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Marx comunitarista? PDF Stampa E-mail

17 Aprile 2017

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Da Lettera43 del 12-3-2017 (N.d.d.)

 

Nel 1993 era stato Jacques Derrida a domandarsi quanto e in che modo l’Occidente, nonostante la caduta del Muro, avesse ancora a che fare con gli spettri di Marx. Poi, sulle ceneri del comunismo, le analisi di Marx hanno conosciuto nuova vita e vigore, apparendo come le uniche in grado di esplicitare i meccanismi della globalizzazione. La grande crisi ha alimentato e nutrito la Marx Renaissance, obbligando storici ed economisti a ripensare il capitalismo come problema. Una riflessione impossibile senza Marx, tanto più in questo 2017 che coincide con il 150esimo anniversario dell’apparizione de Il Capitale. Il primo volume dell’opera fu pubblicato in tedesco nel 1867. Seguirono, rispettivamente nel 1872 e nel 1875, la seconda edizione in tedesco e la traduzione in francese. Gli altri due volumi furono pubblicati postumi da Engels nel 1885 e nel 1894. Un libro imprescindibile, difficile, uno dei più strumentalizzati, che ha impegnato schiere di esegeti e per leggere il quale occorre liberarsi da ogni sorta di «sonno dogmatico», anche quello derivante dalla militanza marxista. Questo, almeno, è il suggerimento di Bruno Pinchard nel suo Marx a rovescio (Mimesis) appena arrivato nelle librerie italiane.

 

Ma con quale approccio ci si può accostare a Marx? Egli è certamente il «seduttore dei giorni di crisi»: è il primo stadio che ci conduce a vedere nel Capitale il libro che denuncia i vizi del sistema che sentiamo come ostile o oppressore. Ma c’è anche il Marx incardinato nella storia del pensiero filosofico occidentale. Non un filosofo che rompe con chi lo ha preceduto, ma un pensatore che integra e trasforma le filosofie anteriori al Capitale. Marx è aristotelico per quanto concerne l’idea di praxis, è colui che più di altri sfida e supera Hegel, è anche colui che riprende da Vico l’imperativo di guardare al vero come fatto storico e non come fatto contemplativo. […] Se ci fermassimo a questo, resteremmo in ogni caso lontani dalla comprensione della forza rivoluzionaria di un’opera come Il Capitale. Ciò che la caratterizza, infatti, è la sua capacità di pensare il capitale come struttura totale, come sostanza che non ha altra causa e altro fine al di fuori di se stessa e che per queste sue peculiarità appare come il nuovo Dio dell’Occidente, al punto che Pinchard può parlare del libro come di un libro teologico e mitologico – oltre la dimensione della scienza economica – che per importanza sostituisce la Bibbia, che diviene di fatto la Bibbia del proletariato, e che non è privo di un’atmosfera mistica nel momento in cui Marx ci fa balenare dinanzi la prospettiva della catastrofe. «Il Capitale», scrive, «scommette sul nulla di Dio e sta qui la sua importanza: si tratta di una tesi negativa di filosofia della religione, ma una tesi che taglia corto con le religioni. Ecco perché rappresenta una chance per il pensiero. Ma questa chance comporta il suo proprio turbamento: Il Capitale 1) racconta una storia unificata; 2) sostiene che vi si rivela un senso; 3) garantisce l’universalità e la necessità del pensiero che si volge a rifletterlo. Di conseguenza, è Dio. Senza dubbio, non è il Dio della fede, ma il vero dio dei filosofi che non limitano il loro sapere alla propria fede. L’attrazione di un tale sapere non è gratuita: esso promette un potere più forte di quello delle religioni, che comprende e risolve. Esso rischia di barattare un fondamentalismo per un altro, quello che fa rimare il capitale e la causa. È il motivo per cui Il Capitale diviene il Libro e la sua incompiutezza ne aumenta il fascino: si attende la fine». Fin qui arriva Pinchard, il quale confessa di voler seminare elementi di una «poetica di Marx» perché, se il filosofo è morto, «scocca l’ora del suo poema».

 

Di Marx come autore indispensabile dinanzi all’attuale forza regressiva del capitalismo, sul piano della distruzione ambientale e su quello dell’insoddisfazione dei bisogni, aveva già parlato Costanzo Preve, proponendone un recupero come pensatore capace di fondare un comunitarismo alternativo all’attuale individualismo atomistico. Secondo Preve, dunque, con Marx era possibile tornare a dare senso alle relazioni tra gli uomini. Di certo la ricchezza della sua opera si presta non solo a molteplici interpretazioni, ma anche a molteplici utilizzi, purché non si sfruttino ancora una volta le sue intuizioni per imbellettare ideologie già sconfitte dalla storia e ormai improponibili. Sono dunque le pagine marxiane, più che quelle marxiste, a tornare utili per ennesime prese di coscienza dinanzi ad un’attualità che sfugge ad ogni tentativo di sistematizzazione. […] Presa di coscienza, allora, che è anche cammino verso una nuova identità, come singoli e come insieme di uomini e donne. Conoscenza, identità, consapevolezza. Non al servizio di un astratto classismo ma al servizio delle persone. Non potrebbe esserci riscatto migliore per un filosofo lordato dalla bruttezza del totalitarismo comunista.

 

Annalisa Terranova

 

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