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22 Novembre 2016

 

Subito una premessa: chi scrive è convinto che la riforma della Costituzione sulla quale a breve verremo chiamati a votare contenga disposizioni farraginose e a tratti oscure che provocheranno problemi interpretativi e applicativi, oltre che espresse in linguaggio non aderente al profilo costituzionale se non addirittura sintatticamente involute. Ciò, insieme a profili di merito di secondaria importanza, fa sì che ritenga assolutamente preferibile mantenere la Costituzione così com'è.

 

Detto questo, io non andrò a votare, così come del resto non faccio da 20 anni in occasione delle varie kermesse elettorali. E non lo farò perché non intendo essere relegato al ruolo nel quale il sistema ci vuole imprigionati e prestarmi al gioco di chi cerca di ammantare questo topolino di riforma nella sintesi del Bene o del Male, a seconda della parte politica. La verità è che anche questo referendum è il perfetto specchio della farsa incarnata dalla democrazia rappresentativa e costituisce l'ennesimo tentativo di indorare la pillola dell'oligarchia tecnocratica nella quale viviamo con la finta offerta di democrazia partecipativa.

 

Il referendum ha un senso – un senso democratico – nel momento in cui consente al popolo di esprimersi su questioni il cui valore politico (o sociale) è chiaro e comprensibile. Non bisogna essere esperti conoscitori delle teorie costituzionali sulle forme di Stato o di governo per votare monarchia o repubblica, così come non occorre una laurea in medicina per scegliere tra aborto o non aborto. Sfido invece chiunque, anche tra l'esigua minoranza di esperti di diritto costituzionale, a comprendere fino in fondo, ad esempio, la c.d. modifica del bicameralismo perfetto contenuta nella riforma oggetto di questo referendum e che costituisce il principale elemento nel merito sul quale le parti politiche si sono confrontate.

 

Perché la realtà è che questa riforma non è figlia della politica, quella vera, quella con la P maiuscola, ma della tecnocrazia. Nel linguaggio e nel contenuto. E come tale esprime solo il distacco incolmabile tra i detentori di questi strumenti oscuri e dei loro meccanismi bizantini rispetto al cittadino che sugli stessi dovrebbe esprimersi. Siccome però la realtà non può essere presentata per quella che è, la riforma in questione viene dipinta da un lato come la panacea di tutti i problemi italiani, dall'altro lato come la peste che ci ucciderà tutti. E via a slogan miracolistici o apocalittici, accomunati dall'assoluta mancanza del senso del ridicolo.

 

Il più rilevante spessore politico attribuito a questa scelta referendaria, nonché quello che ne determinerà l'esito, è l'appoggio o l'avversità a Renzi. Quasi come scegliere tra Capitalismo o Comunismo, capirete bene. Tornerò a votare quando “a casa” non avremo mandato solo Renzi o gli altri servi travestiti da politici ma anche i loro padroni e, soprattutto, il sistema che ci sovrasta tutti. Quando il mio voto non sarà più un sondaggio governato dalle leggi del marketing ma la partecipazione ad una scelta che mi riguarda e della quale potrò capire il senso e controllare l'applicazione. Quando sarà il voto alle scelte di una comunità consapevole che non guarda la politica nei talk show ma la vive ogni giorno come parte della sua esistenza. Fino ad allora a questo gioco lascio partecipare Lorsignori e le pedine che ancora riescono a muovere.

 

Andrea Marcon

 

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