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Eccezionalità USA e riscossa europea PDF Stampa E-mail

11 Maggio 2016

 

 

Da Rassegna di Arianna del 9-5-2016 (N.d.d.)

 

Hillary Clinton è in pole position e in concorrenza con Donald Trump, per divenire il 45mo presidente degli Stati Uniti al termine della competizione elettorale del novembre prossimo. Per molti potrebbe spuntarla sul candidato e avversario repubblicano divenendo il capo di Stato più potente del mondo. In più, riaffermerebbe quasi una “scelta dinastica” del popolo Usa, dopo la presidenza del marito Bill Clinton. Un’analista molto acuta, la giornalista Diana Johnstone, descrive, senza peli sulla lingua, nel suo ultimo libro (Hillary Clinton, regina del caos, Zambon ed. pagg.247, euro 15.00; ordini: Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo ) chi è, che cosa ha fatto e cosa sarebbe disposta a fare Hillary Clinton al di là del suo sorriso comprensivo e materno nei confronti del marito e dei suoi sostenitori. Johnstone illustra in maniera molto chiara, con dati, fatti, cifre e dichiarazioni, ciò che ha fatto come first lady del presidente Clinton, poi come segretario di Stato della presidenza Obama, ma soprattutto è messo in luce l’”apporto” che ha dato ogni volta nelle decisioni su questioni di politica estera.  Emerge un quadro preoccupante, soprattutto per noi europei, visto che, dati gli equilibri attuali nella politica estera mondiale, l’elezione del nuovo presidente Usa ha ricadute dirette sull’Ue. Hillary Clinton è molto decisa su alcuni punti che persegue ormai da molti anni e fanno parte del suo immaginario e della sua prassi: lo stile politico e di vita degli Usa devono essere adottati, nel tempo, da tutte le nazioni del mondo. Una sorta di “messianesimo politico” teso a convertire tutti all’american way of life, a sottomettersi alla logica di un mondo unipolare. Potrebbe diventare, dice Johnstone, “la madre di tutti i droni addirittura della Terza guerra mondiale”. Non male.  Nell’ambito della rieducazione dei popoli anche nel segno del rafforzamento dei diritti civili, Hillary Clinton ha lanciato un bombardamento mediatico a favore della comunità Lgbt (Lesbiche, gay, bisessuali, transgender) visto che i diritti sociali non sono molto più citati. Un bombardamento mediatico che ha come scopo combattere quei Paesi che non si conformano all’american way of life e ai diritti degli omosessuali. E la volontà di imporre l’american way of life è evidente fin da quando era first lady. Johnstone ricorda come la stessa Clinton, nella sua autobiografia, si sia vantata di aver convinto nel 1999 il marito Bill a intervenire nell’ex Jugoslavia facendo affermare il concetto di genocidio e olocausto, che è stato alla base della nuova politica estera di Washington negli anni successivi con la presidenza Bush e con quella di Obama. Da allora si scatenò il caos in quella regione.  Questo libro molto interessante non solo riporta i fatti ma spiega le logiche interne alla politica Usa, che da questa parte dell’emisfero potrebbero sfuggire a qualcuno particolarmente innamorato dell’americanismo o infatuato del liberalismo-liberismo moderno e magari anche impaziente che la globalizzazione si affermi definitivamente. Di certo emerge che gli Usa, retti dai democratici o retti dai repubblicani, sono sempre gli Usa, con una politica estera simile. La storia ha dimostrato che la politica guerrafondaia spesso è stata voluta dai democratici (si veda il Vietnam) e i repubblicani ne hanno poi favorito l’escalation. C’è comunque, al di là delle primarie, dei dibattiti in tv faccia a faccia e dei discorsi negli stadi a folle adoranti, una sorta di continuità della politica Usa. E da questo libro notevole di Johnstone emerge che Hillary Clinton come personaggio ambiguo e pericoloso che gioca la carta anche del femminismo, visto che è femminista convinta, sempre nel nome della supremazia a stelle e strisce nel mondo.  Non solo: Hillary Clinton può contare su rapporti molto stretti con importanti lobby economiche in grado di mettere a disposizione fondi notevoli per le sue campagne elettorali. Del resto, è noto che in Usa la democrazia è strettamente legata alle lobby di potere e spesso proprio da queste dipendono gli esiti delle elezioni. Non a caso la linea economica del programma di Hillary Clinton è apertamente liberista. E fa propria l’idea della maggioranza dei politici statunitensi che considerano gli Usa una nazione “eccezionale”.

 

Johnstone afferma con acume e ironia che se gli Usa si occupassero solo delle faccende di casa propria, la concezione di “eccezionalismo” del loro Paese sarebbe solo una bizzarria nazionale. Poiché però viviamo nell’epoca della globalizzazione, in Usa sono convinti che, dato il loro livello eccezionale, la globalizzazione debba coincidere con l’americanizzazione di tutto il mondo. Gli interessi di qualsiasi Paese del mondo sono gli interessi Usa. Insomma, una “dottrina Monroe” al contrario. Quindi, l’economia di ogni nazione deve essere strettamente legata agli Usa e permeata dei suoi valori. Soprattutto dalla penetrazione, ovunque, dei mercati finanziari e dalle multinazionali Usa.  Nello sforzo continuo di attirare capitali, gli Usa chiedono agli Stati-nazione di ridurre la tassazione per favorire gli acquisti e di ampliare la capacità di investimento privatizzando tutti i settori compresi quelli strategici come il welfare, la scuola, i servizi di base. Insomma, avanti con la privatizzazione come già in molti Paesi europei si sta facendo, soprattutto grazie ai governi di sinistra. La differenza economica fra ricchi e poveri si dilata e i governi non hanno più soldi per il welfare e per sostenere l’industria e l’agricoltura. La globalizzazione non è come si dice un destino ineluttabile, è solo la risultante di un rapporto di forza particolare: “libero mercato” non significa piena libertà di vendere e comprare beni e servizi, tutt’altro. Significa vendere e comprare sulla base di una serie di accordi internazionali che facilitano i trasferimenti di capitali di investimento in entrata e in uscita a spese delle normative nazionali. Gli Usa impongono questi accordi con un potere contrattuale notevole non solo perché le transazioni vengono effettuate in dollari, valuta che gli Usa possono controllare come vogliono, ma anche perché dispongono di una forte influenza nel mondo che deriva dalla cultura Usa diffusa con libri, film, moda, musica e perché hanno una presenza militare in tutto il mondo: sono circa mille le basi a stelle e strisce in 148 Paesi sparsi in tutto il mondo (circa centodieci solo in Italia) e controllano gli eserciti di molti Paesi grazie ad accordi di “aiuti militari”, “programmi di addestramento” ecc. Nei fatti, la si chiami come si vuole, ma si tratta di un programma di conquista del mondo.  

 

Tornando alla politica economica degli Usa, il colpo definitivo per imbavagliare l’Europa potrebbe essere il Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Transatlantic trade and investment partnership) che gli Usa intendono siglare con l’Unione europea e al quale il filosofo francese Alain de Benoist ha dedicato un libro (Il Trattato transatlantico, Arianna ed., pagg. 187, euro 9.80; ordini: gruppomacro.com). Le trattative si stanno svolgendo all’insaputa dell’opinione pubblica perché per l’Europa si tratta di un grosso pericolo: in gioco è la sovranità degli Stati europei. La trattativa va avanti dal 2013 e per anni i dati del Trattato sono stati del tutto secretati mentre sul sito della commissione sono riportati alcuni stralci minimi e le linee guida. Accordi simili sono stati stipulati dagli Usa già con Messico e Canada e anche solo con il Canada. Ma la novità del Trattato transatlantico è che, per la prima volta, scopo dell’accordo è di abbattere completamente ogni barriera e ogni dazio per la circolazione totale di merci in un mercato grande quasi un terzo di quello mondiale. Ma ciò che forse è peggio è che saranno abbattute le cosiddette barriere giuridiche, quelle a tutela di ambiti sociali, relativi alla salute e alla difesa dei diritti dei lavoratori. Non solo: saranno meno tutelati l’ambiente e la salute degli europei. Negli Usa, a esempio, si possono coltivare prodotti OGM, utilizzare gli ormoni nell’allevamento di animali destinati all’alimentazione per rendere più rapida la crescita e farli aumentare di peso. Poiché non sarebbe prevista alcuna denominazione di origine, questa pratiche, che certo non fanno bene alla salute, sarebbero diffuse e non individuabili. È ovvio che si tratterebbe dell’ultima spallata prima di abbattere definitivamente ogni parvenza di sovranità, visti già i lacci e lacciuoli che l’Ue ha istituito per i governi europei (Patto di stabilità, Fiscal compact ecc.). Lo scopo è di raggiungere la piena mondializzazione. Nel capitalismo del Novecento gli Stati avevano interesse a far circolare le proprie merci e a esportare ma oggi, con il turbocapitalismo, spiega de Benoist, lo scopo è di cancellare gli Stati, le singole economie, le tradizioni, le società, per creare un solo grande spazio unipolare a guida Usa. Insomma è in gioco la concezione del vivere insieme, della politica, della partecipazione. Come sottolinea de Benoist, il fine è di “Trasferire le decisioni su una scala in cui i cittadini si ritrovano necessariamente impotenti, dato che la democrazia non può esercitarsi, è il mezzo che la forma-capitale ha trovato per emanciparsi da qualsiasi controllo politico” e dal concetto di “bene comune” si passa a quello di “interesse generale”, con interessi privati contrapposti con lo Stato che ha solo lo scopo di regolare i rapporti. De Benoist critica gli “altermondialisti”, i cosiddetti “cittadini del mondo”, che altro non sono che sradicati che denunciano alcune derive della globalizzazione ma che non si pronunciano sui principii ispiratori. Critica anche i sovranisti che ritengono basti uscire dall’euro e dall’Ue per risolvere tutto. De Benoist rimarca che uno Stato, una volta uscito dall’Ue, sarebbe troppo piccolo per far fronte alle bordate della politica internazionale e incapace di rispondere alle nuove istanze della società. Il filosofo francese auspica che l’Europa sia interpretata come un Impero, con il rispetto dei popoli, delle tradizioni, delle religioni e delle culture. Gli Imperi sono sempre stati la personificazione giuridica e politica di più comunità che si basano su solidarietà differenti dalla consanguineità. Un modo per non appiattire le identità ma esaltarle in un quadro solidale. Questa sarebbe la via per realizzare un blocco forte, capace di opporsi ai tentativi Usa di soggiogare l’Europa. Ma la via è lunga.

 

Manlio Triggiani

 

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