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Democrazia corporativa? PDF Stampa E-mail

15 Marzo 2017

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Da Rassegna di Arianna del 12-3-2017 (N.d.d.)

 

Dopo il filone sulla “casta”, prologo all’antipolitica condita in tutte le salse, sul banco degli imputati c’è ora il sistema democratico. Lo testimoniano  decine di saggi, usciti, negli ultimi anni,  sull’argomento (tra i tanti: La democrazia contro se stessa, L’odio per la democrazia, Democrazie senza democrazia, La democrazia senza partiti, La democrazia è una causa persa?, Vita e morte della democrazia, Contro le elezioni-Perché votare non è più democratico, “In democrazia il popolo è sempre sovrano”-Falso!), i cui autori, al di là delle diverse scuole d’appartenenza, sono uniti nel constatare la perdita di fiducia  verso le istituzioni democratiche da parte del popolo sovrano.

 

Quali – in sintesi - le cause della crisi della democrazia, così come emergono da questa ampia saggistica? Il divario tra ciò che pensa il cittadino e ciò che fa l’uomo politico, suo rappresentante; l'odio delle oligarchie economiche e statali; la mancanza di controllo sulle decisioni dei centri di potere "irresponsabili", che presiedono alla produzione e all'allocazione delle risorse materiali, influiscono in maniera determinante sulla politica degli Stati, plasmano l'opinione pubblica, condizionano pesantemente i processi elettorali; la perdita di ruolo dei partiti, intorno a cui si sono costruite le democrazie parlamentaristiche occidentali; la difficoltà a governare il pluralismo delle società complesse; la sudditanza ai dettami della globalizzazione; il venire meno della capacità di coinvolgimento critico del cittadino, segnato dall’individualismo e dal consumismo. Fin qui le diagnosi, a cui spesso corrispondono le ipotesi di nuovi modelli di partecipazione, detti di “democrazia deliberativa”, realizzati in alcuni Paesi. Per quanto “parziali” questi esperimenti partecipativi vanno tenuti presenti, essendo insieme sintomo-terapia dei mali degli attuali sistemi di rappresentanza politica, mali che non possono evidentemente essere sottovalutati. L’idea di fondo è di favorire il coinvolgimento dei cittadini su tematiche specifiche (ambientali, sociali ed economiche), al fine di instaurare un circolo virtuoso di reciproca collaborazione tra l’Amministrazione pubblica ed i cittadini stessi. Unico limite di questo tipo di proposte è che, nella maggioranza dei casi, si tratta poco più che di esperienze consultive, realizzate attraverso giurie cittadine, sondaggi deliberativi, cellule di pianificazione, dibattiti pubblici. Un po’ poco insomma per cercare di controbilanciare il distacco tra cittadini ed istituzioni. Da qui la domanda: perché non favorire il coinvolgimento organico delle forze sociali nella gestione della cosa pubblica? Laddove, oggi, la presenza dei lavoratori, attraverso i sindacati,  è spesso  limitata ad una “istituzionalizzazione spicciola”, interna a quella che Arris Accornero definiva il “sottobosco delle commissioni miste” (formazione di albi professionali, commissioni d’esame di concorso, consigli d’amministrazione pubblici, ecc…) la vera questione da riportare al centro del confronto sulla democrazia è quella della rappresentanza degli interessi dei cittadini-lavoratori, puntando a dare voce e spazio al Paese reale, alle categorie produttive, al mondo delle professioni  e delle competenze. Vogliamo trovare un nome per tutto questo? Si tratta della dottrina corporativa. Dopo  decenni, segnati da una  sorta di damnatio memoriae, che ne ha snaturato la ragione d’essere e sterilizzato le radici storiche, forse è  tempo che la dottrina corporativa, abbandonata anche dalla Chiesa, che ne aveva fatto il cardine della Dottrina Sociale,  torni al centro del confronto culturale, politico e sociale ritrovando le sue ragioni,  interpretando  le necessità e le aspirazioni degli individui attraverso i corpi sociali intermedi ed armonizzando gli interessi contrapposti verso obiettivi scelti e perseguiti con la partecipazione di tutti. Sui temi del lavoro e della partecipazione – del resto - questioni “gestionali” e questioni etiche si intrecciano. Dalla “società del tornaconto” è necessario passare a quella della responsabilità. Oltre l’homo oeconomicus è doveroso guardare alla concretezza dell’uomo sociale. Dalla rappresentanza “senza qualità”, tipica della democrazia partitocratica, è urgente muoversi verso strumenti di rappresentanza capaci di favorire una maggiore integrazione dei fattori della produzione e, contemporaneamente, la specializzazione nello svolgimento dei processi politici. Proprio per il valore della democrazia, nel suo significato autentico di “potere del popolo”, qualcosa di più e di meglio va insomma pensato e detto rispetto alla crisi conclamata degli attuali sistemi di rappresentanza a base partitica. Sconfessare la “casta” non è sufficiente. Denunciare non basta più. E ci vuole ben altro che qualche Débat public per dare risposte adeguate ad una crisi che è insieme politica, economica e sociale. Proviamola nuova la democrazia, proviamola … partecipativa e corporativa.

 

Mario Bozzi Sentieri

 

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