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Ragnatela che soffoca il ragno PDF Stampa E-mail

9 Giugno 2018

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Da VICTORYPROJECT

 

Intorno a fine maggio 2018 repubblica.it titolava così un video: «Facebook, la lavata di capo del parlamentare Ue a Zuckerberg: “Hai creato un mostro». […] «Mark Zuckerberg ceo e fondatore di Facebook, è stato convocato dal Parlamento europeo per rispondere sul caso di Cambridge Analytica. Molti parlamentari si sono innervositi perché Zuckerberg non è riuscito o non ha voluto rispondere a tutti i quesiti postigli. Guy Verhofstadt, ex primo ministro del Belgio e oggi parlamentare europeo dell’Alde, ha caricato sui social il suo discorso a Zuckerberg, tra i più infervorati della seduta: “Lei deve domandare a se stesso se vuole essere ricordato come Steve Jobs e Bill Gates, i quali hanno arricchito la società, o come il creatore di un mostro digitale che sta distruggendo le nostre democrazie”». Quanto dice il signor Guy Verhofstadt a Mark Zuckerberg sarebbe abbastanza per aprirci gli occhi sul potere che ci sovrasta. Sul controllo assoluto che si sta compiendo. In realtà non basta affatto, è necessario riconoscere e considerare le oligarchie finanziarie che sormontano anche Zuckerberg, accettando di credere alla sua trasparenza e/o innocenza. Vere timoniere dell’orbita del mondo, in grado di accendere e spegnere guerre, governi, spostamenti di popoli, patologie e forse anche clima, per estendere e affermare il proprio dominio planetario, spesso sotto l’egida della pace nel mondo.

 

Oltre del potere che ci sovrasta, sarebbe necessario prendere coscienza anche di quello che ci permea e ci impregna: umore originariamente alieno ma ormai biologico, bypassato da una vita trascorsa sotto la permanente pioggia del fallout di migliaia e migliaia di bombe Com. Quelle lanciate dalle emittenti di chi possiede la comunicazione, e infinitamente rilanciate da ignari dj convinti di lavorare in qualche – si diceva e spero non si dica più – radio libera. Fallout del quale non ci avvediamo, del quale non percepiamo – eroinomani nel flash – la tossicità esiziale. Nelle innocue particelle di jingle, che precipitano h24 ormai a tutte le latitudini, c’è il potere della tecnologia in tutti i suoi tentacoli: giocattoli, il tempo reale, gli ogm, la guida assistita, ecc. Dotato di una sua mente, esso semina e miete. Con abilità artroscopica non lascia tracce. Non c’è settore merceologico che non ne sia avviluppato. La tecnologia è ontologicamente un dio, al cui potere vogliamo genufletterci, alla cui gloria vogliamo celebrare. Spesso, quando non sempre, nel fallout è fatta corrispondere e vissuta come progresso, unico e solo. Nella tecnologia è per noi insito, implicito, costituente la quadratura, il giusto, il perfetto, cioè, ciò che il pensiero comune fa coincidere con quanto ci manca. Così, abbracciando la tecnologia, crediamo di poter dare risposta al mistero, gonfiamo l’ego sociale, politico, individuale ad arroganti misure divine. Queste, meglio di altre, offrono la stima della perdizione in cui viviamo, l’abrogazione di noi stessi in nome della scienza. […]

 

Ma quale progresso può esserci se l’uomo è dipendente da quelle macchine così vantaggiose; se la nostra profondità spirituale da denigrata che era è passata a miglior stato, visto che ora è dimenticata. Visto che ora la ragnatela, ormai composta da fili solo economici, si sta chiudendo su se stessa, soffocando il ragno. […] L’assuefazione è tale che non ricordiamo più d’aver sostituito lo spirito originario con quello offerto dai banchi dei commercianti. Ora crediamo di poter raggiungere i sogni acquistando merci, loro indegne, destabilizzanti, impoverenti succedanee. Ora possono far tramontare il sole e mandarci a nanna. Di come stiamo, allo show non interessa. […]  Se stiamo andando dove non ci piace è nostra responsabilità cambiare, quanto mantenere la via. Così infatti sarà, quando dirigeremo verso mari non più di plastica, di progresso, di opulenza, di miseria spirituale. Mari in cui le reti del Grande Pescatore avranno maglie inadeguate. Dov’è il problema? Non sappiamo più cucinare il cibo, né coltivarlo o procurarlo, non sappiamo più rispettare il ritmo delle stagioni con tutto il loro significato per la vita terrena, e crediamo davvero se ne possa fare a meno, ci ammaliamo e diamo la colpa all’età. Il nostro impegno è avere e invidiare chi ha di più, sentire un fiotto di autostima davanti a chi ha di meno. Il nostro impegno è donare uno spicciolo al semaforo e proseguire verso i fatti nostri, lasciando che l’empatia con chi sta peggio vada a farsi benedire. […] Siamo sensori e abbiamo disimparato a raccogliere i segnali del corpo e del mondo. Imbrattati di falsi valori non siamo più in grado di sfruttare noi stessi. […] Il problema è che pensiamo che la medicina faccia il nostro bene, che i

 

farmaci siano proprio quello che serve. È che non ci avvediamo che sono proprio loro, collusi alla classe medica, che alimentano e implementano malattie e persone malate; che la salute è uno dei più grandi business capitalistici del mondo. […] «Ti abbassiamo lo stipendio, ma lo compenseremo con un aumento del bonus per gli antidepressivi.» È che siamo polli di allevamento, spiriti obnubilati, siamo merce. I giovani, e non solo, sono contenti di fare la pubblicità per una multinazionale. Per pochi denari precari danno i loro migliori sorrisi. I figli sono deboli. In una sola generazione digitale l’abbiamo constatato in diretta. I padri anche. Cosa significa essere forti? Non riguarda saper scaricare una motonave a spalle, riguarda avere la capacità di riconoscere se stessi, le proprie doti e le proprie debolezze, significa saper coltivare le une e ridurre le altre, significa valorizzare quanto sentiamo e ridurre il monopolio della razionalità e della sapienza da ciò che abbiamo anonimamente appreso; significa libertà dalle ideologie e dagli interessi personali; significa poter riconoscere ciò che fa per noi da ciò che è opportuno scartare; saper rinunciare senza per questo risentire di qualche occasione perduta. Certo, perché significa anche non invidiare, semmai amare chi è meglio di noi per coltivare quanto ci manca. Compiremo le scelte per donare un esempio di forza a chi verrà o daremo la colpa a qualcosa per non esserci riusciti?

 

Lorenzo Merlo

 

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