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Inutile fuga dal voto PDF Stampa E-mail

17 Giugno 2017

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Da Rassegna di Arianna del 15-6-2017 (N.d.d.)

 

La più grande delle tragedie di Shakespeare, Amleto, si apre con l’apparizione alle sconcertate sentinelle del castello di Elsinore di un Fantasma, The Ghost, il vecchio re ucciso dall’usurpatore Claudio con la complicità della regina Gertrude, madre del giovane Amleto. Viene da paragonare lo spettro dell’immortale opera del bardo agli elettori assenti italiani e francesi. Fin troppo facile la battuta, c’è del marcio in Danimarca, e senza dubbio anche nell’Esagono transalpino e nel nostro Stivale. Gli elettori francesi, ancora ubriacati dal fulmineo successo di Emmanuel Macron, l’uomo della massoneria e della galassia Rothschild, gli stanno regalando un successo a valanga all’Assemblea Nazionale. Solo due piccoli nei, trascurabili per il potere che vince e se la ride: Macron disporrà di una maggioranza schiacciante in parlamento (oltre due terzi dei seggi) con il 32 per cento dei voti; inoltre, gli elettori francesi che si sono recati alle urne sono stati meno della metà degli aventi diritto, la percentuale più bassa in mezzo secolo circa di Quinta Repubblica. Il dato è ancora più impressionante se pensiamo che in Francia, come in Gran Bretagna e negli Usa, alle liste elettorali occorre iscriversi, e che quindi il corpo elettorale non è formato dall’intera popolazione maggiorenne di cittadinanza francese.

 

In Italia, forse per non essere da meno degli amati/odiati cugini d’Oltralpe, le elezioni amministrative parziali hanno segnato un nuovo record negativo di astensionisti. […] È andata meglio solo nelle piccole e medie città, e nei paesi, probabilmente per la maggiore conoscenza diretta dei candidati. Ad avviso di chi scrive, prima di avventurarsi nelle consuete analisi a caldo, decretando improbabili vincitori e sconfitti, e prefigurando scenari politici nazionali, è indispensabile ragionare su un fenomeno- quello della fuga dalle urne – che sta diventando esodo di massa. In Francia, il recente voto presidenziale è stato essenzialmente un voto “contro”. In perfetta assenza di fascismo, milioni di francesi hanno scelto Macron come male minore rispetto a Le Pen-Hitler. Un terribile peccato di disinformazione, un formidabile capolavoro mediatico e di comunicazione. Meno di un mese dopo, il soprassalto, e tutti a casa, offrendo così su un piatto d’argento un potere incontrastato a chi comanda davvero, i padroni del giovane ex dipendente della famiglia Rothschild, pupillo del super massone Jacques Attali. Complimenti al sistema, anzi, chapeau, alla francese. In Italia, le cose si stanno mettendo allo stesso modo. La gente sta a casa, o va al mare, approfittando della stagione, e chi comanda si frega le mani: il banco vince sempre. […]  i politici, camerieri dei poteri forti discesi a sguatteri, temono l’opposizione e la rivolta, ma sono felicissimi dell’indifferenza e della disaffezione. Tanto, decidono loro, ed il sistema, più male che bene, regge e guadagna tempo. Crediamo poco ai grandi cambiamenti per via elettorale, ma certamente senza partecipazione popolare non vi può essere alcuno scossone […]

 

I latini, maestri di diritto, sostenevano che summum ius, summa iniuria, più leggi esistono, maggiore è l’ingiustizia. Il mercato elettorale, chiamiamolo con il suo vero nome, si è affrettato a proporre una scelta più ampia di quella degli yogurt al supermercato. Nei fatti, le marche importanti sono tre o quattro, ma sugli scaffali decine e decine di confezioni diverse, ognuna colorata e promettente, offrono al pubblico pagante dei consumatori merci diversamente uguali. La politica si è adeguata, e forse mai come nella tornata dell’11 giugno si sono visti simboli, nomi, colori, slogan tanto differenti per “vendere” prodotti politici assai simili. […] Abbiamo trascorso alcune ore sul gradevole sito ministeriale dedicato ai risultati elettorali, e, lo diciamo con qualche vergogna, non abbiamo capito molto su vincitori e vinti, chi sale e scende. Specialmente nelle regioni del Sud, ma il fenomeno è in forte crescita ovunque, abbiamo verificato una proliferazione di candidature e liste che assomiglia ad un rizoma incontrollato. Nomi fantasiosi che non fanno capire nulla dell’orientamento degli schieramenti in campo, simboli le cui uniche costanti sembrano i colori vivaci, un’invasione di cuori e cuoricini, una consolante (se non si trattasse di una forma sofisticata di imbroglio) presenza del tricolore patriottico. Ma il patriottismo a tariffa, lo sappiamo, è uno dei rifugi dei mascalzoni. Tra le parole più diffuse, quelle che richiamano all’unione: uniti per Vattelapesca, unione civica e di seguito, il nome delle mille città e paesi al voto. […] Chi ha vinto, dunque, giacché poi quella è la domanda che esce da tutte le bocche? La risposta è: boh. Premesso che nelle città più grandi si andrà al ballottaggio quasi dappertutto, quindi un giudizio serio è rimandato di due settimane, alcune considerazioni politiche sono già possibili. La più urgente riguarda una fuga dalle urne che sa di rassegnazione, o, al contrario, di consapevolezza che i prodotti sono intercambiabili. Tutti conosciamo le migrazioni da un partito all’altro. Valgono per i fratelli maggiori del parlamento, ma nei comuni il fenomeno è ancora più esteso ed irritante, tanto se ne comprende l’inconsistenza politica e programmatica e, invece, l’urgenza di costruire o salvaguardare carriere personali, tutt’al più di proteggere i bacini clientelari di riferimento. Dal punto di vista di chi propugna forti cambiamenti, c’è una doppia delusione. Scontenti ed incazzati non si uniscono, le voci, numerose e vivaci, non diventano coro né orchestra. Vince il piccolo cabotaggio, il voto d’interesse e comunque, anche a ballottaggi eseguiti, sarà facile a tutti affermare di aver vinto. Il panorama è troppo frastagliato per essere ricompreso ad unità. La sinistra perderà qualche città, il centrodestra riprenderà alcune amministrazioni perdute nei negativi anni successivi al 2011- fine del governo Berlusconi e decomposizione dell’alleanza. Improvvidamente, specie dal PD si celebra anzitempo il funerale dei grillini, effettivamente estromessi da molti ballottaggi. Wishful thinking, è solo un auspicio o pio desiderio, secondo noi. Il voto a 5 Stelle è essenzialmente politico, non si trova a suo agio nei meandri delle burocrazie amministrative, difficile è reclutare gruppi dirigenti che siano capaci non tanto di amministrare (di incapaci con la fascia tricolore è piena l’Italia), ma di convincere quell’Italia nascosta e di mezzo che va dove la porta la convenienza o il portafogli. Certo, liti genovesi ed insuccessi romani hanno avuto un peso, ma allora sarebbe inspiegabile la tenuta del PD, che regge perché ha in mano le redini del potere e quindi i cordoni della borsa, tanto utili allorché si tratta di eleggere sindaci. Grillo ha subito una battuta d’arresto, ma il radicamento dei suoi procede, pur se con problemi, mal di pancia, con il pessimo esempio romano e tante incongruenze. C’è da sperare che esca di scena l’insopportabile Di Maio, il ragazzetto primo della classe carino, elegantino, moderatino, maestro dell’aria fritta e dello zucchero filato. Assomiglia per molti tratti al giovane Fini, un politico multiuso in confezione infiocchettata trompe l’oeil ad uso dei più ingenui, tipo pasticceria del Corso, tutto chiacchiere, distintivo e vuoto pneumatico. Sul centro destra, che dire? Torna competitivo, non è una Ferrari, ma se la gioca nuovamente. Come, ed a che prezzo? Se a trazione liberale ed europeista, è indistinguibile dal PD, se sovranista ed anti immigrazione perde il gradito sostegno di quei settori dei poteri forti interessati all’impresa, alla globalizzazione, alla diminuzione delle tasse per le persone giuridiche ed al dumping assicurato dalla precarizzazione di massa e dall’esercito di riserva dell’immigrazione. La sinistra sociale, non pervenuta, tra comici campi progressisti, vecchi fusti imbolsiti come D’Alema e Bersani e la sbornia dei nuovi diritti individuali, l’innamoramento per gli stranieri e l’indifferenza per la sorte di nuovi e vecchi poveri. Per dirla con Hegel, hanno dismesso la dialettica servo-signore per indossare la livrea gaia, multiculturale ed animalista (ma Berlusconi incalza, con i suoi agnellini ed il cagnolino Dudù). Il quadro, insomma, non è consolante, e forse la miniera inesplorata è nascosta in quell’immensa prateria di italiani che non ci stanno più o non ce la fanno più. La moderazione, la corsa al centro consentono di guadagnare il consenso di chi sta bene e giocarsela in futili ballottaggi. Ma c’è un mondo là fuori, una giungla da esplorare, con la speranza, i rischi e le difficoltà del caso. Possibile che nessuno alzi la testa, che tutti siano d’accordo, oppure l’essenziale è davvero invisibile agli occhi, secondo la bellissima definizione di Saint Exupéry? L’essenziale è raccogliere la bandiera di cambiamenti forti, decisi, autentici salti di marcia. Questo è il messaggio di quel terzo abbondante di italiani che non vota, simile per numero agli esclusi del mercato e della globalizzazione, ma è anche il messaggio di ampi settori che votano Lega, Fratelli d’Italia, Grillo, sinistra radicale e perfino destra radicale, che ha battuto un piccolo colpo, una sorta di esistenza in vita. Manca il fronte, è assente l’idea in comune, la scintilla. Occorre farla scoppiare, o vinceranno ogni volta i furbi, gli allineati, i politicamente corretti. Agli altri, che sono la maggioranza numerica, ma il nulla politico, non resterà che consolarsi con l’aglietto, alla romana, mentre i finti buoni, i falsi moderati, i riflessivi e i conformisti continueranno i loro affari travestiti da ottime intenzioni, retorica, vuote quanto giudiziose enunciazioni. Più che mai, dalle urne vuote di Francia ed Italia, emerge la lezione di Gaetano Mosca e Roberto Michels sulla ferrea legge delle élites, oggi trasformate in semplici oligarchie. Cento organizzati l’avranno sempre vinta su mille, diecimila sbandati privi di un progetto e una guida. Le classi politiche, poi, non si sostituiscono, ma si cooptano con maggiore o minore velocità a seconda dei momenti storici. Lo strappo, la spallata, sembra allontanarsi, intossicata dalla palude. Gli assenti, tuttavia, hanno sempre torto, pur avendo ottime ragioni. Soprattutto, non fanno la storia. Il timore è che abbiano rinunciato anche alla cronaca, se non creano nuovi e grandi movimenti sociali. Solo allora si potrà andare alla riscossa, ed allora ben poco importerà di ballottaggi, faccine e faccioni di ambiziose nullità, centro, destra, sinistra e dintorni, parti in commedia di un unico copione. Ad oggi, il messaggio è ancora in negativo, e resta quello descritto in poesia da Eugenio Montale in Ossi di Seppia: “Questo soltanto oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.” Ecco perché, in molti, perdiamo per rinuncia, e, in politica come nella vita vincono bande di mascalzoni “uniti per Roccacannuccia”. Il nome d’arte dei fatti loro.

 

Roberto Pecchioli

 

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