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Scene di vita quotidiana PDF Stampa E-mail

5 Aprile 2017

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Da Comedonchisciotte del 3-4-2017 (N.d.d.)

 

La mattina ci si sveglia, sempre più estenuati e senza scopo. Si dà un’occhiata di fuori, ci si rallegra se, tra la caligine urbana, possiamo intravedere un sole malato, pallidissimo. Dopo le consuete abluzioni, il rito del caffè: non vi è più un giornale davanti alla tazzina, bensì un Ipad azzurrino: si apre qualche sito controinformativo, con scarsa voglia a dir la verità, e lo si compulsa come la casalinga di Voghera o la manager in carriera fanno con l’oroscopo. L’oroscopo favorevole, lo sanno tutti i giornalai, predispone al buonumore (e all’acquisto di altra carta); la notizia controinformativa che stuzzica le nostre velleità da rivoluzionari in poltrona stimola likes, commenti e flames. Gli altri oroscopi, quelli che predicono sventura o non sono in linea con i fucili a schioppo digitali, li si sommerge di contumelie (di solito si accusa l’autore di alcolismo o di indulgere nell’uso di droghe o di somma ignoranza su alcuni concetti che il commentatore, invece, padroneggia come un domatore di leoni avendo conseguito, vent’anni prima, una laurea specialistica proprio in quella materia lì). I gestori dei siti di controinformazione dovrebbero allinearsi alla tendenza dei giornali femminili e far sì che ogni notizia lisci il pelo al controinformato. Zerohedge come Branko. In tal modo ognuno potrebbe così alzarsi dal tavolo del caffè mattutino convinto di aver vinto la guerra (o di essere sul punto di vincerla) contro il nemico giurato (le banche, i Rothschild, l’Euro). Tutto questo senza aver versato una sola goccia di sangue, e senza aver elargito nemmeno una botta sulla zucca a qualche celerino. Un bel sollievo. Ci pensate? A parecchi sembra di star vincendo la guerra. A me (che sono ignorante) sembra che si stia perdendo alla grande. La guerra dall’alto contro il basso prosegue imperterrita e senza prigionieri. Le truppe d’élite possiedono molti generali e, qualche volta, essi litigano fra loro, riposizionando uomini, contingenti e mire. Tali brevi sommovimenti vengono interpretati da coloro che stanno in basso come “vittorie”.L’altro giorno, nel mio quartiere, c’è stata una manifestazione anti-Euro. Organizzata da gruppuscoli autodefinitisi “di destra” o “identitari”. Li si riconosceva subito, da lontano, a causa degli stendardi e dei labari in mostra: neri e bianchi definitivi, con scritte rosso sangue. Tolti i presunti organizzatori, il codazzo dei dimostranti si riduceva, forse, a dieci unità. Quasi tutti erano giovani, come si può essere giovane oggi: attorno ai quaranta. Non conoscevo nessuno. Dall’altra parte della piazza, intravidi, però, un volto familiare della zona. Un ex missino. Un po’ imbolsito dagli anni, in disparte, scettico. Trent’anni fa ci si guardava in cagnesco, come due animali divisi da numerosi gradi di separazione antropologica. Poi la disfatta ideologica del 1989 ha eliminato di colpo ogni possibilità di rancore. Dopo quella data fatidica ognuno è rimasto abbarbicato (un poco) all’universo politico della propria adolescenza, più per un movimento riflesso che per convinzione estrema. Si poteva liquidare il passato, così, dopo una decisione a tavolino? No. Cancellare il passato equivale a cancellare gli uomini: solo un pazzo o un ignavo si ridurrebbe a questo. Eppure la maggioranza questo scelse. E così entrambi ci rassegnammo, negli anni. L’uno lo specchio dell’altro, su fronti opposti, come Eteocle e Polinice ne I sette a Tebe. Mi accosto, senza salutare, perché i nostri dialoghi, ormai, sono rarefatti sino all’astrattismo; gli dico: “Non vai?”. Alza le spalle, con una smorfia della bocca. “Ma chi sono?“, incalzo. “Folclore“, fa lui, e se ne va verso il bar più vicino. Io lo seguo. Stavolta tocca a me offrire.

 

Debbo odiare gli islamici? Non ci riesco. È la mia debolezza, che mi divide da altre anime affini. Credo fermamente alla dissoluzione demografica e culturale ch’essi apporteranno, sia chiaro. Ma non riesco a percepire come nemico la carne da cannone. Lo ripeto, è una mia debolezza. Odio i generali, ma i fanti buttati allo sbaraglio no. Posso sparargli per difendermi: l’odio, però, è un sentimento troppo nobile per sprecarlo qui. D’altra parte si guardi come si è originato questo contrasto Islam-Europa: l’11 settembre. E chi ha voluto quella farsa? L’Islam, l’Europa? Chi vuole l’invasione demografica? L’Islam, i popoli europei? Nessuno dei due. E poi ci sono altri motivi alla base di tale mia cedevolezza: uno antropologico, l’altro sentimentale. Il primo: invidio il loro residuo senso della famiglia, del sangue, del clan. Persino il fanatismo. Perché, in fondo, sono emozioni, convinzioni forti, azione. La poltiglia PolCor, una soluzione melmosa a mezzo fra la bontà indotta e il pensiero debole, invece, mi disgusta profondamente. Siamo invasi e non opponiamo nulla all’invasione perché siamo vuoti, uomini disseccati, omuncoli di paglia. Il secondo è di ordine letterario: come amante del Medioevo sono sempre rimasto affascinato dalle novelle duecentesche: Federico II, il normanno fondatore della letteratura italiana, e il Saladino, Yssuf ibn Ayyub: “El Saladino fo sì valoroso, largo e cortese signore e d’anemo gentile [tanto che] era onne bontà in lui compiutamente“. Saladino, il “secondo Federico”, Enrico il Giovane o il trovatore Bertrand de Born sono figure miticamente stilizzate di una koinè europea irripetibile, maestosa, sublime. Dante le venerava, come venerava Averroè, Avicenna o il pederasta Brunetto Latini, suo maestro: una venerazione che non gl’impedì di scaraventare tutti all’Inferno (o nelle vicinanze), incluso Maometto. I nemici dicono molto di noi stessi. I nemici insegnano. Questi pensieri, alogici, formano il breve recinto della mia tolleranza. Mi danno fastidio, invece, gli africani. Non sopporto il menefreghismo, la mancanza d’ordine, l’arroganza nel reclamare diritti, l’indolenza mai punita. Che “el negher” sia il beniamino dei centri sociali e dell’immaginario snob del PD non stupisce.

 

Nel mio condominio si fa la Storia. Il pensionato al piano terra, abbandonato da figli, nuore e nipoti, ha mandato al diavolo tutti e si è fatto la badante. Indiana. I risparmi di una vita e i novecento euri al mese li ha investiti in una ragazza delicata, sorridente e bendisposta. “Se quando crepo avanzerà qualcosa se la prenderanno“, ammonisce risoluto, alludendo al parentame ingrato. E così ecco una bella coppia di fatto. Li intravedo, di solito, quando torno dal lavoro, lui diritto e canuto, col suo bastone di bambù, lei obbediente e umile, la schiena esornata da una splendida cascata di capelli corvini: si fanno lunghissime passeggiate, pian piano, a braccetto. Non parlano. Lei fa tutto: spesa, pranzo, cena, pulizia della casa. Una consonanza felice. Al primo piano, invece, si è consumato il dramma. Un ragazzo, che conosco dalla nascita, ha rischiato di morire. Due volte. In ospedale. Prima un pneumotorace mal fatto; poi, sulla via della guarigione, dopo infiniti tormenti, l’epatite C, contratta sempre all’interno dell’ospedale. Incontro il padre, gli accenno d’eventuali risarcimenti. Sembra scettico: “Bisognerebbe dimostrare che …“, e la voce si spegne. Già, bisogna dimostrare che. E come fai, in Italia, a dimostrare che un ospedale pubblico ha messo a repentaglio due volte la tua vita? Arrecando una menomazione permanente? La rassegnazione è ormai parte della fibra italiana. Non vale più la massima: l’ingiustizia genera odio. La burocrazia parassitaria, d’altronde, serve anche a questo: a scoraggiare. Il muro di indifferenza, neghittosità, sciatteria che ci si trova di fronte pare invalicabile. La connivenza della magistratura, poi, il patriziato più opportunista e sfuggente, lo ha cementato sino all’inespugnabilità. Il padre mi accenna alle cure per l’epatite C, che è una brutta bestia. “Il ciclo completo costa 70.000 euro“. Settantamila. “Però c’è la possibilità di farle all’estero. Compreso il viaggio, tutto incluso, siamo sui cinquemila“. “E dove?“, chiedo. “In India. I dottori dicono di aspettare un altro poco, forse liberalizzano, ma noi abbiamo fretta. Ci stiamo pensando“. India, Croazia, Bulgaria: i viaggi della speranza. […] Spio la pagina facebook di un’amica. Il post di un tale allude alla manifestazione di cui sopra. Titolo: “I fascisti sono tornati“. “Che ne dici?” mi fa lei. “Magari“. […] I comunisti sono voltagabbana: dal pugno chiuso alla militanza eurista. E va bene, l’ho ripetuto mille volte. Ma la destra? Dove diavolo si è cacciata? Tutti morti i Caradonna? […]

 

C’è una sola cosa che mi atterrisce nella società d’oggi. La perfetta, compiuta, indifferenza di coloro che sono nati sotto il nuovo ordine. Gestiscono con scioltezza lauree e dottorati, bibliografie e piani di lavoro. Educati, mai fuori posto. Più belli di noi, più atletici, più svegli. L’impressione che rendono è, tuttavia, di professionale freddezza e informatissima superficialità; l’oggetto dei propri studi è funzionale sino alla psicopatia. Curiosità e passione, generosità e vivezza sembrano siano state asportate chirurgicamente. […]

 

Leggiamo un raccontino di Stephen King, La fine del gran casino (The end of the whole mess), dalla raccolta Incubi e deliri (Nightmares & dreamscapes, 1993). Riassumo la trama, a memoria. Un genio, Robert Fornoy, scopre un composto chimico che riduce, sin quasi all’annullamento, l’aggressività. Il composto abbonda in una cittadina del Texas, La Plata, sciolto nella sua riserva idrica. Non a caso gli abitanti della cittadina sono dei bonaccioni: pochissimi reati, nessuno stupro, nessun fatto di sangue. Lo sceriffo dorme sonni tranquilli. Robert, con l’ausilio del fratello, immagazzina enormi quantità di tale acqua miracolosa e, temendo per le sorti del globo, alle soglie della terza guerra mondiale, la nebulizza sbattendola in un vulcano. La nube di bontà avvolge il mondo. L’effetto è grandioso. La violenza cala progressivamente in tutto il globo. L’Eden è alle porte. Finalmente, dopo millenni di speranze e proclami, l’utopia finale: il Paradiso in Terra. Il rovescio della medaglia, tuttavia, non si fa attendere. Fornoy scopre, con orrore, che la placidità dei cittadini di La Plata è dovuta all’insorgere di ritardi mentali, Alzheimer e senilità precoce: tutti dovuti a quell’acqua benedetta. I fratelli Fornoy, insomma, non hanno recato la pace, ma solo l’idiozia di massa. Il mondo si riduce in breve tempo a una ridda di coglioni sbavanti. Basta sostituire “acqua” con “PolCor” ed “Europa” con “La Plata”? In parte. Anzitutto perché gli idioti de La Plata sono un incidente casuale. E poi perché nel racconto tutto il mondo diviene idiota; il PolCor, questo composto aberrante di altruismo e malafede, serve, invece, solo a idiotizzare l’Occidente. L’Occidente è il baluardo antropologico da abbattere. […] Inutile spiegare la moneta, le trame della CIA, Kalergi, le rotte degli scafisti ONG, Rothschild, Soros e compagnia danzante. La maggioranza non ti segue. Se i post di Orso e Blondet hanno mille, cinquemila o diecimila visualizzazioni, l’ultimo video di Miley Cyrus ne ha milioni. La gabbia è psicologica. La battaglia è sulla propaganda. Occorrono non analisti, ma superbi mentitori: romanzieri, cineasti, giullari, pittori. La “veritàààà” non buca il video. Occorre mentire. Persino un falso storico servirebbe alla bisogna. La donazione di Costantino, i protocolli di Sion. Oppure una bella guerra. Ma quella chi te la regala? Se ci sarà una guerra sarà per motivi sbagliati, contro avversari sbagliati e per un fine sbagliato. “La mia patria è dove sto bene“, diceva quel tale. La patria, volenti o nolenti, è dove siete cominciati a esistere, rispondo. Ognuno è libero di andarsene, poi, dove meglio crede. Andarsene a Helsinki, beninteso, non imporre Helsinki a casa mia. […]

 

Alceste

 

Commenti
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fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Super Administrator) 04-04-2017 23:32

Più che altro è una pagina di piacevole letteratura, ma con alcune verità
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