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Conversioni all'islam PDF Stampa E-mail

19 Febbraio 2019

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Da Rassegna di Arianna del 17-2-2019 (N.d.d.)

 

Che cos’hanno in comune tre personaggi così diversi fa loro come l’esoterista e filosofo francese René Guénon (1886-1951), il cantautore folk britannico (ma di origini greco-cipriote e svedesi) Cat Stevens (classe 1948, vivente) e il giornalista e scrittore siciliano Pietrangelo Buttafuoco (classe 1963, vivente)? Parrebbe una domanda strana, bizzarra; di quelle cui forse neanche Massimo Inardi o la signora Longari, ospiti dei programmi televisivi a quiz di Mike Bongiorno, avrebbero saputo rispondere. Eppure, la risposta è semplicissima: hanno in comune il fatto che il primo, dal 1912, è divenuto Shaykh 'Abd al-Wahid Yahya; il secondo, dal 1977, è divenuto Yusuf Islam o semplicemente Yusuf; e il terzo, dal 2015, è divenuto Giafar al-Siquilli. In altre parole, tutti e tre hanno subito il fascino della religione islamica, fino a convertirsi alla fede del Corano. E tutti e tre erano esponenti di una cultura europea che, ancora pochi anni fa, pareva solida e ben cosciente di se stessa e della propria tradizione: rispettivamente nel campo filosofico ed esoterico, in quello artistico-musicale e in quello giornalistico e letterario. Il primo era nativo di Blois, sulla Loira; il secondo è nato a Londra; il terzo a Catania. Tutti e tre hanno viaggiato parecchio e sono venuti a contatto con ambienti cosmopoliti, anche se in tutti e tre è ravvisabile un forte radicamento nelle rispettive culture di origine. Il raffinato intellettuale Guénon è impensabile, o perlomeno risulta incomprensibile,  fuori della cornice della Francia del primo Novecento, con il decadentismo, il simbolismo, il maritenismo, le avanguardie; e se è vero che “La crisi del mondo moderno” (1927) e “Il regno della quantità e i segni dei tempi” (1945) possono essere letti come il frutto di una ricerca spirituale di sapore universale, che attinge a tutte le tradizioni d’Oriente e d’Occidente per giungere a una suprema sintesi ideale, resta innegabile che le si può leggere anche come la risposta che una certa cultura francese, fra simbolismo ed esistenzialismo, dà alla coscienza della propria crisi, interpretata come la crisi di tutta la civiltà occidentale. Un discorso analogo si può fare, in un ambito completamente diverso, per la musica folk di Cat Stevens: in canzoni che hanno avuto un vasto successo e alcune delle quali sono state prese a simbolo di una intera generazione, come Wild World e Father and Son, entrambe del 1970, Steven Demetre Georgiou, in arte Cat Stevens, le sonorità delicate e la vena misticheggiante risultano fortemente legate alla tradizione musicale greca, filtrata attraverso l’ambiente cosmopolita londinese. Infine libri come “I cinque funerali della signora Göring” e “Le uova del drago” tradiscono il radicato interesse del loro autore per il fascismo e le ideologie di destra, ma anche un certo gusto siciliano per le atmosfere e la mentalità dell’isola mediterranea, che lo connotano fortemente in senso storico-culturale e geografico. Ma chi avrebbe detto che il coltissimo esoterista francese si sarebbe convertito all’islam; che l’autore di dolci melodie come il cantante anglo-cipriota avrebbe mostrato, un giorno, se non di condividere, certo di non biasimare la fatwa lanciata dall’ayatollah Khomeini nei confronti dello scrittore Salman Rushdie, autore dei Versetti satanici (accadde nel 1989, nel corso di un incontro con degli studenti londinesi), e che l’irruente, anticonformista scrittore e giornalista catanese, apertamente nostalgico dell’estrema destra, avrebbe deciso di spingere il suo amore per la tradizione siciliana fino ad abbracciare la fede che dominò sull’isola nei secoli del Medioevo? Eppur è accaduto; e ci siamo limitati a scegliere tre casi particolarmente emblematici, fra i molti altri sui quali avremmo potuto fermare la nostra attenzione. La domanda, pertanto, non può essere che questa: che cosa rende appetibile la conversione all’islam per un europeo di buona cultura, quando si direbbe che tutto, nella tradizione culturale europea, vada in una direzione totalmente diversa da quella?

 

Ci sembra che sia una domanda importante, visto il momento che l’Europa sta vivendo e vista la rapidissima crescita demografica dell’elemento islamico dovuto al fenomeno in atto delle migrazioni/invasioni provenienti dal Medio Oriente e soprattutto dall’Africa. Se, infatti, agli islamici provenienti da quelle regioni, o nati da genitori immigrati, si aggiungessero anche le conversioni di europei alla religione del profeta Maometto, non occorre essere degli indovini per capire che la civiltà europea sarebbe giunta veramente al capolinea. Aderire all’islam, infatti, per un europeo, equivale anche a rifiutare, sostanzialmente, la propria tradizione, non solo in ambito strettamente religioso, ma che in ambito giuridico, filosofico, artistico, culturale. Infatti la civiltà europea, nata dall’incontro fra il cristianesimo e le migrazioni dei popoli germanici, si caratterizza fin dai primi secoli per la fervida ricerca teologica, per un’arte di tipo realistico, per una graduale distinzione fra l’ambito giuridico e quello religioso, fra il cittadino e il credente: tutte cose che non trovano alcun riscontro nella cultura islamica, dove, anzi, sono fermamente proibite o scoraggiate. È infatti difficile, se non impossibile, parlare di una vera e propria teologia islamica, perché l’islam ha un concetto rigidissimo e letteralistico della interpretazione del Corano (eccezion fatta per alcuni gruppi marginali, come il sufismo; quelli appunto che piacevano a intellettuali come Guénon); infatti, se è proibito discutere delle Scritture, di quale teologia si potrà mai parlare? Allo stesso modo, la concezione islamica del divino vieta la rappresentazione non solo di Dio, ma della stessa figura umana, in quanto l’uomo è fatto a immagine di Dio, e quindi raffigurare l’uomo potrebbe sembrare come un tentativo, sia pure indiretto, di raffigurare Allah, l’inesprimibile. E la mancata separazione fra diritto e fede religiosa implica la possibilità che si verifichino episodi come quello della già ricordata fatwa contro uno scrittore ritenuto blasfemo, fatwa che ogni buon credente ha l’obbligo di rispettare e, se possibile, eseguire. Quindi, nella cultura islamica, non ci sarebbe mai stato spazio, e non c’è neppure oggi, per un’opera come la Summa teologica di Tommaso d’Aquino, o come la Divina Commedia di Dante (e non solo per la condanna all’inferno di Maometto, ma proprio per il tentativo di rappresentare Dio) o il Giudizio universale di Michelangelo, e meno che mai per il Codice di Giustiniano o per il Codice napoleonico. In breve, l’adesione all’islam implica una specie di abiura, per un europeo, di tutta la sua cultura e di tutto il suo patrimonio ideale, compresa l’idea di ragione, la ricerca filosofica, la libertà del pensare, la libertà dell’espressione artistica. […] Resta perciò la domanda: perché? Perché un europeo, con duemila anni di storia alle spalle, con duemila anni di civiltà occidentale (duemilaottocento, se partiamo dall’Iliade di Omero) dovrebbe gettare alle ortiche questa ricchissima tradizione, per abbracciare una religione assai più giovane (secondo il calendario islamico, che parte dal 622 d.C., quest’anno siamo nel 1440) e che presenta tali e tante proibizioni e negazioni della sua tradizione originaria? Evidentemente, ciò ha qualcosa a che fare con la perdita di amore per la cultura europea da parte degli europei; con un senso di vuoto, d’insoddisfazione, d’inquietudine, e anche con un senso di frustrazione e di delusione per le mancate risposte rispetto ai grandi problemi esistenziali. Il vuoto attira il pieno: una civiltà non può vivere nel deserto dei propri valori; presto o tardi i suoi membri sentono il bisogno di riempire quel vuoto con un “pieno”, con dei valori nuovi, visto che i vecchi si sono dimostrati impotenti o insufficienti. Ora, da molto tempo la società europea coltiva scientemente il vuoto, cioè il rifiuto e il disprezzo di se stessa, e corteggia ogni forma di nichilismo e di disordine intellettuale e morale; era logico aspettarsi che, a un certo punto, vi sarebbe stata una reazione e le persone sarebbero tornare a domandare un cibo più nutriente per affrontare la traversata della vita. L’islam, religione giovane, per certi aspetti appare a non pochi occidentali (e non solamente a loro) come una ideologia politica e sociale, prima ancora che come un insieme di credenze soprannaturali, e, in tal senso, fornisce una risposta all’odio che essi provano nei confronti della propria cultura; in un certo senso, come l’equivalente di ciò che significava, negli anni ’70 del secolo scorso, aderire a qualche gruppuscolo dell’estrema sinistra (o dell’estrema destra) e militare attivamente per la distruzione dello stato di cose esistente. Solo così si spiega il fatto che alcuni giovani, e specialmente alcune ragazze, hanno ritenuto cosa giusta e buona, dopo essersi convertite all’islam, partire per la Siria o per qualche altro Paese islamico e ricevere un addestramento militare, in vista di una lotta armata contro i “crociati”, ossia contro i cristiani. E non si tratta solo di figli e figlie d’immigrati della seconda o terza generazione, ma anche di europei, figli di europei, che sono venuti a contatto con l’islam in maniera indiretta, tramite letture, conoscenze personali o frequentazione di siti informatici. Certo, si tratta – per ora – di piccoli numeri, o comunque di numeri relativamente modesti: ma è doveroso prendere buona nota di certi fenomeni sin dall’inizio, se esistono, come in questo caso, le condizioni affinché ingrossino e divengano fenomeni sempre più frequenti.

 

Tuttavia, il problema del disamore di sé, da parte degli europei, deve essere analizzato meglio. La tradizione che gli europei (e gli occidentali) moderni odiano, è proprio la tradizione cristiana, non quella umanistica, laica, razionalista, scientista, illuminista, positivista, sviluppatasi negli ultimi secoli. Infatti questa civiltà, incentrata sull’uomo, è sorta, storicamente e ideologicamente, in contrapposizione alla civiltà cristiana, centrata su Dio. E il culmine di questa parabola antropocentrica è stato raggiunto allorché, il 24 marzo 2017, parlando al Parlamento (massonico e anticristiano) di Strasburgo, il signor Bergoglio ha affermato testualmente che la speranza dell’Europa consiste nel mettere l’uomo al centro. L’uomo, non Dio: detto da un papa. E tuttavia la cultura laicista, materialista, massonica, ha largamente fallito: non ha mantenuto alcuna delle sue grandi promesse: non ha portato agli uomini né la pace, né il benessere, né la sicurezza, né la giustizia, e neppure la libertà, se non al prezzo di pesantissime, continue limitazioni e intromissioni da parte dei poteri esterni nella vita dei cittadini. I quali cittadini si vedono minacciati anche nelle cose più strettamente necessarie alla vita, sotto il profilo materiale e sotto quello spirituale: il lavoro, il risparmio, la possibilità di essere informati correttamente, un sistema scolastico che promuova e non mortifichi l’intelligenza, un sistema sanitario fatto nell’interesse delle persone e non delle multinazionali farmaceutiche (vedi il business dei vaccini obbligatori), una religione che dia certezze e speranze, non che demolisca continuamente le certezze e instilli dubbi intollerabili sul destino degli uomini: in ultima analisi, un poco di speranza nel futuro, un poco di fiducia sul fatto che valga la pena di vivere, sposarsi, cercare un lavoro, mettere al mondo dei bambini. Senza queste certezze minime, la società diventa un caos, se non addirittura un inferno. Tuttavia è proprio questa la situazione nella quale gli europei sono venuti a trovarsi in questi ultimi anni, e non certo per caso e in maniera inspiegabile e imprevedibile, ma proprio per effetto dei meccanismi economici, finanziari, politici e culturali che sono specifici della modernità e che oggi, semplificando, vanno sotto il nome di globalizzazione. Dunque, la situazione è questa: l’Europa, da molto tempo, ha preso in odio le proprie radici cristiane; ha provato a costruire una civiltà nuova e diversa, massonica e anticristiana: ma ha costruito il nulla ed è piombata in un relativismo che è solo l’anticamera del più radicale nichilismo. Col nichilismo, però, non si può vivere; ed ecco risorgere la domanda: la domanda di senso, di orizzonti, di speranza. E a chi rivolgersi, nel cimitero di verità e di valori che gli europei, da se stessi, hanno creato, se non ad un’altra tradizione spirituale, visto che il materialismo ha fallito, l’edonismo ha un retrogusto amaro e il razionalismo non ha nulla da dire sulla domanda più pressante di tutte, che sarà di noi con la morte? Il giudaismo non è interessato a fare proseliti, perché è la fede di un popolo che si considera eletto da Dio: non è, non è mai stato e mai potrà essere una grande religione universale. Induismo e buddismo esercitano un certo fascino, ma fanno pare di una cultura troppo diversa da quella europea: e gli europei sono diventati troppo fiacchi e pigri per aver voglia di sottoporsi allo stress di prendere come guida una cultura di cui non sanno neanche l’essenziale. Sono anche sazi di filosofia, perché ormai identificano la filosofia con quel relativismo e quel pensiero debole dai quali appunto stanno fuggendo. Che cosa resta, dunque, se non l’islam? Il quale sta già venendo loro incontro nelle persone degli immigrati, talmente numerosi da volere le loro moschee e i loro “centri culturali” accanto alle chiese ormai semivuote...

 

Francesco Lamendola

 

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