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Un'Internazionale Neocon PDF Stampa E-mail

4 Ottobre 2018

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Da Rassegna di Arianna del 2-10-2018 (N.d.d.)

 

In questi giorni Steve Bannon è sicuramente il personaggio che sta facendo parlare più di sé negli ambienti sovranisti. L’ex chief strategist di Trump è salito agli onori delle cronache per aver inaugurato “the Mouvement”, il movimento appunto, che dovrebbe essere collettore di tutti i partiti sovranisti d’Europa, da Marine Le Pen a all’FPO austriaco, da Victor Orban a Matteo Salvini. L’idea del consigliere di Trump è quella di creare una sorta di fondazione in grado di sostenere finanziariamente tutti i partiti populisti d’Europa. L’obiettivo dichiarato dallo stesso fondatore è quello di creare una organizzazione in grado di far fronte all’Open Society di George Soros che ha nel tempo finanziato con 32 miliardi di dollari, Ong, associazioni che promuovono l’immigrazione, la libertà in temi bio/etici come aborto e eutanasia, lega LGBT ecc. La creazione di un movimento Anti-Davos, in grado di organizzare le forze identitarie di tutta l’Europa contro le élite cosmopolite e i loro valori progressisti. Alle soglie delle elezioni europee del prossimo maggio, una “coalizione delle destre” concorrerà per prendersi un terzo del parlamento europeo. In campo quindi sembrano esserci due fazioni, una di stampo globalista, legata ai partiti di sinistra e alla finanza sorosiana; l’altra, un raggruppamento di tutti partiti nazionalisti d’Europa. Questo il quadro generale.

 

Quello che in questa sede ci interessa capire è se l’iniziativa di Bannon rappresenti una opportunità o riservi dei rischi, che cercheremo di analizzare. In una intervista rilasciata all’inviato del Giornale.it Sebastiano Caputo, il leader dell’Alt Right americana, traccia su un foglietto i nomi di tre paesi: Turchia, Iran e Cina. “Sono loro i nostri nemici” dai quali l’Occidente deve difendersi. Per fare ciò è necessario inglobare la Russia nel blocco occidentale e non più vederla come “nemico”. Dietro questi intenti distensivi di Bannon, le parole di elogio di Trump alla Russia di Putin, l’impegno comune contro il terrorismo, riemergerebbe il solito progetto di tagliare i ponti alla Russia attraverso dei “choke points” in Asia Centrale, dove come sempre, si gioca la partita eurasiatica. Ankara, Teheran e Pechino, sono indicati come nemici principali, solo perché la strategia delle amministrazioni americane precedenti hanno fallito, per cui, seguendo quel detto orientale “se non puoi uccidere il tuo nemico, abbraccialo”, la nuova strategia americana è in realtà una rivisitazione della vecchia dottrina Brezinski, che mira solo apparentemente ad armonizzare i rapporti con la Russia ma sempre creandole terra bruciata intorno, di modo da impedire la formazione del grande blocco euroasiatico. Come ricorda Caputo, per la formazione di una “green Belt” attorno alla potenza ex sovietica, è necessario coinvolgere Arabia Saudita, India, Pakistan, Egitto ed ovviamente Israele, soggetto quest’ultimo, su cui ritorneremo per comprendere meglio anche la figura di Bannon. In Europa poi, l’alleato-nemico di sempre è la Germania. La sua indipendenza economica, la riluttanza a certi dettami americani, come la contrarietà alle sanzioni all’Iran e il progetto di un raddoppio del gasdotto North stream, stanno portando al pettine diversi nodi irrisolti tra Washington e Berlino. Non a caso la rivoluzione giallo-verde è stata caldeggiata e promossa dagli States, con grande entusiasmo mostrato sia da Bannon che da Trump, proprio per indebolire la Germania. Ed è stata appunto l’Italia quel laboratorio socio-politico che ha visto emergere il “popolo contro le élites” e che sta avendo riverberi su tutto il continente.

 

I pericoli, come accennavamo, sono rappresentati dalla possibilità che gli identitarismi europei possano essere fagocitati da un paradigma neoconservatore, che riadattato ai tempi correnti, con nuovi miti e linguaggi, risulti funzionale alle strategie di dominio americano. I valori dell’ “Open Society”, il “dirittoumanismo”, la volatilizzazione dell’economia, non sono più gli strumenti adatti per gestire questa epoca di transizione. Ecco perché probabilmente i “think tank” del Pentagono (che sono poi i reali decisori di ogni partita che si gioca negli Usa), hanno marginalizzato “Wall street”. Necessario puntare su un capitalismo “illuminato”, più attento ai bisogni della gente e a modelli reali di sviluppo. Ciò che ci interessa capire, è quanto l’interesse degli Usa per i populismi europei sia strumentale al rilancio di una politica di potenza americana, considerando la retorica millenaristica che fa Bannon ed i paesi che designa come nemici. L’ossessione per l’Iran, l’abbraccio al Re Saud e soprattutto il legame con Israele e Bibi Netanyahu, sono troppo convergenti alla tradizione di un certo neoconservatorismo americano. Il vero volto del redattore di Braibhart, insomma, non sarebbe altro che quello di un neocon, ammantato da un nuovo linguaggio populista. Utilizzare i populismi per spaccare ed indebolire la UE ed al limite per “agganciarli” al nuovo corso della politica americana.

 

Come sembra plausibile, sono diversi i fattori che fanno sorgere molti dubbi sul consigliere di Trump e l’autenticità del suo progetto di una ”internazionale di destra”. Cavalcare l’onda populista, quindi, ma stando sempre attenti agli attori che cercano di addomesticarla ad interessi strategici, che,  è bene ricordarlo, sono sempre quelli di Washington.

 

Antonio Terrenzio

 

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