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La Sinistra europea non ha capito niente PDF Stampa E-mail

5 Dicembre 2016

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Da Rassegna di Arianna del 3-12-2016 (N.d.d.)

 

“La progressione del voto per il Fronte Nazionale tra le classi popolari si spiega innanzitutto con l’incapacità della sinistra di parlare a quella parte della popolazione “. Per Jean-Claude Michéa, infatti, la sinistra contemporanea non ha più nulla a che vedere con la nobile tradizione socialista. Incapace di proporre un’alternativa economica al capitalismo trionfante, ha ripiegato sulle battaglie civili care all’intellighenzia progressista e in sintonia con l’individualismo dominante. Il filosofo francese lo spiega in un breve e interessantissimo saggio intitolato I misteri della sinistra (Neri Pozza, traduzione di Roberto Boi), il cui analizza la deriva progressista dall’ideale illuminista al trionfo del capitalismo assoluto. 

 

“La sinistra non solo difende ardentemente l’economia di mercato, ma, come già sottolineava Pasolini, non smette di celebrarne tutte le implicazioni morali e culturali. Per la più grande gioia di Marine Le Pen, la quale, dopo aver ricusato il reaganismo del padre, cita ormai senza scrupoli Marx, Jaures o Gramsci! Ben inteso, una critica semplicemente nazionalistica dal capitalismo globale è necessariamente incoerente. Ma purtroppo oggi è la sola –  nel deserto intellettuale francese –  che sia in sintonia con quello che vivono le classi popolari. Quella che ancora oggi chiamiamo “sinistra” è nata da un patto difensivo contro la destra nazionalista, clericale e reazionaria, siglato all’alba del XX secolo tra le correnti maggioritarie del movimento socialista e le forze liberali e repubblicane che si rifacevano ai principi del 1789 e all’eredità dell’illuminismo, la quale include anche Adam Smith. Come notò subito Rosa Luxemburg, era un’alleanza ambigua, che certo fino agli anni Sessanta ha reso possibili molte lotte emancipatrici, ma che, una volta eliminate le ultime vestigia dell’Ancien régime, non poteva che sfociare nella sconfitta di uno dei due alleati. È quello che è successo alla fine degli anni Settanta, quando l’intellighenzia di sinistra si è convinta che il progetto socialista fosse essenzialmente totalitario. Da qui il ripiegamento della sinistra europea sul liberalismo di Adam Smith e l’abbandono di ogni idea d’emancipazione dei lavoratori.

 

L’ideologia progressista è fondata sulla credenza che esista un senso della storia e che ogni passo avanti costituisca un passo nella giusta direzione. Tale idea si è dimostrata globalmente efficace fintanto che si è trattato di combattere l’Ancien régime. Ma il capitalismo –  basato su un’accumulazione del capitale che, come ha detto Marx, non conosce alcun limite naturale né morale –  è un sistema dinamico che tende a colonizzare tutte le regioni del globo e tutte le sfere della vita umana. Focalizzandosi sulla lotta contro il vecchio mondo e le forze del passato, per il progressismo di sinistra è diventato sempre più difficile qualsiasi approccio critico della modernità liberale. Fino al punto di confondere l’idea che non si può fermare il progresso con l’idea che non si può fermare il capitalismo. Da quando la sinistra è convinta che l’unico orizzonte del nostro tempo sia il capitalismo, la sua politica economica è diventata indistinguibile da quella della destra liberale. Da qui, negli ultimi trent’anni, il tentativo di cercare il principio ultimo della sua differenza nel liberalismo culturale delle nuove classi medie. Vale a dire nella battaglia permanente combattuta dagli agenti dominati della dominazione, secondo la formula di André Gorz, contro tutti i tabù del passato. La sinistra dimentica però che il capitalismo è un fatto sociale totale. E se la chiave del liberalismo economico, secondo Hayek, è il diritto di ciascuno di produrre, vendere e comprare tutto ciò che può essere prodotto o venduto (che si tratti di droghe, armi chimiche, servizi sessuali o madri in affitto), è chiaro che il capitalismo non accetterà alcun limite né tabù. Al contrario, tenderà, come dice Marx, ad affondare tutti i valori umani nelle acque ghiacciate del calcolo egoista.

 

Come scriveva Rosa Luxemburg nel 1913, la fase finale del capitalismo darà luogo a un periodo di catastrofi. Una definizione che si adatta perfettamente all’epoca nella quale stiamo entrando. Innanzitutto catastrofe morale e culturale, dato che nessuna comunità può sopravvivere solo sulla base del ciascuno per sé e dell’interesse personale. Quindi, catastrofe ecologica, perché l’idea di una crescita materiale infinita in un mondo finito è la più folle utopia che l’uomo abbia mai concepito. E infine catastrofe economica e finanziaria, perché l’accumulo mondializzato del capitale –  la crescita –  sta per scontrarsi con quello che Marx chiamava il limite interno. Vale a dire la contraddizione tra il fatto che la fonte di ogni valore aggiunto –  e dunque di ogni profitto –  è sempre il lavoro vivo, e la tendenza del capitale ad accrescere la produttività sostituendo al lavoro vivo le macchine, i programmi e i robot. Il fatto che le industrie del futuro creino pochi posti di lavoro conferma la tesi di Marx. La forza della critica socialista nasce proprio dall’aver compreso fin dal XIX secolo che un sistema sociale basato esclusivamente sulla ricerca del profitto privato conduce l’umanità in un vicolo cieco. Paradossalmente, la sinistra europea ha scelto di riconciliarsi con questo sistema sociale, considerando “arcaica” ogni critica radicale nei suoi confronti, proprio nel momento in cui questo comincia a incrinarsi da tutte le parti sotto il peso delle contraddizioni interne. Insomma, non poteva scommettere su un cavallo peggiore! Per questo oggi è urgente pensare la sinistra contro la sinistra”.

 

Jean-Claude Michéa

 

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