Avviso Registrazioni

Scusandoci per l'inconveniente, informiamo i nuovi utenti i quali desiderino commentare gli articoli che la registrazione deve essere fatta tramite Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Login Form






Password dimenticata?
Nessun account? Registrati

Cerca


 
  SiteGround web hostingCredits
Brusco risveglio PDF Stampa E-mail

18 Novembre 2016

Image

 

Da Rassegna di Arianna del 16-11-2016 (N.d.d.)

 

Non è difficile comprendere che il rapido succedersi degli avvenimenti in questo scorcio dell’anno 2016 avrà degli effetti duraturi su tutto il percorso storico di questo inizio di secolo, tanto che molti analisti iniziano a parlare di un punto di inflessione, ovvero un possibile cambiamento di tendenza della fase storica del Mondo Occidentale che non mancherà di avere i suoi riflessi sul resto dei continenti. Si era partiti nell’inizio di questo secolo con il vento in poppa della Globalizzazione come fenomeno che sembrava inarrestabile e duraturo. Veniva descritta questa come una trasformazione positiva per il popoli, apportatrice di progresso e di benessere per tutti, con l’abbattimento prossimo dei confini, delle barriere e con il superamento della logica degli Stati Nazionali. Molta gente credeva ingenuamente che tutto questo fosse un fenomeno spontaneo ed ineluttabile, come lo descrivevano i media, gli opinionisti e gli intellettuali del “progresso permanente”, dai Saviano ai Severgnini. La sinistra ex marxista era balzata lesta sul carro del globalismo come una necessità ed aveva fatto di questa la sua bandiera, tacciando di “retrogradi” e “populisti” tutti coloro che osavano metterne in dubbio gli aspetti positivi e decantati del fenomeno. “Guai ad un ritorno ai vecchi nazionalismi! Bisogna abbattere gli steccati, i muri e costruire ponti”. Lo dicevano in Italia l’ex presidente Napolitano, lo affermava la Boldrini, lo scriveva Scalfari e lo affermava persino il Papa Francesco. Come si poteva non credergli?

 

In pochi anni il mondo globalizzato aveva prodotto le sue conseguenze nefaste nei paesi occidentali, tra gli altri effetti con le importazioni massicce dalla Cina e dai paesi a basso costo, con la perdita dei posti di lavoro, con l’affossamento della classe media, con il ridimensionamento delle garanzie sociali, con le delocalizzazioni di aziende, con l’immigrazione incontrollata, con l’abbassamento dei salari, con l’importazione di fenomeni delinquenziali e con il degrado delle grandi aree urbane. I politici della sinistra mondialista continuavano a predicare che questo non era importante ma che fosse importante accogliere tutti, integrare ed abbattere le differenze, esaltando i mercati aperti e la nuova cultura che metteva al primo posto i diritti dei “diversi”: i gay, i transessuali, gli immigrati, prima dei nativi e dei cittadini. Di fatto pochi critici isolati avevano lanciato l’allarme ed avevano dato una interpretazione diversa del fenomeno: si voleva avvertire che nella realtà, la tanto decantata Globalizzazione era l’abile travestimento operato dall‘élite finanziaria anglo/USA, nell’ imporre l’apertura illimitata dei mercati per avere il controllo dei circuiti finanziari, lo sfruttamento a proprio vantaggio delle risorse naturali, della forza di lavoro a basso costo ed il dominio dei mercati dove collocare in modo redditizio e sicuro, i propri capitali speculativi. Si voleva avvertire che la globalizzazione economica avrebbe portato ad un nuovo Ordine mondiale caratterizzato dall’aumento delle disuguaglianze con l’arricchimento di una ristretta élite e l’impoverimento di molti, oltre allo sfruttamento selvaggio della mano d’opera nei paesi emergenti dove anche i bambini vengono impiegati per produrre e confezionare i beni di consumo destinati ai mercati.

 

Qualcuno aveva anche anticipato quale grande trappola fosse rappresentata da questa globalizzazione che, anche in Europa ed in tutto l’Occidente, nella costruzione di questo nuovo ordine, già in fase avanzata, si andava verso la creazione di un sistema iper capitalistico elitario, delinquenziale, precipuamente speculativo, che ricerca non soltanto i profitti netti e rapidi per evitare gli investimenti di lungo periodo, come quelli industriali, ma anche per amministrare la crisi di sovrapproduzione per trasformarla in crisi finanziaria. In altre parole per saccheggiare la popolazione. Un sistema dominato dalla finanza e dalle grandi entità bancarie che viene basato sulla creazione artificiale del denaro, con tassi di interesse molto bassi in modo da consentire l’apertura di crediti a larga scala con molte facilitazioni: si promuove la vendita di beni durevoli, in specie di immobili, svalorizzati dal tasso di inflazione; si sospingono i debitori in situazioni di insolvenza, si rifinanziano i debiti in modo poi di appropriarsi degli immobili resi impagabili.

 

Poi è arrivato d’un tratto la presa di coscienza in alcuni paesi della grande trappola e delle conseguenze negative: il fattore detonante è stato senza alcun dubbio l’immigrazione incontrollata, con tutte le sue conseguenze. Sono arrivati poi il Brexit nel Regno Unito, prima ancora l’insorgenza di Partiti e movimenti nazionalisti e populisti nella Vecchia Europa, dalla Francia alla Germania, all’Austria, ai paesi dell’Est. A dare la svolta è arrivata l’elezione di Trump, il rude, il razzista, quello che vuole costruire il muro con il Messico, che vuole chiudere tutti i trattati commerciali e ritornare al vecchi sistema degli Stati nazionali e difesa delle proprie economie. Trump che si può definire l’antiglobalista, una bestemmia per i sostenitori del “Pensiero Unico” mondialista. Trump ha trovato nell’America profonda, quella dei lavoratori, della classe media, dei produttori, allevatori e agricoltori, coloro che lo hanno ascoltato ed hanno recepito il suo messaggio. Un brusco risveglio nel paese leader dell’Occidente e proprio in quello che è stato il principale artefice della Globalizzazione. Un risveglio da cui i “profeti della globalizzazione” ancora non si sono ripresi tanto da manifestare reazioni “isteriche”. Quello che sembra evidente è che la sinistra mondialista, quella dei circoli politici, dei media e degli intellettuali, aveva dimenticato del tutto chi fosse il popolo, quale fosse la classe lavoratrice: se la era persa per strada. Il popolo, quello autentico  della vecchia generazione  di coloro che attuarono il grande miracolo della trasformazione socioeconomica in tutta  l’Europa, tra il 1950 e gli anni ’70, che non furono attivisti della LGBT e neppure promotori del meticciato e del multiculturalismo, ma piuttosto furono europei di ceppo antico, di faccia bianca, eterosessuali con figli, in maggioranza cristiani (se pur con tutte le loro contraddizioni), con una idea molto materiale, per nulla ideologica, della libertà e della prosperità. Furono queste generazioni che riuscirono a ridurre al minimo la breccia sociale; furono loro la base sociale su cui si eseguirono le grandi politiche di ricostruzione in Europa, lo stesso fenomeno avvenne nella Germania social democratica come nell’Italia democristiana e nella Francia Gollista e poi socialista, nella Spagna franchista e poi post franchista. Furono loro che edificarono l’Europa moderna del benessere e dello Stato sociale che oggi la Globalizzazione tende a smantellare. Loro furono il “popolo” quello che i marxisti chiamavano una volta “le grandi masse popolari” che emigravano all’interno dei paesi in Europa in cerca di lavoro da sud verso nord ma mantenevano le proprie connotazioni di europei, cristiani, orgogliosi della loro cultura italiana, portoghese, irlandese, greca o spagnola che fosse. Loro da un certo punto di vista sono stati gli eroi della seconda metà del XX secolo, quelli che hanno edificato il benessere e lo stato sociale. Tutto oggi messo in discussione dalla visione multiculturale e cosmopolita che i profeti della globalizzazione vogliono imporre per cancellare culture ed identità. Questo popolo autentico costituito dai lavoratori e dai figli di quelli che hanno edificato le società attuali, da molti anni ha ricevuto colpi di ogni genere ad opera della Globalizzazione voluta dall’élite economica ed appoggiata dalla sinistra mondialista. I figli di quei lavoratori, pur essendo più acculturati dei loro padri, sono arretrati come salari, come potere di acquisto, hanno perso sicurezze, stabilità e diritti e sono insidiati dalla concorrenza degli ultimi arrivati. La mano d’opera dei migranti è stata un buon affare per gli imprenditori globalizzati e per le cooperative che godono dei sussidi ma, obiettivamente rappresenta una catastrofe per i lavoratori che nel mezzo secolo precedente avevano ottenuto di ridurre la breccia sociale. I governi della sinistra mondialista danno il benvenuto a tutti predicando l’integrazione, la regolarizzazione e la solidarietà ma non possono occultare il fatto che le masse di migranti provocano un costo sociale, una disarticolazione delle comunità e un abbassamento dei salari. Questo viene visto come un discorso razzista e retrogrado dall’intellettuale di sinistra ed è applaudito anche dal capitalista che sfrutta la mano d’opera e ne fa utili. Il lavoratore autoctono (e gli stranieri residenti da anni) si trova messo all’angolo e spesso sacrificato dalle politiche di accoglienza a favore dei migranti che rendono più difficile l’accesso ai servizi sociali, più problematica la convivenza con culture profondamente diverse, visto che le risorse sono limitate e non sono disponibili per tutti. Le conseguenze sono l’ascesa del Front National in Francia, dell’FPO in Austria, della AfP in Germania, della Lega in Italia, con forte scollamento del popolo dal ceto politico. In particolare questo popolo autoctono ha perso la sua rappresentanza e non si sente minimamente rappresentato dai politici e sindacalisti, al contrario si sente tradito da questi. Si è scomposto il tessuto sociale ed è stata attaccata la famiglia in nome di un nuovo individualismo, quello del consumo compulsivo e dettato dalle mode. La sinistra ha collaborato a questo processo di smantellamento di diritti e garanzie in nome de multiculturalismo, non si è resa però conto di aver perso nel tempo la sua vecchia base sociale, la sinistra è rimasta senza il popolo e la vecchia destra ha perso la nazione. Il popolo ha seguito altre strade e la sinistra macina voti in ogni paese nella alta borghesia quella dei quartieri bene, degli uffici finanziari, del grande capitale e dei grandi media, ma nelle periferie degradate e nelle campagne il popolo oggi ascolta i discorsi di chi prospetta la rivincita delle comunità e la difesa delle identità

 

Luciano Lago

 

Commenti
NuovoCerca
Solo gli utenti registrati possono inviare commenti!
 
< Prec.   Pros. >