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Giacobini da salotto PDF Stampa E-mail

1 Febbraio 2017

 

A Parigi si è commemorato il secondo anniversario dell’attentato al periodico Charlie Hebdo. Le vittime della redazione sono per i salotti progressisti i martiri della libertà vittime dell’intolleranza. Riflettiamo sui fatti per capire chi erano le vittime e cosa rappresentano. Il 7 gennaio 2015 un commando di due uomini armati di fucili d’assalto fa irruzione nella sede del periodico francese sparando sui presenti. Nell’attentato rivendicato dall’ISIS le vittime saranno quattordici: dodici giornalisti e due poliziotti messi a protezione del giornale. I terroristi troveranno la morte in un conflitto a fuoco con la polizia, dopo una fuga durata due giorni che terrà con il fiato sospeso tutta la Francia. Quello del 7 gennaio fu il secondo attentato subito dal giornale, nella notte del primo novembre del 2011 la sede fu distrutta da un incendio provocato dal lancio di bottiglie molotov. All’origine degli attentati la pubblicazione delle vignette satiriche su Maometto considerate dagli attentatori un oltraggio al profeta e alla religione mussulmana. L’attentato al Charlie Hebdo fu un pretesto dell’ISIS per affermare la propria forza e prestigio nel mondo mussulmano, soprattutto verso le organizzazioni terroristiche rivali (Al Qaida). La redazione del Charlie Hebdo era il bersaglio ideale per trasformare un attentato terroristico in atto di “giustizia”: la punizione degli infedeli blasfemi. Per molti mussulmani l’uccisione degli infedeli sacrileghi ha trasformato i terroristi in eroi e il sedicente “Califfo” nel paladino dell’Islam. La satira del Charlie Hebdo ha quindi alimentato l’odio e il disprezzo dei mussulmani verso l’Occidente; e il consenso verso i terroristi e le loro azioni. Il terrorismo islamico continuerà a colpirci con o senza le vignette blasfeme, perché il suo fine è imporre la sharia nel mondo; ma non è sensato alimentarlo con inopportune provocazioni che non ricadono solo sugli autori. Infatti, tra le vittime dell’attentato al Charlie Hebdo non ci furono solo i componenti della redazione, ma anche i due agenti di guardia. Questi cittadini caduti nell’adempimento del loro dovere sono le vittime che voglio onorare e commemorare.

 

La satira del Charlie Hebdo è considerata anticonformista perché non ha rispetto per niente e per nessuno; ma in realtà è conformista è allineata con il pensiero dominante. Un pensiero laico - progressista che confonde la libertà con la licenza; che calpesta tutto e tutti, ad eccezione delle icone del politicamente corretto (omosessuali, immigrati, veterofemministe, animalisti, ecc.). La satira è parte della libertà di espressione e come tale va difesa e garantita; ma detta libertà non è assoluta, trova il limite nel buon gusto e nel rispetto dei sentimenti altrui. La satira del Charlie Hebdo non ha limiti è volgare e oltraggiosa. Volgare e blasfema fu la vignetta sulla Santissima Trinità: “Vingt-Trois ha tre papà”, dove si ritraevano i membri Trinità in amplessi omosessuali (novembre 2012).  Con tale “opera” il direttore Charb intendeva contestare l’opposizione della Chiesa Cattolica al matrimonio omosessuale; i giacobini da salotto usano la blasfemia per colpire chi dissente dal loro “illuminato” pensiero. Altrettanto inqualificabili furono le vignette sulle vittime del terremoto di Amatrice: “Terremoto all'italiana: penne al sugo di pomodoro, penne gratinate, lasagne” (settembre 2016). Una vignetta mostra le vittime sporche di sangue, mentre l’altra (“lasagne”), le ritrae sepolte da strati di pasta. Qui non c’era nessun avversario da irridere, ma si è voluto dare sfogo al cattivo gusto, senza riguardo per le vittime e per i loro cari. Se alla satira non esistono limiti perché non commemorare la redazione del Charlie Hebdo con una battuta: «Non piangete per loro. La madre degli imbecilli è sempre gravida e non abortisce mai»?. Vi sembra una frase offensiva? Di certo non è più oltraggiosa delle vignette sulla Santissima Trinità o sui morti di Amatrice. Io non piango la redazione del Charlie Hebdo, i loro morti non mi appartengono.

 

Giorgio Da Gai

 

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