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5 Febbraio 2016

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Da Rassegna di Arianna dell’1-2-2016 (N.d.d.)

 

 

 

Sulla guerra di religione che è in corso sulla legge Cirinnà (unioni civili fra coppie omosessuali con annessa adozione del figliastro), ho sentito cose che voi umani gradite molto, perché fanno spettacolo, vi intrattengono, vi fanno giocare come al solito a buoni e cattivi. Ho sentito una gara puerile a chi ce l’ha più lungo sui numeri del Family Day rispetto ad altre manifestazioni: 300 mila, 1 milione, 2 milioni… Chi se ne frega: la bontà delle idee non si misura, si pesa. Ho sentito uno dei promotori dell’evento catto-familista, Massimo Gandolfini, esprimere un’opinione tanto legittima quanto rivoltante, intrisa com’è di morale repressiva: “Il sesso non è il piacere sessuale, è la procreazione”. Il sesso è indispensabile, ma è anzitutto piacere, in esso sta il Mistero della vita, che va venerato e officiato in quanto tale e in quanto serve a perpetuare i propri geni e il proprio genio. Ho sentito gli attivisti gay e i sostenitori della Cirinnà, intesa da loro come prodromica al matrimonio gay (adozione generalizzata, anche mediante l’utero in affitto), vomitare accuse di oscurantismo e Medioevo sugli avversari, quando loro, i super-democratici e avvocati dell’individualismo liberale, del diritto ad ogni diritto basta che corrisponda ad un desiderio, dovrebbero ben sapere che difendere la famiglia costituita da uomo e donna è un diritto anch’esso. Ho sentito i paladini della famiglia dire, senza vergognarsi dell’enormità che vanno dicendo, che permettere a due omosessuali di godere di garanzie di buon senso (reversibilità pensionistica, riconoscimento del partner in caso di malattia in ospedale ecc.) distruggerebbe l’istituto familiare in sé e per sé. Ho sentito, da parte degli eredi degeneri della tradizione sessantottina e presunta libertaria, cianciare di amore come diritto. Vi prego ridateci i sognatori dell’amore libero, del matrimonio tomba dell’amore, della libertà sessuale e affettiva dei cari vecchi hippies, piuttosto di questi borghesucci del sentimento. Ho sentito per l’ennesima volta personaggi come Gasparri, che si confuta da solo per il fatto di esistere, e perciò non c’è bisogno neppure di commentarlo.

 

Spiacente per le anime belle, ma l’amore non c’entra niente, qui la questione riguarda chi vuol vivere insieme (che si amino davvero oppure no è affare privato) ed i conseguenti diritti civili. E fin qui ci sta: l’unione civile di una coppia non eterosessuale è una certificazione minima che rende giustizia a stati di fatto. Altra cosa è il matrimonio, che come dice la parola stessa (“mater” e “munus”) presuppone una madre che dona la vita, cioè ha come scopo la generazione. Che poi questo scopo rimanga in potenza e non si attui (coppie sterili, per costrizione o scelta), non cambia lo scopo in sé. Non bisogna mica essere cattolici (né cristiani) per rendersi conto di questa banale realtà. Né essere sposati o avere la famigliola Mulino Bianco, un’aberrazione mai esistita, per poter riconoscere il valore della differenza di genere. Ché poi, diciamocelo, questi cristiani sono incomprensibili: non dovrebbero seguire il miglior traduttore di Cristo, che non è il moralista Paolo ma il più coerente Agostino, col suo precetto “ama e fa’ ciò che vuoi”? Perché si incaponiscono, dal loro punto di vista ideale, contro i diritti degli omosessuali? Se l’Amore è il valore supremo, dovrebbero far “fare ciò che vogliono” anche a loro, no? Ah già: ma i cattolici non sono propriamente cristiani, anzi di cristiani al mondo ce ne saranno in giro giusto due o tre. A dirla tutta, l’ultimo vero cristiano perì sul Golgota.

 

Se i diritti civili di coppia sono giusti, i figli no però, quelli non sono un diritto. Se lo fossero, o meglio se non esistesse limite naturale (ma perché fa tanta paura questa parola? è la più bella, anche se la più dura), i figli potrebbero nascere anche in modi diversi dall’unione fisica e sentimentale di un uomo e di una donna. Invece così non è. E non è Dio, Gesù, Bagnasco o Adinolfi ad averlo deciso: è la natura. E la natura non ammette di trattare ciò che è suo come una cosa, una merce, un oggetto da possedere, reclamare, pretendere costi quel che costi. In natura esistono esseri viventi, e ha leggi che andrebbero rispettate come sacre perché costituiscono i confini originari della vita. Chi ha a cuore l’armonia dell’uomo con il cosmo (dal greco kosmos, “ordine”), si piega a questi confini come limiti da non valicare. L’uomo, questo Prometeo che tende sempre, paradossalmente e tragicamente per natura, a calpestare il limite, quest’uomo che si sente signore e padrone non si ferma davanti a niente, e si mette in testa di equiparare il padre e la madre a due uomini o due donne, indifferentemente, come se il coito, l’unione sessuale, e gli istinti paterno e materno formati in milioni di anni siano accidenti senza valore, scocciature maligne, ostacoli da abbattere senza pensarci due volte. “Conosci te stesso”, ammoniva la sapienza quand’era sapienza, e non filosofia à la carte. Conosci i tuoi limiti e non oltrepassarli. Anche se fanno soffrire, perché nella sofferenza può sempre essere scoperta una fonte di gioia: in due omosessuali, il dolore di non figliare può rovesciarsi in maggior tempo per la cura di altre creazioni, trasmettendo le proprie virtù e il proprio affetto in altri modi. Ah, dimenticanza imperdonabile: dice che la Costituzione, il feticcio del ’48, tutela uguali diritti a ciascun cittadino. A parte il fatto che la suddetta parla di famiglia “naturale”, facciamo che si possa cambiarla (si dovrebbe poter cambiarla, non è mica la Bibbia) e perciò via libera al matrimonio omosessuale, visto che l’omosessualità è naturale, è sempre esistita e sempre esisterà, quanto l’eterosessualità. Il punto è che la legge (“nomos”) dovrebbe aderire quanto più possibile alla natura (“physis”) per non rischiare di disumanizzarci inseguendo fantasie di onnipotenza. È un concetto difficile da digerire per la sensibilità modernista per cui la regola suprema è l’“io voglio”. Ma è quello che salverebbe questo mondo infame dalla demolizione finale di ogni equilibrio, da quello ecologico per arrivare a quello esistenziale.

 

In sintesi: la legge Cirinnà, se prevede l’adozione di figli naturali del coniuge separato o divorziato, andando cioè incontro ad una situazione di necessità e non ad abominevoli “figli in provetta”, non è certo un cataclisma ed è votabilissima. Ma il matrimonio gay è un controsenso. Se poi in futuro dovesse passare anche quello, be’, amen: ormai, viviamo in un tempo in cui tutto equivale a tutto, volere è potere e “tutte le vacche sono grigie”. Il tempo in cui non c’è più limite all’assenza di limite. Ci meriteremmo l’autodistruzione.

 

 

 

Alessio Mannino

 

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