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Dio perdona ma Cesare castiga PDF Stampa E-mail

10 Ottobre 2015

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Il fallito tentativo di rapina commesso ad Ercolano ai danni di un esercente e risoltosi con la morte dei due malviventi, causa reazione della vittima, ha riacceso i riflettori sul problema della giustizia e della criminalità in Italia.

Al solito, però, sono fioccate le consuete reazioni isteriche e strumentali, che trovano nella società della comunicazione di massa un terreno fertile: dai commenti sui "social" inneggianti ad armarsi tutti e alla pena di morte sino -e poteva essere diversamente?- al post di Salvini "io sto con il gioielliere".

Vediamo di ragionare con la testa, non con la pancia e sull' onda dell'emotività per analizzare e sviscerare il problema.

Iniziamo sfatando l' idea sbagliata e alimentata da certi media che "là fuori" sia una suburra, un inferno metropolitano, in cui girare armati e col giubbotto antiproiettile: i dati sulla criminalità vengono calcolati con alcuni parametri, a livello internazionale, e il responso è che l' Italia è uno dei paesi più sicuri e meno violenti dell' Occidente, con un tasso di omicidi calcolato a 0,9 ogni 100.000 abitanti: bassissimo, soprattutto pensando che tali numeri comprendono anche le vittime di camorra e 'ndrangheta (la mafia siciliana pare essersi acquietata, come mattatoio).

Per intenderci, la Mongolia, con una popolazione venti volte inferiore (3 milioni contro i nostri 60) ha un tasso otto volte maggiore, a 9,6 per 100.000 e la "civilissima e nordica Norvegia" (5 milioni di anime) conta un 2,2 ogni 100.000.

Dei reati sessuali, oltre il 50% è opera di parenti-amici-conoscenti, mentre preoccupano, è vero, i reati predatori, frutto in parte della crisi, in parte dei condizionamenti negativi di una società opulenta, in parte opera di immigrati senza arte né parte (guai a negare il problema).

Insomma, al netto delle cose, non sembreremmo essere nel baratro del crimine spicciolo, benché la percezione sia in aumento.

Il vero problema italiano è la mancanza della certezza della pena, unita ad un eccessivo garantismo che penalizza la vittima e premia il colpevole.

Se a queste due tare uniamo una quota di magistrati che interpretano le leggi a loro vantaggio ideologico, anziché applicarle, e un apparato legislativo pesante, imbottito di codici e codicilli ove, come scrisse il Manzoni, "a saper maneggiar le grida, tutti sono innocenti e colpevoli" ecco che il mix micidiale è completo.

Dimenticavamo, infine, i tempi biblici della giustizia, i tribunali intasati da cause di condominio da due soldi che rallentano il tutto e la carenza di personale amministrativo.

Questi sarebbero i grandi temi del dibattito: mancanza di pene certe, troppo garantismo, troppo permissivismo, scarsità di personale nei tribunali, scarsità di carceri, troppi "permessi premio" per "buona condotta", magistrati che a volte non fanno il loro mestiere.

Non servono scemenze come liberalizzare le armi per legittima difesa, col risultato di cadere nella trappola hobbesiana che ha portato gli USA a far sì che gli agenti di polizia uccidano...più disarmati che armati (il razzismo conta sino ad un certo punto), non serve la sedia elettrica: nell' epoca preindustriale, l' efferatezza delle pene capitali era proporzionale alla debolezza dello Stato, che doveva -parafrasando un linguaggio sinistro anni Settanta- "colpirne uno per educarne cento", in un' epoca in cui ben pochi finivano nelle grinfie dei "birri".

Questi dibattiti non si possono iniziare certo coi post o gli hashtag sui social network o gli sms ad un numero radio o TV di programmi idioti che fanno cassa sulle tragedie altrui.

Non serve stimolare la pancia del parco buoi elettori scrivendo: "io sto col gioielliere", serve uno Stato serio che appena prende i malviventi li giudica, li processa, li punisce proporzionalmente al crimine, quindi una volta portati in carcere, butta via la chiave sino a fine pena: vent' anni di pena, che si facciano vent' anni allora, dal primo all' ultimo giorno.

E dovrebbe passare l'idea -o spiegarla anche alla Chiesa, comunque sempre più ininfluente sull' opinione pubblica- che Dio perdona ma Cesare castiga: il carcere è, prima di tutto, luogo di espiazione, non una cappella di redenzione.

Tanti temi di discussione...ma oggi la gente riesce ancora a discutere, a pensare con razionalità?

Simone Torresani 

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