebbe un ordinamento elastico e intelligente in cui il popolo ospitante accoglie limitatamente stranieri attribuendo ad ogni comunità diritti e doveri in base ad accordi mirati. È un po’ quel che si faceva nel vituperato Medioevo col regime dei privilegi. Tranquillizzo gli agitati: nessun ritorno al passato. Ma sinceramente non vedo in quale altro modo governare la convivenza se non organizzarla da una parte rispettando le culture altre, dall’altra subordinandole alle esigenze di chi ospita. È un multiculturalismo, questo, diverso da quello sperimentato per esempio in Gran Bretagna, perché presuppone l’abbandono della way of life capitalistica e consumistica che svuota ogni comunitarismo. Il mio, insomma, è prima di tutto un discorso contro il nostro sistema di vita e di valori.

6) Sono assai ricorrenti le grida d'allarme che incitano alla difesa dell'occidente dalle migrazioni - invasioni quali minacce alla civiltà occidentale. In tale ottica, l'occidente sarebbe dunque vittima di nuove invasioni barbariche. La mia opinione è invece che attraverso le guerre di aggressione degli USA e dei loro alleati europei in Asia e Africa, si sia verificata una brutale riviviscenza del vecchio colonialismo occidentale, che si credeva consegnato alla storia. Infatti, attraverso le guerre, l'impoverimento, lo sfruttamento indiscriminato delle materie prime e del capitale umano attuato mediante le delocalizzazioni industriali e le ondate migratorie, con cui si sono formati immensi "eserciti industriali di riserva", l'occidente americano afferma la sua spietata supremazia economica, politica e militare. L'immigrazione è la manifestazione più evidente di un neocolonialismo economico e culturale su scala globale che non ha precedenti nella storia. Lei cosa ne pensa?

È il salto di qualità di cui dicevo prima. La globalizzazione, ultima e definitiva incarnazione del capitalismo fondato sulle crescite esponenziali, crea di continuo i marxiani “eserciti industriali di riserva”, masse di schiavi salariati sempre meno salariati e sempre più sfruttati sull’altare del profitto. Questi ragazzi che sciamano in Europa per trovare una sistemazione e rifarsi una vita sono le prime vittime del nostro modello di sviluppo. Vittime e carnefici di se stesse, abbindolate dal nostro immaginario di benessere straccione. Vendono l’anima per uno smartphone. E così facendo diventano esattamente come noi, che l’anima l’abbiamo già venduta. La sinistra dovrebbe rileggersi Marx, invece di star dietro ai buoni sentimenti un tanto al chilo della badessa Boldrini. Il boldrinismo è l’altra faccia del salvinismo. Meglio Marx e Nietzsche (“postulare l’uguaglianza in una società di schiavi salariati vuol dire aver perso completamente la testa”), addirittura – pensate come siamo messi – meglio la Svizzera, che di recente, con uno dei suoi referendum, ha risposto picche a Bruxelles che avrebbe voluto farle abolire il diritto a mettere un tetto ai lavoratori stranieri. Ogni Stato, finché è uno Stato, ha il pieno diritto alla sovranità e a ospitare chi gli pare e piace, senza diktat dall’esterno per far piacere alle oligarchie finanziarie e industriali apolidi.

 

Alessio Mannino 

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