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8 Febbraio 2018

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Da Comedonchisciotte del 6-2-2018 (N.d.d.)

 

[…] Il fascismo non esiste. Giova ripetere questo scandalo. Esistono moti dell’animo che, in particolari tempi infernali, si solidificano in empiti sovraindividuali. Qual è la situazione, oggi, in un guscio di noce? Da una parte abbiamo un potere dominante, completamente nuovo, fascinoso e aggressivo, che reca l’uomo alla dissoluzione. Dall’altra alcune forze che gli resistono, abbarbicandosi, alla buona, a ciò che ricordano, alle tradizioni di famiglia, a un sentimento vago di sopravvivenza. Da un lato una potenza universale, organizzata, infinitamente ricca, che ha capovolto le gerarchie morali e di valore del mondo e, con la complicità dei corrotti patriziati interni, si prepara a governare in nome dell’Usura e della Bontà Ecumenica. Dall’altro ciò-che-non-è-questo, ciò che non ha nome, è innominabile, e si definisce solo per esclusione rispetto al patriziato e ai loro signori mondiali: plebe. E tale plebe, che si vede perduta, cosa fa? Ha memoria d’un mondo diverso, in cui ogni cosa vantava un senso, un mondo più duro, spesso disperato, ma umano, sociale, vivibile. E chi garantiva tale architettura nostalgica, si chiede il plebeo? Il fascismo? Sì, forse il fascismo è la risposta, riflette il plebeo, magari confortato dagli amici, dalla tradizione familiare. E allora ecco il plebeo adornarsi di simboli vetusti: la croce celtica, la svastica, il Mein Kampf! Il plebeo vive l’ingiustizia tutti i maledetti giorni, da Equitalia al nodo scorsoio delle partite IVA, dal TAEG all’HACCP, dalle città ridotte a immondezzai alla televisione che gli tocca pagare quando accende la luce. L’ingiustizia genera odio. Egli odia. L’odio vuole solidificarsi in qualcosa di tangibile, iconico. Quale? Gengiz Khan, Tamerlano, Nabucodonosor? Vlad Tepes, Buffalo Bill? Cosa ricorda un italiano nel 2018? Forse Mussolini? Mussolini? L’ordine, la gerarchia, la giustizia, la solare romanità. Sì, egli ha in mente tutto questo, e diviene fascista contro il fascismo PolCor. Che tale sentimento sia vero o no, giusto o no, fondato o meno, qui non interessa. A interessare è lo sviluppo psicologico delle anime plebee. Anche chi votava a sinistra sente d’essere perduto, un plebeo perduto, e s’interroga. Non era meglio quando c’era Lui? Non era meglio l’olio di ricino invece della legge Gozzini? Non era preferibile un writer con le braccia rotte invece di una stazione ridotta a pattumiera? Vi ricordate le risposte dei vecchi comunisti all’esterrefatto inviato di Formigli, indistinguibili da quelle di un Di Stefano? Il fascismo c’entra poco. Qui è in atto una ribellione degli italiani, stranieri in patria, contro chi li vorrebbe morti. Tale rivolta si abbiglia come può. Con un gagliardetto fascista, in qualche caso. I babbei, se non fossero tali, dovrebbero interrogarsi non sui gagliardetti che adornano i petti, bensì sulla terribile miscela di risentimento che si agita in essi. Hanno trovato il Mein Kampf a casa Traini! Tombola! Anche a casa mia, a frugare bene, lo si trova. Nell’edizione curata da Giorgio Galli. Tale volume riposa accanto all’Ebreo internazionale, di Henry Ford, a I sette colori di Robert Brasillach e a una biografia di Ernst von Solomon. Ernst von Solomon, “condannato da Weimar, incarcerato da Hitler, processato dagli americani“. Ho anche un reparto dedicato al comunismo, ma quello alla Digos poco interessa.

 

Il ressentiment del plebeo italiano, outsider nel nuovo mondo mirabile, in cosa si concreta? In nulla. La frustrazione viene deglutita, come bile nera, a formare, nello stomaco inacidito, cancri mostruosi. Guardate i volti dei plebei sulla metropolitana. Lividi, permalosi, pronti a esplodere per un nonnulla, cattivi; oppure indifferenti, sconfitti, plumbei, depressi. D’altra parte come potrebbero agire? Non sanno fare nulla. Aspettano. E poi hanno paura. Della condanna sociale. Le parole terribili, i gesti più violenti sono trattenuti in seno. Altra bile, altra malattia. Paura della morale dominante, dell’accusa. Ciò che pensano lo bisbigliano. Sono frasi orribili, sanguinose. E tali rimangono. La disperazione, solo la disperazione taglierà i lacci? Lo vedremo. Nel frattempo un estraneo, uno dei tanti, umiliato, deriso, emarginato, sopravvive nell’Italia profonda. Cerca di uscire dalla foresta dei proscritti. Cosa fa? Si appoggia a tutto, come un naufrago, a qualsiasi relitto, o legnaccio, magari marcio: la Lega, il fascismo. Non ha modo o tempo o concetti per riflettere. Sente di militare in partibus infidelium. Gli hanno rubato il futuro, le parole, la patria. Ciò che per lui si costituiva in senso ora è considerato un’accozzaglia di detriti inservibili. Si aggira ai margini, come un aborigeno ubriacone, indesiderabile. Altri uomini, altre idee vengono santificate. Outsider. A pelle avverte una condanna epocale. Cosa fare, cosa fare? Vorrebbe un Cassio, un essere ultraterreno, fanatico, chiuso, coriaceo, che non defletta mai, un duce, un comandante che gli offra un cielo più mite. Per un tal uomo sacrificherebbe la propria vita! Fedeltà, ordine, chiarezza, definizione. E un senso, un senso all’avvenire. Pur misero! A un uomo simile vorrebbe abbeverarsi, ma trova solo dei simulacri. La speranza, però, lo anima. Ricorda il passato, o altri ricordano per lui: la vita era diversa e non doveva passare per giullare. E allora ecco la Lega, il fascismo, il Mein Kampf. Rottami, trucchi apotropaici, reliquie senza vita. Per un poco tale balsamo lenisce le ferite. Non ha nulla da perdere e, soprattutto, ha un’arma. Aspetta la scintilla dell’acciarino. Pamela, la dolce Pamela, una sorella minore. Tre millenni di storia gli ribollono dentro, incomprensibili, tirannici. Un artiglio risale lo stomaco e gli stringe il cuore. Diviene un automa. Agisce in piena possessione. Non un uomo, ma un Golem: spara, vuota due caricatori. Si fascia della bandiera, tende il braccio destro: altri vestimenti nostalgici. Lo prendono come un bambino. Subirà la condanna dei buoni. Forse, in galera, un giorno rinsavirà chiedendosi: “Perché l’ho fatto?“. In quel momento, infatti, non lui, ma un groviglio di budella ancestrali decidevano in sua vece. Il ricordo del nome, come è giusto, si perderà. Traini, infatti, non è nulla, solo l’affioramento carsico di una ribellione oggi senza soldati.

 

Il Nuovo Ordine ha un’andatura principesca, affabile, delicata, gentile. Lo ammantano le spoglie di un paese defunto, l’Italia. Egli appare come Ercole, paludato con la carcassa dello sconfitto Leone di Nemea. Traini, inconsapevolmente, ripete le gesta del nemico: il Tricolore sulle spalle, l’omaggio ai caduti per la Patria. Ma ciò che lui vorrebbe onorare, purtroppo, è già morto. Non ha fascino, non muove. Le spoglie incartapecorite dell’Italia non spaventano certo il Nemico. Il Nemico, di tutto questo, ridacchia. A ragione. Nella vicenda si avverte un senso funebre di dissoluzione, la sterile celebrazione di una sconfitta annunciata. Solo il sentimento che ha mosso questo gesto può tornare utile al ribelle. Isolarlo nella purezza e concedergli nuovi vestimenti. Dire no, soprattutto. Rifiutare sistematicamente ciò che oggi è considerato lodevole e volgerlo nel suo contrario, ovvero nel contrario del contrario: una disciplina etica assai semplice nella concezione quanto dura da vivere; l’unica che possa permetterci di riavere indietro le giuste coordinate dell’azione. In tal modo si sarà dannati e ci si priverà della nefasta speranza. Vivere nell’inattualità e nel disprezzo degli altri. Ogni epoca ha i propri campi di rieducazione. […]

 

Alceste

 

 

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