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Economia del dono PDF Stampa E-mail

4 Settembre 2015

 

 Da Appelloalpopolo del 2-9-2015 (N.d.d.)

 

Marcel Mauss (1872–1950) antropologo, sociologo, etnologo e storico delle religioni, fu uno dei padri fondatori dell’etnologia francese. Nel suo testo più famoso, Saggio sul dono (1923) descrive la socialità del dono all’interno delle comunità arcaiche e primitive da lui studiate ed espone alcune tesi fondamentali sulla natura dello stesso. Nelle società arcaiche il dono è obbligatorio e presenta le caratteristiche essenziali del “dare, ricevere, ricambiare”. Si deve “dare” per ostentare potenza e ricchezza; si è obbligati a “ricevere”, cioè a non rifiutare il dono, pena la condanna della comunità e il disonore; si deve “ricambiare”, cioè restituire alla pari o aumentare ciò che si è ricevuto, dato che rendere meno di quanto è stato accettato è un’offesa al donatore. Gli individui delle società arcaiche sono quindi socialmente obbligati a donare per rispettare un vincolo comunitario e un punto di onore. Inoltre, il dono non è magnanima concessione del singolo, non è disinteresse. Chi si sottrae al rito e non è capace di reperire e possedere oggetti da immettere nel ricircolo del dono, viene diseredato dal gruppo, emarginato socialmente. Di contro, se il donatario rifiuta il dono o non lo ricambia in modo congruo, incrina i legami con la famiglia del donatore, suscita rancori che possono durare tutta una vita.

L’obbligatorietà del donare nelle relazioni sociali che inducono a contraccambiare, pone la socialità del dono all’interno della nozione di utile. È nell’interesse del donatore il donare e del donatario il contraccambiare. Il dono “arcaico”, non essendo gratuito né disinteressato, non solo instaura una circolazione di beni cui tutti hanno tornaconto a parteciparvi, ma determina anche una forma rudimentale di “credito”, un’aspettativa di contraccambio che riconosce al donatore come un “diritto” nei confronti del donatario. Inoltre, l’obbligo di concorrere al costante “dare e ricevere”, crea, rinsalda, fortifica e conserva un fitto insieme di legami comunitari tra individui, tra famiglie, fra tribù, tra sessi. In merito a questa socialità “obbligata” Mauss afferma: “…la comunione e la colleganza che esse stabiliscono sono relativamente indissolubili…questo simbolo della vita sociale [il dono], – il permanere dell’influenza delle cose scambiate-, non fa che esprimere, abbastanza direttamente, il modo in cui i sottogruppi di queste società frammentate, di tipo arcaico, sono costantemente connessi reciprocamente e sentono di doversi tutto”.

Il rito del donare, in quanto atto a rinsaldare le relazioni tra tutte le classi sociali della comunità, fa parte “del sistema delle prestazioni totali”, è un “fatto sociale totale”, cioè un fatto che genera una miriade di reazioni analoghe comuni alla gran parte dei comportamenti collettivi. Gli individui consolidano complesse trame di relazioni sociali immettendo prodotti e beni nel sistema di circolazione dei doni, cosicché il “fatto sociale” diventa anche agire economico. Tutte le classi e tutti gli aspetti della vita comunitaria sono coinvolti in una prassi che influenza il gruppo umano in una molteplicità di fenomeni. Il dono infatti unisce gli aspetti pratici, materiali, produttivi ed economici a quelli sociali, etici, mitici, affettivi e religiosi, cosicché la società arcaica fonde le due sfere, mentre la concezione economica moderna le scinde.

Come di sopra accennato, l’obbligatorietà al restituire è una forma rudimentale di “credito”: “…il dono si porta dietro necessariamente la nozione di credito”. Poiché entro un termine stabilito il donatario deve ricambiare il dono, cioè deve risarcire il “debito”, il dono si trasforma in un baratto a scadenza e, come scambio a termine, rientra a tutti gli effetti in un processo economico. L’etnologo francese, nel tracciare una sorta di genealogia delle attività economiche, antepone il dono al baratto, vedendo quest’ultimo sorgere, da un iniziale sistema di doni dati e ricambiati, come un ricambio ravvicinato nel tempo dell’oggetto donato. Inoltre il dono, corrisposto pari o in eccesso al ricevuto, si presenta come una fonte di intraprendenza economica primitiva e pre-moderna, una prassi rudimentale che spinge e costringe il donatario, pena l’interdizione sociale, a reperire, produrre e possedere una quantità crescente di oggetti e dunque ad aumentare la quantità dei beni circolante. Il dono arcaico è dunque una sorta di solidarietà organizzata, di utilità e convenienza per ognuno a mettere in circolazione le proprie risorse, di salvaguardia dell’integrazione sociale, di inclusione sociale di classi e individui, di attività economica con ricadute sulla produzione collettiva della ricchezza. Per queste sue caratteristiche forse non è azzardato considerarlo come lo stato sociale delle comunità primitive studiate da Mauss. Anche lo stato sociale, come il dono arcaico, è un “obbligo” per lo Stato moderno, che o è sociale o non è Stato. Oggi è inconcepibile uno Stato che non abbia una politica sociale i cui principi hanno valore costituzionale. Nelle socialdemocrazie contemporanee le costituzioni nate nel secondo dopoguerra, – e la Nostra più delle altre – prescrivono il dovere inderogabile di solidarietà.

Inoltre lo stato sociale, come il dono, non è gratuito e disinteressato, perché pretende dai cittadini un tornaconto collettivo di altissimo valore civile: la responsabilità di tutti nell’impedire che la comunità si disgreghi, la coscienza e il mutuo riconoscimento di una comune appartenenza a una patria, l’impegno a non frammentarla, che si esprime nelle relazioni di reciprocità da proteggere e rafforzare; l’interesse generale di considerare le prestazioni sanitarie, educative assistenziali come fattori di sviluppo non solo sociale ma anche economico. Nello stato sociale solidarietà e interesse non si escludono a vicenda e, come il dono arcaico, rafforzano i legami comunitari ed educano i cittadini a essere “costantemente connessi reciprocamente” e sentire “di doversi tutto”.

Dopo oltre vent’anni di diffusione dell’ideologia individualista e liberista in economia, di distruzione della solidarietà prescritta dalla Costituzione, di propaganda ingannevole sulla spesa pubblica “improduttiva” va riconosciuto che lo stato sociale libera risorse economiche individuali e familiari a vantaggio del circuito economico. La spesa per i servizi, lungi dall’essere improduttiva, è volano di attività economiche, diventa un sistema generale di salario indiretto, di reddito “donato” ma non gratuito, che diffonde nell’agire economico il valore della reciprocità, senso ultimo di ogni regola democratica. Lo stato sociale è dunque la versione moderna e istituzionalizzata della prassi arcaica del dono; e il dono è prerogativa degli uomini – e dei popoli – liberi e forti, sovrani appunto.

 

Luciano Del Vecchio

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