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Concorrenza criminale PDF Stampa E-mail

24 Dicembre 2018

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Da Appelloalpopolo del 21-12-2018 (N.d.d.)

 

Gli ordinamenti giuridici storicamente esistiti basati sul principio di concorrenza hanno – sempre e immancabilmente – prodotto monopoli. La realizzazione di monopoli, quale risultato dell’operare del principio di concorrenza, è assolutamente coerente con il fine ‘politico’ del liberalismo; ossia l’abbattimento dello Stato, inteso come unico soggetto in grado di redistribuire la ricchezza e garantire benessere e sviluppo per tutti i cittadini. Non è, infatti, possibile pensare la concorrenza senza (ri)pensare il ruolo dello Stato. In realtà, a ben vedere, la concorrenza non è altro che una disciplina dei pubblici poteri (il concorrere tra più imprese per aggiudicarsi la scelta del consumatore è un fatto, non è una disciplina giuridica, ed è compatibile con regimi che non si fondano sulla concorrenza). L’effetto – e, dunque, il fine – del principio di concorrenza non è, come sostengono nelle università, il mantenimento dei mercati in una condizione in cui nessuna impresa sia in grado di fissare autonomamente il prezzo, perché, semplicemente, questo sistema alla lunga non conviene alle imprese che su quel mercato operano. Mi pare un fatto evidente; c’è poco da dire al riguardo.

 

Come ci ricorda il Capo della Vigilanza BCE, il principio di concorrenza favorisce la chiusura delle imprese più piccole, indipendentemente dal fatto che siano le migliori sul mercato, creando le condizioni per il formarsi di poche grandi imprese che si comportano come un’unica, grande, impresa nei confronti del mercato, ossia dei cittadini. La realizzazione di monopoli privati è grandemente svantaggiosa per i cittadini. Non solo perché i prezzi dei beni nei mercati monopolistici sono più alti (il prezzo di monopolio è maggiore del costo marginale e la differenza costituisce l’extra profitto del monopolista) ma, soprattutto, perché la creazione di monopoli consente la formazione di poteri privati, dinanzi ai quali non si erge più alcun soggetto dotato dei mezzi adeguati per ripristinare l’uguaglianza. Da un lato, quindi, il principio di concorrenza annienta lo Stato, dall’altro crea le condizioni e agevola la formazione di poteri privati, venendo così a creare le condizioni per regimi di fatto meno democratici che favoriscono la concentrazione della ricchezza in capo a pochissimi soggetti: insomma, basta guardare dalla finestra. A ben vedere, per i cittadini, non c’è grossa differenza tra la mano invisibile dei mercati e la mano invisibile che si incontra sulla metro o sul tram. Se non fosse che, oltre alla ricchezza, i sistemi basati sulla concorrenza producono un preoccupante trasferimento di sovranità, inteso come potere e libertà di scelta, in capo a pochi grandi famiglie che, avendo interessi comuni ed essendo appunto poche, si coordinano agevolmente agendo come un unico centro di potere. In sostanza, i regimi basati sulla concorrenza portano, di fatto, all’esclusione della gran parte dei cittadini dal circuito politico, dalla partecipazione politica e, quindi, dalla cittadinanza. Il riflesso istituzionale di ciò è lo svilimento del Parlamento, tipico dei regimi basati sulla concorrenza, a favore dell’esecutivo e, soprattutto, la nascita di autorità indipendenti dallo stesso circuito democratico-parlamentare che operano senza alcuna finalità redistributiva. Nei sistemi basati sula concorrenza non c’è solo impoverimento materiale, c’è anche e soprattutto esclusione dalla partecipazione politica. Nelle celebrazioni della dottrina keynesiana del “welfare state” si dimentica spesso che il benessere economico è solo una parte del tutto e che l’uomo non ha solo una dimensione. Anche il Tiranno può darti benessere. Puoi avere servizi e benessere ed essere, nello stesso tempo, escluso dalla partecipazione politica: ossia non contare nulla. In ciò consiste lo Stato di Polizia, o un dispotismo benevolo.

 

La nostra Costituzione prevede un progetto molto più progredito del modello del welfare State, proprio perché il principio lavorista, sul quale la Costituzione si fonda, è inscindibilmente collegato al principio della partecipazione politica, colorandosi di un fine etico irrinunciabile. Ecco perché la nostra Costituzione è basata sul principio lavorista; perché rifiuta la scissione del cittadino nella dialettica distruttiva lavoratore – consumatore che è invece perseguita dai regimi basati sulla concorrenza (i consumatori chiedono prezzi più bassi, preparando così la via a riduzioni del loro stesso salario), perché pretende che il cittadino partecipi alla vita politica facendosi carico di scegliere e di lottare per l’attuazione della Costituzione. Ecco perché il principio di concorrenza, creando monopoli, è criminale e deve essere espunto dal nostro ordinamento.

 

Stefano Rosati

 

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