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Modi di essere matti PDF Stampa E-mail

6 Marzo 2018

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Da Rassegna di Arianna del 4-3-2018 (N.d.d.)

 

Cincinnati, Ohio.  Una ragazza di 17 anni vuole sottoporsi alle “cure” farmacologiche per diventare   maschio. I genitori, cristiani, si oppongono sostenendo che tale transizione non è nel miglior interesse della figlia. Un tribunale minorile spoglia quei genitori della patria potestà e affida la minore ai nonni, favorevoli al cambio di sesso.  “Hanno una mente più aperta”, ha testimoniato il tutore legale al processo (un’assistente sociale) mentre i genitori si oppongono “per motivi religiosi”; quindi hanno pregiudizi. La giudice, Sylvia Sieve Hendon, nella sentenza ha invitato i politici a elaborare un “sentiero legislativo” per dirimere i casi di conflitto parentale – il che significa mettere gli ormoni usati per cambiare sesso nella lista dei farmaci “No-Parents Asked”, come i contraccettivi e gli abortivi che possono essere dati a minorenni senza che i genitori ne sappiano nulla. […]

 

Una università americana, Kennesaw State University, dotata di un LGBT Resorcce Center, ha inventato nuovi pronomi personali – oltre he e she – per nominare rispettosamente i varii generi. Ora, c’è da mettere qualche punto sulle i. Se esistesse una qualche base biologica per questo fenomeno, la percentuale degli aspiranti trans-gender dovrebbe essere la stessa in ogni Stato. Invece, a Washington, la capitale, i trans gender sono il triplo o il quadruplo di quelli presenti negli altri stati (2,8 su 1000, contro 0.70 o anche 0.30 negli stati rurali).  “La accresciuta visibilità e accettazione sociale delle persone trans gender possono accrescere il numero di persone che vogliono identificarsi come trans”: così ipotizza lo Williams Institute, un centro di ricerca   socio-sessuale presso l’Università di Los Angeles (UCLA). Il filosofo Ian Hacking, che ha studiato la questione, parla di un “contagio semantico” in corso: la mediatizzazione, che pretende di solo descrivere il fenomeno, crea le condizioni per la sua diffusione.  L’attivismo dei  militanti ideologici, l’insegnamento nelle scuole a “non avere pregiudizi” e a “scoprire il proprio gender”,  gli studi accademici sul cambiamento di genere,  la grande “comprensione”  sociale per i trans o LGBT vari,  il fatto che nascano queste cliniche, che  esse siano finanziate e persino forniscano le “terapie” a spese pubbliche, possono di per sé spiegare come mai tanti maschi  arrivino al punto di farsi  amputare i genitali, operazione irreversibile,  per farsi fare dal chirurgo  plastico  una vulva artificiale? I militanti ideologici, che dominano il discorso, dicono che ”uno nasce così”, trans gender o sessualmente insoddisfatto del  suo genere, “donna prigioniera nel corpo di un uomo”.   È il politicamente corrette che viene imposto. Mentre tutti gli indizi suggeriscono questo: “La cultura moderna non rivela i trans, li sta creando” (Anne Hendershott su Catholic World Report). Che i disturbi mentali o del sé siano dipendenti dal contesto culturale di un dato momento storico, o persino da un “contagio psichico” che fa sì vi siano come delle “mode” nelle psico-patologie, è noto agli specialisti. […] Il fatto è che ogni tanto spunta “un modo nuovo di essere matti”.

 

La frase è il titolo di un saggio che Carl Elliott, un medico che si occupa di etica della sanità, pubblicò nel 2000 –  per occuparsi di un ”disturbo del sé” apparentemente più aberrante ancora del cambiamento di sesso. Un chirurgo scozzese aveva amputato le gambe di due pazienti su loro richiesta, ed era stato fermato prima che ne operasse un terzo.  I due amputati avevano difeso il medico, raccontando ai giornali come erano più felici e completi adesso, senza la gamba. Elliott scoprì che il fenomeno è meno raro di quanto si crede. Scoprì diversi casi in cui i pazienti s’erano procurati da soli cancrene, e ferite spaventose, per poter poi andare all’ospedale ed ottenere il taglio chirurgico dell’arto. Altri avevano provato a porre la gamba sui binari … Un piccolo mercato di amputazioni clandestine s’era creato in Messico, dove un ottantenne americano aveva pagato 10 mila dollari per farsi asportare un arto. Elliott ha scoperto che su internet gli aspiranti alle amputazioni, e quelli attratti sessualmente da amputati, si parlavano fittamente in chat-rooms sul web – uno di questi salotti virtuali aveva 1400 iscritti – dove si scambiavano fantasie e consigli su come farsi mutilare di un arto.  C’è anche una ricca produzione di pornografia per amputati, essendo   tale attrazione fortemente sessuale. Inserendosi in uno di questi siti, Elliott ha potuto fare domande ai partecipanti.  “Il mio piede destro non era parte di me, l’ho capito da quando avevo 8 anni”, gli ha comunicato uno. “Non mi sono mai sentita veramente completa con le gambe”, gli ha detto una quarantenne. In generale, tutti spiegavano che con le due gambe “non mi sento me stesso”, e che cercavano l’amputazione “perché voglio vedermi come sono dentro, essere me stesso come sento di essere”. Insomma la stessa motivazione dei trans: “Mi sento imprigionata/o nel corpo sbagliato”. E soffrono veramente. E risultano tetragoni a qualunque trattamento psichico. E solo una volta “tagliati” trovavano serenità. Presto il “diritto a farsi amputare”? Si chiama “acrotomofilia” Che fare? si chiede il bio-eticista Elliott.  Ormai i trans hanno conquistato il “diritto” al trattamento ormonale e alle asportazioni del pene, legalmente e gratis presso il servizio sanitario nazionale; quando questi esigeranno il “diritto” a farsi asportare i piedi e le gambe, “mi interrogo sullo status etico della chirurgia come soluzione. L’amputazione deve essere considerata un atto di chirurgia estetica? O un trattamento psichiatrico invasivo?…” Inquietante sapere che il primo psichiatra a descrivere questa volontà di essere amputato, o di essere attratti eroticamente da amputati, è stato   – nel lontano 1977 – John Money. […] Dice Elliott: “Gli psichiatri, cominciando a diagnosticare psichiatricamente un fenomeno, lo reificano nei manuali, sviluppano strumenti per misurarlo e valutarne la gravità; dirigono i pazienti verso gruppi di sostegno, ne scrivono su riviste – con ciò, possono unirsi a forze culturali più vaste per contribuire alla propagazione di una turba mentale”. Ciò è esattamente quel che è avvenuto con il cambiamento di sesso: da quando è entrato nel discorso pubblico come moneta corrente, “un numero sempre maggiore di persone ha cominciato a interpretar la sua esperienza in termini di “turba della identità di genere” – in qualche misura, sono divenute le persone descritte da questi termini”, fino al giorno in cui tutto sarà rimpiazzato dal nuovo modo di essere matti più culturalmente alla moda. Sul perché c’è gente, peraltro normalissima ed integrata, che cerca di farsi amputare una gamba (o tagliare il pene) Elliott dice di non saper rispondere, se non che nell’uomo la sessualità è malleabile e può comprendere ogni aberrazione. Ma coglie più nel segno quando spiega che questi sono tutti “disturbi del sé”, di gente insoddisfatta della propria immagine corporale come non coincidente con il loro autentico Io. “Non dobbiamo stupirci, perché il linguaggio dell’identità e dell’essere se stesso ci circonda dovunque”. Siamo invitati fin da bambini a “esprimere noi stessi”, ad essere “liberi da condizionamenti e tabù” per far emergere “il nostro io autentico e spontaneo”; “l’invito all’autentica identità è iscritto nella letteratura, nella cultura popolare, nella pubblicità, nella nostra filosofia politica individualista, nella sensibilità terapeutica. È così che parliamo tutti oggi, così che pensiamo: essere noi stessi, far fiorire il nostro Io vero. È questo il modo con cui ci vendono le auto e le scarpe. Parliamo continuamente di “scoperta di sé”, di auto-realizzazione, di auto-espressione, di auto-conoscenza, di non tradire noi stessi, di essere egocentrici. Non è poi una grande scoperta apprendere che il vocabolario del “sé” sembra il modo naturale con cui descriviamo i nostri desideri, le nostre ossessioni –  e le nostre psico-patologie”. Il che suggerisce come uscire da questi modi di essere matti. Le pedagogie di una volta, erano l’opposto e contrario: non invitavano i bambini ad “esprimere se stessi”, ma tutti a dimenticare se stessi in un compito, in un lavoro, come padre e madre di famiglia, come artigiano, come operaio o medico –  in un’arte, in una vocazione.   Michelangelo e Leonardo non hanno “espresso se stessi”; ma hanno dipinto e scolpito i soggetti che gli chiedevano i committenti, papi o re di Francia. Eppure nelle loro opere, rilucono le loro “personalità”, i loro “io inconfondibili”.  Quando gli artisti hanno voluto solo “esprimere se stessi”, la propria preziosa personalità, ecco Picasso, Lucio Fontana e gli sgorbi dei graffitari. A forza di volersi auto-realizzare, si finisce per sentirsi trans, o farsi amputar le gambe. Perché “il proprio Io” è un pozzo senza fondo.  Pieno di modi sempre nuovi per diventare pazzi.

 

Maurizio Blondet

 

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