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25 Febbraio 2017

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Da Rassegna di Arianna del 27-1-2017 (N.d.d.)

 

La cultura di un territorio e dei suoi borghi è viva e vitale finché è forte l’epos che la fonda e la nutre, trasformando questo territorio in ethos, “il posto da vivere”. Il cedimento di questo retaggio di fronte alla spinta annichilente della globalizzazione si registra con lo spopolamento dei borghi, conseguenza non solo di uno stravolgimento delle economie locali, ma anche di uno spaesamento, causato da insediamenti commerciali e industriali che stravolgono il paesaggio e con esso  la geografia interiore di quanti in quel territorio vivono da generazioni. E di qui, appunto, la sensazione di spaesamento che porta ad abbandonare i borghi aviti, che sopravvivono –quando va bene- nella forma dell’albergo diffuso, per andare ad abitare in anonimi agglomerati urbani, più funzionali rispetto ai ritmi del “produci, consuma, crepa”. La morte delle culture particolari, così come quelle delle specie su cui si fonda la ricchezza della biodiversità, rischia di diventare un fenomeno irreversibile, con il conseguente dissolvimento di modi di vivere, di saperi, di piccole arti e di identità locali che costituiscono la nervatura culturale del Paese. E tra le culture quasi scomparse voglio ricordare quella dei butteri pontini: l’epos delle paludi pontine e della loro bonifica, vide appunto tra i suoi protagonisti il buttero, un archetipo antropologico che rappresenta l’uomo integrato nella natura, nella sua durezza, ma anche nei suoi ritmi, l’uomo che vive a cavallo e che ha i suoi riti, le sue feste, i suoi giochi per mitigare la severità delle condizioni estreme delle paludi. E i butteri sono collegati anche ad un episodio di orgoglio nazionale, alla sfida, vinta, dal cisternese Augusto Imperiali e dai mandriani della casata Caetani con i cowboy di Buffalo Bill nel 1890, episodio raccontato –tra gli altri- da Antonio Pennaccchi, formidabile e caustico cantore dell’epos pontino.

 

È sull’onda di queste storie, di queste riflessioni e dell’emergenza culturale rappresentata dallo spaesamento, che occorre riprendere la riflessione e l'impegno intellettuale per allarmare su quello che stiamo perdendo e di come sia necessario ricostruire un ethos fondato su “azioni che trovano origine in coloro che ci hanno preceduto, conforto nel paesaggio, forza nella lingua, linfa nel mito e sostentamento nel rito che lo celebra” (Giovanni Lindo Ferretti). La posta è vitale: vincerla porterà a un nuovo umanesimo, la sconfitta ci condannerà a sopravvivere nel nulla dell'assenza di senso.

 

Lorenzo Borrè

 

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