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La sola protesta non è militanza politica PDF Stampa E-mail

20 Aprile 2017

 

Da Appelloalpopolo del 17-4-2017 (N.d.d.)

 

In una delle innumerevoli discussioni da sezione di partito si discute della morte della politica. Due le fazioni in campo; quella di coloro che sostengono che la politica sia ormai lontana dalla gente e quella che invece spergiura che la società sia costellata di migliaia di piccole organizzazioni o associazioni che operano sui territori con uno “scopo politico”. E allora mettiamo ordine e diradiamo le nebbie.

 

In primis intendiamoci su cosa sia l’impegno politico altrimenti potremmo continuare per mesi a sommare pere con mele sbagliando i conti. Parliamo di politica nel momento in cui ci troviamo di fronte a organizzazioni associative di cittadini aventi diritto di voto attivo e passivo che si organizzano per perseguire un fine politico ovvero per “determinare la politica nazionale” (art. 49 cost.). Quindi sgombriamo il campo da fraintendimenti.

 

Le migliaia di piccoli movimenti e associazioni, da quelli contro le mafie a quelli per il diritto alla casa fino ai paladini della tutela della nutria, non possono essere considerate associazioni politiche perché il loro fine non è la determinazione della politica nazionale, la quale può essere attesa soltanto attraverso una presenza dei propri rappresentanti presso le sedi istituzionali, ma il perseguimento di un fine reale e circostanziato indipendente dal quadro politico generale. Per intenderci si può “lottare” per il diritto alla casa indifferentemente dal colore dei governi, senza incidere minimamente sul loro indirizzo politico. Quindi se è vero che rispetto al passato ci troviamo di fronte a un aumento esponenziale della “protesta”, perseguita con vari mezzi e un numero impressionante di associazioni e organizzazioni, per converso è sempre più debole la militanza politica propriamente organizzata secondo basi manifestamente ideologiche, intendendo per tali una chiara proposta di organizzazione generale sociale ed economica della nazione che indichi su quali basi si intenda definire la distribuzione della ricchezza, i rapporti di classe e la statuizione dei diritti e del diritto. Ci troviamo di fronte alla nebulizzazione dell’idea stessa di politica che, data la complessità funzionale della società moderna, stenta ad essere compresa a livello popolare se non in forma parziale e frazionaria e tendenzialmente anarcoide cioè svincolata da una chiara idea di “presa del potere”, in quanto statutariamente distante dal potere stesso. In una parola, “protesta”. La protesta non si pone l’obiettivo di ridefinire i meccanismi di funzionamento della società, e non pretende nemmeno di cambiare i suoi vertici, ma implora solo che le richieste provenienti dalla base vengano ottriate per riportare la pace senza che nulla cambi. Facciamo un esempio. Esistono in giro per l’Italia centinaia di movimenti per il diritto alla casa, probabilmente uno per ogni comune d’Italia grande o piccolo; ognuno di essi lotta per l’assegnazione di un alloggio pubblico ai suoi associati. Ogni anno è possibile che qualcuno ottenga quanto preteso e che dunque ritenga di aver portato a buon fine la propria azione senza che nulla in termini generali, per quanto attiene alla politica abitativa pubblica nazionale, cambi di una virgola, testimoniando di fatto la totale assenza di azione politica di tali movimenti. Senza nulla togliere al valore e all’onestà dei cittadini impegnati, nel distinguere dunque la politica dalla “protesta del binario morto”, si può evincere che i movimenti di protesta siano, per quanto in buona fede, a volte non solo inutili ma anche dannosi,  in quanto, nel distogliere la base popolare da un reale impegno politico, favoriscono gli interessi della classe dirigente al potere che per questo spesso li sovvenziona sottobanco e fomenta, mantenendoli in vita con rapporti di sottopotere e inciuci di vario genere, all’insaputa dei sinceri contestatori. Basta che nulla cambi. L’unico e vero impegno politico resta quello profuso in seno a una vera organizzazione politica, meglio se di massa e popolare, che abbia nel suo manifesto e/o nei suoi documenti programmatici contezza di come intenda perseguire in seno alle istituzioni, e non fuori da esse, i propri intendimenti di carattere rivoluzionario, cioè di cambiamento reale dei meccanismi di funzionamento dei rapporti sociali. Chi scambia la protesta per militanza sta solo prendendo in giro se stesso e chi gli sta intorno e perde tempo prezioso giocando a favore del potere che vorrebbe avversare. Considerato che la tendenza attuale è quella del travestimento di movimenti vari con abiti politici, gli elettori, in base a quanto detto sopra, facciano dunque in tanti attenzione a riconoscere la differenza tra un partito e un movimento di protesta o peggio di natura lobbistica, privo di una chiara e definita proposta “Politica” perché le conseguenze delle proprie scelte saranno nei due casi certamente molto diverse.

 

Nicola Di Cesare

 

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