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Brexit come reazione alla globalizzazione PDF Stampa E-mail

9 Luglio 2016

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Con il referendum del 23 giugno gli inglesi hanno deciso di uscire dall’Unione Europea: il 51,8% ha votato leave (lascia) guidati dall’euroscettico Nigel Farage, leader dell’UKIP; il 48,8% ha votato remain (resta), guidati dal laburista Jeremy Corbyn. L'affluenza alle urne è stata elevata, il 72,2% degli aventi diritto. Già nel 2005, con un referendum la Francia e l’Olanda avevano detto no alla Costituzione Europea; gli oligarchi di Bruxelles votarono il Trattato di Lisbona per impedire al popolo di esprimersi. Questa volta in Gran Bretagna le cose sono andate diversamente.  Onore agli inglesi che votando leave, non si sono fatti intimorire dalle previsioni catastrofiche di sedicenti esperti e della City, dalle minacce della Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) o dagli appelli di cantanti, attori e cortigiani vari. Il loro voto non è stato condizionato nemmeno dall’omicidio della parlamentare laburista Jo Cox, la “martire” del fronte remain. Il voto inglese ha scatenato le ire dei rappresentanti delle oligarchie politico - finanziarie, i sedicenti “intellettuali” e pennivendoli della sinistra salottiera, servi sciocchi dell’oligarchia mondialista: l’ex Presidente del consiglio Mario Monti definisce la Brexit un «abuso di democrazia»; l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha definito la Brexit «un azzardo sciagurato», nel 1956, quando l’Unione Sovietica invase l’Ungheria, sosteneva che l’Unione Sovietica «porta la pace nel mondo»; Roberto Saviano, professionista dell’antimafia, paragona la Brexit all’avvento del nazismo. Per questi individui il popolo ha diritto di votare solo quando le sue scelte coincidono con l’opinione dei governanti o di “illuminati intellettuali”. Questa è la vera democrazia, il popolo è troppo “ignorante” e non deve votare su questioni “complicate” come l’uscita dall’Unione Europea. Seguendo questa logica aberrante, nel referendum del 1946 il popolo italiano (in parte analfabeta e privo di esperienza democratica) non avrebbe dovuto scegliere tra monarchia e repubblica. Discorso analogo vale per i referendum sul divorzio (1974), sull’aborto (1981) o sulla riforma elettorale (2016) voluto da Renzi, il burattino della Troika.

 

Nel mio libro “Kosovo monito per l’Europa” (Aviani Editore-Udine 2014) ho individuato nella globalizzazione uno degli elementi disgregativi dell’Unione Europea. Infatti, la globalizzazione presuppone l’abolizione dei vincoli alla circolazione delle merci, dei capitali e delle persone, con il fine di creare un unico mercato di modello neoliberista (un capitalismo senza regole). La globalizzazione presuppone: l’esautoramento degli stati nazionali a favore di organismi sovranazionali, istituzioni idonee a governare un mondo globalizzato (il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Centrale Europea, la Commissione Europea, ecc.); l’immigrazione, l’apertura delle frontiere e la società multirazziale; le politiche neoliberiste (precarizzazione del lavoro, delocalizzazione delle imprese, tagli allo Stato sociale, ai salari e alle pensioni). Tutto questo ha avuto un effetto negativo sulle nazioni europee e sui rispettivi popoli; in particolare la classe media e il proletariato urbano, le nazioni più fragili come la Grecia. La crisi economica e la minaccia del terrorismo islamico hanno accentuato gli effetti negativi della globalizzazione. L’Unione Europea rappresenta la globalizzazione: a livello politico, con l’immigrazione e le politiche neoliberiste; a livello istituzionale, come governo sovranazionale. Gli inglesi votando per l’uscita dall’Unione Europea hanno voluto dire no alla globalizzazione e all’Unione Europea che la rappresenta. In tutta Europa l’anti europeismo è alla base del successo elettorale dei partiti populisti. L’analisi del voto dà forza a quest’affermazione. Dal punto di vista sociale: hanno votato per l’uscita dall’Unione i ceti meno abbienti (working class) e il ceto medio, i più colpiti dalla globalizzazione; hanno votato per la permanenza nell’Unione i ceti più ricchi, che dalla globalizzazione hanno avuto soprattutto vantaggi (gli imprenditori con le politiche neoliberiste, i liberi professionisti cosmopoliti del lavoro). Non a caso i banchieri della City sono sempre stati contrari all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. I giovani dai 18 ai 24 anni si sono espressi a favore del remain (64%) ma la loro partecipazione elettorale è stata appena del 36%. I giovani dell’Erasmus che s’illudono di diventare i futuri manager dell’Europa globalizzata; finiranno col fare i precari o i mantenuti di papà per tutta la vita.   Dal punto di vista geografico il fronte del leave ha prevalso nelle zone rurali e nelle periferie cittadine, dove si concentra la parte più povera e tradizionalista della popolazione britannica; mentre il fronte del remain, nella capitale Londra e nei centri delle grandi città, dove si concentra la parte più ricca e cosmopolita della popolazione britannica. In Scozia trionfa il remain (gli scozzesi vedono nell’Unione Europea un alleato per contenere il potere di Londra).

 

Il risultato del referendum britannico non è stato condizionato solo dalla globalizzazione e dalle sue conseguenze; ma anche dalla storia della Gran Bretagna, un Paese che è nato e si è sviluppato come nazione “marittima” e non “continentale”. La Gran Bretagna ha creato il suo impero nel mondo e non in Europa e non ha mai preteso di governarla; a differenza della Francia napoleonica o della Germania imperiale e nazista, che miravano alla conquista dell’Europa continentale. L’Impero britannico era coloniale, comprendeva: l’Africa, l’Asia, l’America settentrionale e l’Oceania; il Commonwealth è quello che rimane dell’Impero e di una visione del mondo che superava i limiti del nostro continente. Dal punto di vista geopolitica il risultato della Brexit va contro gli Stati Uniti, che con l’uscita della Gran Bretagna, perdono un prezioso sostenitore dell’Unione Transatlantica (il trattato di libero scambio che dovrebbe unire l’economia dell’Unione Europea con quella degli Stati Uniti). Gioisce invece la Russia, che spera nella disgregazione di un’Europa asservita agli interessi statunitensi e ambisce a creare l’Eurasia. Un’Europa che unisce i Paesi latino - germanici con quelli slavo - ortodossi, nel segno della pace e della cooperazione. Ci raccontano che la fine dell’Unione europea sarà il preludio di una terza guerra mondiale o di un futuro di miseria. Quello che le canaglie negano e gli imbecilli non capiscono, è che la guerra può scoppiare solo con l’allargamento a est della Nato e le guerre neocolonialiste che gli Stati Uniti e i loro alleati scatenano nel mondo. A impoverire l’Europa e condannare i nostri giovani a un futuro di miseria e precariato, sono state le politiche neoliberiste e la crisi economica che le stesse hanno generato. Quali saranno gli effetti della Brexit? Difficile prevederlo. Spero in un effetto domino che coinvolga l’intera Europa e porti alla nascita di un’Europa federalista, che sogna l’Eurasia. Di certo le oligarchie politico - finanziarie e i loro tirapiedi faranno di tutto per impedire agli europei di decidere del proprio destino. Queste canaglie non hanno rispetto per niente e per nessuno. L’Unione Europea non sarà eterna, sono crollati l’Impero Romano e la Russia sovietica, per l’Europa dei banchieri, dei gay pride, delle guerre “umanitarie” e del multiculturalismo suicida, è solo questione di tempo. Forse vedremo le folle bruciare e calpestare la bandiera europea (spero di vivere fino a quel giorno). Quell’orrenda bandiera “stellata”. Il simbolo della stella appartiene alla tradizione giudaica e mussulmana, non a quella europea; i simboli dell’Europa sono la croce e l’aquila imperiale (di Roma e del Sacro Romano Impero) che per secoli hanno sventolato sui nostri vessilli.

 

Giorgio Da Gai

 

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