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Marxisti sovranisti PDF Stampa E-mail

14 Novembre 2018

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Da Rassegna di Arianna del 12-11-2018 (N.d.d.)

 

“Socialismo o barbarie” è uno slogan marxista di vecchia data, Rosa Luxembourg lo attribuisce ad Engels: se non si passa dal capitalismo al socialismo, la caduta nella barbarie è il destino dell’Occidente.  Adesso un saggio scritto da due marxisti, l’italo-inglese Tomas Fazi e William Mitchell, riecheggia quel motto celebre ma al contrario: “Sovranismo o Barbarie”.  Abbiamo capito bene: due marxisti, pubblicati da una editrice “rossa”, invocano il ritorno alla sovranità nazionale, perché (cito dalla recensione che ne fa Carlo Formenti su Micromega) “lo stato-nazione è la sola cornice in cui le classi subalterne possono migliorare le proprie condizioni e allargare gli spazi di democrazia”. Da marxisti, i due sono convinti che l’ordinamento dello stato dipende dall’economia – la “struttura” da cui nasce la “sovrastruttura”.  Quindi attribuiscono la felice lunga stagione dal dopoguerra agli anni ’70, con ”elevati tassi di crescita economica, alti livelli di occupazione, salari e profitti crescenti, un’estensione dei diritti sociali ed economici mai conosciuta nelle ere precedenti, nonché una relativa stabilità finanziaria a livello internazionale” a  uno specifico regime di accumulazione capitalista – il fordismo – associato a un modo di regolazione politica dell’economia fondato sull’interventismo statale”.

 

La “entrata in crisi” del modello fordista di accumulazione capitalistica sarebbe la causa della “entrata in crisi” della sovrastruttura, l’ideologia e le politiche keynesiane con la loro connotazione “sociale”.  Detto così, può sembrare un fenomeno storico inevitabile, e il passaggio al globalismo con l’evirazione dello stato nazionale, la perdita della sovranità monetaria, e dello stato sociale, eventi “oggettivi”.  Inevitabili. Forze storiche contro cui non si vince. Infatti questo ci ripetono le “sinistre” salottiere, stilistiche, botuliniche che parlano da tutti i talk-show televisivi. Le giornaliste botulinate e strapagate perché “progressiste”.  Invece, il vostro cronista che si è occupato (anche) di economia per trent’anni, ha visto e documentato (in “Schiavi delle Banche”) come le “sovrastrutture” del globalismo che ha distrutto il “keynesismo” (e il benessere e la crescita) siano state progettate e imposte da leggi dello Stato, che abolivano le leggi precedenti. Tipicamente, ciò che era punito come “fuga dei capitali” quale crimine, divenne “libera circolazione dei capitali”; i dazi furono abbassati per legge esponendo i nostri lavoratori alla concorrenza di messicani, cinesi, romeni. Le borse internazionali furono coordinate apposta per trasformarle in una borsa mondiale aperta 24 ore su 24, dove quando chiudeva Wall Street aprivano Londra, e poi Tokio. Trucchi della “ingegneria finanziaria” come i derivati, che prima sarebbero stato soggetti ai rigori del codice penale, furono legali.  Le leggi che su imitazione della Glass-Steagall Act vietavano alle banche di giocare nel casinò finanziario i depositi dei risparmiatori, furono abolite in tutti gli Stati occidentali. I mutui concessi dalle banche americane non restarono più nei libri contabili di dette banche, con il loro rischio di insolvenza dei debitori; furono macinati insieme   a migliaia e rivenduti a pezzetti a fondi-pensione con la promessa che questi oggetti “davano un interesse”. In pratica le banche sbolognarono il rischio che s’erano assunte prestando soldi a ragazze-madri negre con salario precario da 600 dollari a mese, a terzi ignari: roba da codice penale, una volta. Le norme penali adesso non valevano più.

 

Insomma il supercapitalismo finanziario terminale non è un fenomeno naturale.  È stato progettato, voluto, preparato con leggi che abolivano le leggi. Apprendo con piacere che anche per Fazi e Mitchell è sbagliato interpretare tale processo come un “indebolimento dello stato”, “occorre al contrario prendere atto che proprio gli stati – a partire dal nostro – hanno scelto autonomamente di subordinare le proprie scelte a vincoli esterni, il che non significa che si sono suicidati, bensì che hanno attuato con successo un progetto radicale di indebolimento delle classi lavoratrici e di svuotamento della democrazia”. I due hanno la franchezza di notare che “le sinistre” hanno responsabilità primarie nell’aver creato la nuova ideologia neoliberale diventata Stato: come le “teorie nate negli stessi ambienti di sinistra, come la tesi secondo cui una delle cause fondamentali della crisi era la spirale incontrollata della spesa pubblica”.   Non dimenticano che “già a partire dagli anni Settanta Enrico Berlinguer tesserà l’elogio dell’austerità come strumento per rilanciare crescita e occupazione”, come un odierno Cottarelli o una tanto de sinistra come la Veronica de Romanis, che si ritiene una economista essendo moglie del banchiere Bini Smaghi, miliardaria, e autrice dell’aureo libretto “L’austerità fa crescere”. Dai primi anni Ottanta all’ingresso nell’area dell’euro – scrive il recensore su Micromega-   la frana diverrà inarrestabile. I Carli, gli Andreatta, i Ciampi e il grande privatizzatore Prodi avranno mano libera per scandire le tappe di una marcia accelerata verso la de-sovranizzazione, de-politicizzazione e de-democratizzazione dello stato italiano: adesione allo SME, divorzio fra Tesoro e Banca centrale, approvazione del Trattato di Maastricht, fino al colpo di grazia della rinuncia al potere di emissione della moneta e all’integrazione nell’area dell’euro, che imporrà “ l’inserimento obbligatorio del neoliberismo in Costituzione e il divieto di adottare politiche keynesiane”. Conclusione dei due marxisti:

 

“Oggi, dopo decenni di smantellamento sistematico, non resta altra alternativa se non riconquistare la sovranità nazionale e popolare come presupposti irrinunciabili per rilanciare quel progetto politico che venne accantonato quarant’anni fa, a partire dalla sovranità monetaria e dalla conseguente possibilità di finanziare il fabbisogno della spesa pubblica attraverso l’emissione di moneta”.  Le ragioni dell’esplosione del debito pubblico italiano negli anni Ottanta non sono da ricercare in un improvviso aumento della spesa pubblica – che anzi è rimasta in linea con la media europea per tutto il periodo – ma piuttosto nella decisione di far aumentare vertiginosamente i tassi di interesse (funzionale alla partecipazione dell’Italia al Sistema monetario europea (SME), in primis attraverso il “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro del 1981 (Fazi). Insomma i due marxisti arrivano alle stesse conclusioni di Claudio Borghi,  Savona  e Bagnai. Tornare a quegli anni ’70 “in cui abbiamo fatto ampiamente ricorso alla spesa in deficit –   e il nostro rapporto debito/PIL è rimasto relativamente stabile intorno al 50-60%, grazie soprattutto alla parziale monetizzazione del deficit pubblico e al calmieramento dei tassi di interesse da parte della Banca d’Italia” (Thomas Fazi).

 

Che dire?  È evidente che tutte le personalità che nello spazio pubblico, giornalistico, televisivo e accademico, parteggiano per l’euro e fanno il tifo per lo spread, invocano il ritorno dei “tecnici” e idolatrano Draghi che ci punirà e farà cadere il governo “fascista” e “razzista” – i Formigli e le Gruber, i Floris e i direttori di Repubblica – stanno usurpando. Usurpano il nome di “sinistra” – l’hanno portato via a Fazi e Michell – e usurpano lo spazio pubblico televisivo – politico che spetterebbe a loro, i marxisti. A  ben pensarci, la cosa è evidente. Salvo errori, mai Thomas Fazi o Fassina vengono invitati nel salottino della Gruber o della Berlinguer. Nei talk show “progressisti” pro-euro invitano sì Diego Fusaro, ma come si mostra in gabbia un animale estinto, pittoresco per il suo linguaggio antiquato, il “Marxista di un tempo”; avendo cura di tagliarne l’audio al momento giusto e farne svanire il collegamento.  Gli usurpatori del nome Sinistra non danno alcuno spazio a quelli di cui hanno usurpato lo spazio politico, e lo danno alle miliardari-economiste. E i Fazi e i Fassina sono dei senza-casa, impossibilitati ad esporre le loro idee di sinistra vera nei media di massa. Esiliati. Chi può capirli meglio del vostro cronista. Da cattolico, constata e soffre l’occupazione del Vaticano della setta sodomitica, che usurpa il nome di “Chiesa” per benedire nozze gay, lavare piedi a musulmani, e proclamarla “accoglienza senza limiti”, facendo passare tutto questo per “misericordia”. Da   vecchio “conservatore”, ha visto usurpare il nome e il concetto dalla potente setta degli ebrei ex trotzkisti americani, definitisi “neocon”, ossia neoconservatori, e compiere sovversioni dall’Ucraina alla Siria ed oltre, e cercare di distruggere ogni valore di destra e chi lo incarna, come Putin. È un’epoca dove dominano le contraffazioni in ogni campo, di mascherature e di camuffamenti dovunque.  In questo politica “populismo” diventa “l’anatema da scagliare contro ogni forma di opposizione al pensiero unico liberal liberista”.  Sovranismo, per accreditare cioè l’associazione automatica fra ogni posizione politica che rivendichi la riconquista della sovranità nazionale e l’uscita dall’Unione europea –   e i nazionalismi di destra” (Formenti).  Marxisti che siano allo stesso tempo sovranisti, sono in grado di dimostrare e argomentare che il recupero della sovranità non è una patologia “identitaria” pulsionale parafascista, ma una necessità democratica e dello stato di diritto.  Quindi l’esilio tv. La contraffazione universale sembra essere la necessità conseguente all’usurpazione generale del potere legittimo, in ogni campo, da parte di poteri indebiti, che si reggono sulla menzogna. […]

 

Maurizio Blondet

 

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