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Clemente e misericordioso PDF Stampa E-mail

23 Ottobre 2016

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Da Rassegna di Arianna del 21-10-2016 (N.d.d.)

 

In quest’epoca di ripetuti e costanti attacchi all’Islam in quanto dottrina, fede ed esperienza vissuta da circa due miliardi di persone, ve ne sono alcuni che provengono da esponenti di quel mondo cattolico che percepisce la “civiltà europea” (di radice “[greco-]ebraico-cristiana”) minacciata da una religione mancante di quel che conferirebbe al Cristianesimo, ed in particolare al Cattolicesimo, una “superiorità morale” fondata sulla figura del Cristo e del concetto di Dio che il Cristianesimo stesso ha costruito in duemila anni di elaborazione teologica.

 

In questi casi, non si è in presenza di attacchi all’arma bianca come quelli degli “atei devoti” convertitisi alla causa dell’Occidente giudaico-cristiano perché in fondo la loro vera patria ideale (e non solo, sovente) è Israele. E nemmeno di quegli unilaterali “tradizionalisti” per i quali tutti gli altri cristiani sono “eretici” ed ogni altra religione è “gnosi” e/o “idolatria”. Stiamo parlando di teologi e studiosi del pensiero cristiano-cattolico che nel loro sforzo apologetico a pro della loro religione presentano l’Islam come una visione del mondo che, a cominciare dal suo “particolare Dio”, non presenterebbe quei caratteri che rendono unico ed inimitabile il Cristianesimo nella sua variante cattolica. “Il Dio dei musulmani” scarseggerebbe – o sarebbe privo – di due prerogative essenziali del “Dio Cristiano”, che sono la Misericordia e il Perdono. O quantomeno sarebbero interpretate diversamente dai cristiani e dai musulmani. Queste due caratteristiche, a loro volta, mancherebbero coerentemente negli stessi musulmani, in quanto il seguace di una religione finisce per conformarsi al modello di Dio nel quale crede. Si tratta di una delle varianti dell’accusa, rivolta all’Islam, di non avere al centro della propria Weltanschauung il principio fondante dell’Amore. Il Dio cristiano “è Amore”, mentre quello dei musulmani sarebbe tirannico, geloso e vendicativo. Ergo, i musulmani – e tutti lo possono constatare alla tivù quando scorrono le cine-produzioni dell’Isis! – sono sprovvisti dell’Amore divino. La Misericordia e il Perdono non fanno parte del loro bagaglio ideale e dunque non possono praticarle. La spietatezza dei tagliagole del preteso “califfato”, le autobombe e i cosiddetti “kamikaze” sarebbero tutti, in quanto fenomeni alimentati da ambienti a loro modo – ma innegabilmente – “religiosi”, il segno di un difetto originale dell’Islam. Che d’altra parte, come nota qualche dotto islamologo cattolico, non avendo un “Dio Padre” pone i suoi fedeli nel limbo di un rapporto mancante di quell’Amore del quale i “figli” sono i naturali destinatari.

 

Ma è veramente aderente alla realtà affermare che la Misericordia e il Perdono non rientrano nella visione del mondo islamica e nella conseguente pratica quotidiana? La risposta è negativa, in quanto l’atteggiamento al riguardo del musulmano tradizionale, cioè saldo agli insegnamenti di quelli che un cattolico (o un ortodosso) assimilerebbe ai suoi “Padri della Chiesa”, è perfettamente in linea con quello del cristiano. Tra i “Nomi più belli di Dio” (Asmâ’u Llâhi l-husnâ) che descrivono le Sue qualità dell’essenza e dell’atto vi sono ar-Rahmân e ar-Rahîm (addirittura subito dopo Allâh, in seconda e terza posizione), entrambi derivanti dalla stessa radice di Rahma (Misericordia). Nomi tradotti, con notevole difficoltà ed approssimazione, nei seguenti modi: il Clemente, il Misericordioso; il Clemente, il Compassionevole; il Misericordioso, il Clementissimo; eccetera. Bismillâhi [nel Nome d’Iddio] r-Rahmâni r-Rahîm [il Misericordioso, il Compassionevole] è la formula sacralizzante (detta basmala) di ogni atto del musulmano. Pronunciandola prima di un atto lecito, per così dire lo si sacralizza e ci si sottrae così alla limitante dicotomia sacro/profano. È questo, del resto, l’incipit di ogni sûra/capitolo (tranne uno) del Corano, e tradizionalmente si sostiene che tutta la prima sûra, la quale “riassume” tutto il Libro, è contenuta nella sola basmala.

 

Wa mâ arsalnâ-ka illâ Rahmatan li-l-‘âlamîn (“Non ti abbiamo inviato se non come Misercordia per i mondi”) è un passaggio coranico noto a tutti i musulmani, che rende bene conto della funzione dell’Inviato d’Iddio (Rasûl Allâh) rispetto all’intera Creazione, visibile e invisibile. Sempre sulla Misericordia nell’Islam, cito da un articolo di Chiara Casseler: “L’Uomo Perfetto… è allo stesso tempo il Cuore divino ed il Cuore del Mondo. Il suo emblema è il triangolo rovesciato che simboleggia la misericordia provvidenziale di Colui che sostiene e regge tutto l’universo”. Osserviamo, en passant, che il triangolo rovesciato è collegato al femminile, difatti “utero” in Arabo si dice ràhim, della stessa radice di “misericordia” (Rahma)… Nel Corano, i “Nomi più belli” d’Iddio vengono sovente citati a coppie, al termine di alcuni versetti, come a dire che al termine della storia lì narrata viene illustrata la posizione d’Iddio al riguardo, fornendoci così la “morale della favola”. Bene, una di queste coppie è Ghafûr / Rahîm (Perdonatore e Compassionevole / Misericordioso. Ma anche Ghafûr / Wadûd [“Amorevole”]: ebbene sì, proprio il Perdono e l’Amore associati!). La radice ghayn-fâ’-râ’ è quella più strettamente legata al concetto di “perdono”. Ora, due dei “nomi più belli” d’Iddio derivano da questa radice: al-Ghaffâr e al-Ghafûr. Si tratta di due gradi differenti di “perdono” divino in relazione alle Sue creature. Siccome nell’onomastica islamica vi sono nomi che appongono, al termine ‘abd (servo, schiavo), uno di questi nomi divini, vi sono musulmani che hanno per nome ‘abd al-Ghafûr, cioè “Servo del Perdonatore”, perciò sono esortati per tutta la vita, se consapevoli del “destino” collegato al loro nome, a ricordarsi che Iddio perdona (certo non indiscriminatamente, come del resto nella visione cristiana). Così come il musulmano chiamato dai suoi genitori ‘abd ar-Rahmân potrà riflettere tutta la vita, provando a conformarvisi “inverando” il proprio nome, la Misericordia divina. L’istighfâr (la “richiesta di perdono”, termine anch’esso sotto radice ghayn-fâ’-râ’) è poi presente più volte al dì nella vita del credente. Astàghfiru Llâh (“chiedo perdono a Iddio”), ripetuto 33 volte, è, al principio di ogni seduta di dhikr (“ricordo”, “menzione” [d’Iddio]), la frase con cui Gli si chiede perdono, perché ciò è considerato un atto che rimette a posto psicologicamente la persona che lo compie ed è il modo più appropriato per porsi nella recitazione del dhikr stesso. Anche alla fine della salât (la preghiera rituale), la prima cosa che si dice – secondo alcune scuole – è astàghfiru Llâh (tre volte).

 

E queste sono solo alcune semplici annotazioni, senza alcuna pretesa di completezza né sistematicità, le quali, tuttavia, bastano già a far riflettere chi non è animato dal preconcetto o, peggio, fa della teologia (e teodicea) militante pur essendo in gran parte disinformato, mancando delle minime basi di un comparativismo tra le religioni che non è necessariamente da vedersi come uno strumento del “nemico” finalizzato a rendere tutte le religioni “uguali”, bensì come un provvidenziale ausilio, in questi tempi difficili e forse “finali”, per evitare la trappola dell’unico Nemico, la cui missione è quella di seminare zizzania tra gli uomini, facendo loro stabilire divisioni e contrasti dove non ve ne sono affatto. Detto questo, ciascuno sarà ovviamente libero di continuare a pensarla come vuole, e che “Misericordia” e “Perdono” siano prerogative esclusivamente “cristiane”… Ma a che pro continuare a “cantarsela” per fortificarsi nell’illusoria convinzione di essere sempre “i più buoni”? i primi della classe con una marcia in più rispetto agli altri in un mondo che è sempre più “stretto”? Non è forse questo atteggiamento, al di là di una sincera e comprensibile autostima e cognizione di ciò che si è e si vale (ma anche dei propri limiti e difetti), l’anticamera di quelle guerre e di quell’aggressività e di quelle crudeltà che esse provocano proprio perché in quei tragici frangenti non esistono più, tra gli uomini, né Misericordia né Perdono?

 

Enrico Galoppini

 

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