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Un dibattito, un grande interrogativo PDF Stampa E-mail

22 novembre 2007

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“Il Colonialismo classico depredava le ricchezze dei colonizzati, ma, pur imponendo le proprie leggi, rimaneva sostanzialmente estraneo alla loro cultura. Il Neocolonialismo – quello della globalizzazione – ha invece dichiarato guerra totale al mondo non occidentalizzato: ogni spazio va conquistato, ogni mente sottomessa, ogni cultura omologata. Quale posizione assumere, di fronte a questa situazione?”. Su questo concetto – che è più un dato di fatto che un’opinione – il Gruppo di Vicenza di Movimento Zero ha organizzato, venerdì 9 novembre scorso, un incontro pubblico a cui erano stati chiamati come relatori Padre Nicola Colasuonno dei Missionari Saveriani di Brescia e Francesca Casella, responsabile italiana di Survival (vedi link a lato). Intitolandolo, non a caso, “Occidentali go home?”.
Nei relatori invitati avevamo visto il contrapporsi di due posizioni che ci sembrano simboliche di quello che è oggi l’atteggiamento di buona parte dell’Occidente nei confronti del cosiddetto Terzo Mondo (intendendo con questo termine non solo le popolazioni “non sviluppate”, ma anche -  e questo è il campo d’azione specifico di Survival - quei popoli che rifiutano l’apporto della civiltà occidentale, preferendo mantenere stili di vita e culture ancestrali).
Nei loro confronti, la posizione e l’agire di Survival sono chiari. Non “difesa” di questi popoli dall’Occidente: come ha detto Casella in un suo intervento, “difenderli” da qualcosa, fosse anche ciò che noi identifichiamo come male, significa ancora una volta decidere per loro e al loro posto; quanto difesa, questo sì, del loro diritto di scegliere liberamente ed autonomamente la strada da seguire, anche qualora contemplasse l’acquisizione di elementi della cultura “bianca”. Così, per esempio, Casella ha raccontato di come siano stati fallimentari interventi occidentali che, sia pur attuati in perfetta buona fede, non avevano tenuto conto dell’adattamento all’ambiente e dello stile culturale delle popolazioni locali, ma anche di come molte culture indigene usino correntemente il computer per parlare di sé, per mantenere i contatti con culture diverse ed anche per combattere la loro battaglia in difesa della propria “diversità”. Secondo Survival, insomma, bisogna guardarsi dal riproporre una versione aggiornata, ma non meno pericolosa, del mito del buon selvaggio – figlio, del resto, proprio di quel razionalismo illuminista che teorizzò ad attuò la conquista e la “civilizzazione” dei popoli non europei.
Più “familiare” è apparsa la posizione dei Saveriani. Lontana e più moderna del missionariato classico, essa tuttavia ammette che un intervento sia possibile, in quelle realtà più critiche e degradate, magari proprio per effetto di politiche occidentali sconsiderate e di rapina. Rispettosi anch’essi della diversità culturale e perfino religiosa delle popolazioni indigene – Padre Colasuonno ha detto che la conversione non è più affatto un obiettivo primario, e che invece si guarda alle differenti espressioni religiose come a manifestazioni comunque della presenza divina – i Saveriani sembrano proporre un tipo di intervento che quasi ricorda, paradossalmente, un insegnamento maoista celebre negli anni Sessanta: non portare il pesce a chi ha fame, quanto piuttosto insegnargli a pescare.
Atteggiamenti, dunque, entrambi discutibili e proprio per questo interessanti. Che però si sono scontrati con un terzo punto di vista emerso dal pubblico. Attenzione, hanno detto infatti alcuni dei presenti - riferendosi soprattutto alla posizione di Survival - a non cadere nell’errore di considerare il Progresso come neutro, e le sue conquiste e i suoi prodotti come optionals che possono essere accettati o rifiutati senza danno e senza conseguenze. In realtà, il Progresso sarebbe comunque politico, sempre promosso da interessi economici di grandi aziende occidentali che mirano solo a impadronirsi di nuovi mercati installandovi il bisogno di consumare i nostri prodotti, ed in ogni caso veicola contenuti culturali diversi ed estranei rispetto alle culture locali. Difendere questi popoli dalla “infezione” occidentale non significa dunque praticare una specie di neocolonialismo antimodernista, ma salvaguardare una diversità culturale che è patrimonio dell’umanità intera (e sua futura e possibile risorsa e via di salvezza, ha aggiunto in un altro momento Casella, in questo d’accordo con le posizioni dei suoi obiettori).
Come si vede, un dibattito intenso e ricco di stimoli e suggerimenti.

Giuliano Corà

Commenti
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sebastiano080@yahoo.it
sebastiano (IP:85.168.208.23) 23-11-2007 13:52

Nel mondo esistono una tale quantità di organizzazioni umanitarie, governamentali e non, che risulta impossibile contarle. Sul Courrier International del 15-21 Novembre, Philipp Thureau-Dangin stima che solo in Africa operino tra i 3 e 5 milioni di persone legati all' umanitarismo. Non c è Stato in questo dannato pianeta che non abbia un problema e la sua bella organizzazione umanitaria che si investe nella missione salvifica di riportare la giustizia in terra. C è di tutto: soldati della pace, missionari, medici, insegnanti, scienziati, antropologi, filantropi e via occidentalizzando. Tutte queste organizzazioni, guidate da un forte spirito di carità, o di fraternitè che ne è la versione laica, non fanno che aumentare l'occidentalizzazione dei costumi delle popolazioni in cui operano. Chi è aiutato scivola dalla degna posizione di oppresso (che magari un giorno ritroverà in se stesso l impeto per ribellarsi), a quella di incapace ed inetto che vede nell elemosina umanitaria la superiorità stessa del benefattore. Ma non solo: che razza di confusione credete si possa generare in un popolo quando gli viene offerto con una mano il pane e con l%u2019altra il bastone? La confusione di chi non sa da quale parte attacca il nemico. Placare la fame di questa popolazioni con aiuti economici, alimentari e quant altro necessari alla sopravvivenza, significa esclusivamente inibirne la rabbia e l' odio necessari per la rivolta.
L investimento umanitario da un lato, e lo sfruttamento economico dall altro introdotto dal neocolonialismo della globalizzazione, miscelati, non fanno che replicare nei paesi in via di sviluppo la diatriba tutta occidentale fra bene e male, diffondendo idee che non hanno nulla a che fare col loro passato, ma provengono direttamente dalle categorie con le quali noi occidentali giudichiamo e abbiamo fatto la storia. Lasciamo, per carità, a tutti i popoli della terra oppressi dal mostro occidentale la possibilità di riflettere ed elaborare da soli le loro categorie di giudizio circa la realtà che li circonda e li avvelena. Senza pelosi suggerimenti ideologici e tanto meno interventi logistici. Se proprio qualcosa si vuol fare, che la si faccia in occidente dove risiedono i palazzi del potere e i diretti responsabili di questa ripugnante globalizzazione.
Nel frattempo, umanitari di tutto il mondo unitevi, e tornate a casa.


schizoidman (Registered) 25-11-2007 22:41

Penso che allo stesso tempo sia utile difendere la nostra identità dall'americanismo e dalle pretese di chi invade la nostra terra che siano cinesi (pensate ai fatti di Milano dell'anno scorso) o mussulmani, alcuni dei quali hanno pretese assurde (es. levare i crocifissi dalle aule di scuola), fa poca differenza. E badate bene, dico questo con tutto il rispetto per il popolo cinese che in ben altri tempi ha dato prova della sua forza e saggezza e dell'Islam che per moltissimi versi è assai superiore come religione e cultura alla nostra attuale.
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