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Prove di emancipazione dagli USA PDF Stampa E-mail

21 Febbraio 2019

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Da Rassegna di Arianna del 19-2-2019 (N.d.d.)

 

Tra Europa e Stati Uniti c’è di mezzo un oceano. E, da adesso, non solo fisicamente. Il Vecchio Continente e lo storico alleato d’oltre Atlantico appaiono sempre più lontani. Dai dazi sulle automobili alla Siria, dai foreign fighters all’Iran fino al caso Huawei e ai rapporti con Pechino. L’Europa, guidata da una Angela Merkel combattiva come non mai (viste le inedite difficoltà economiche della Germania), sta provando a emanciparsi da Washington. La riuscita di tale impresa dipenderà molto anche dal livello dello scontro, commerciale ma non solo, tra Usa e Cina. Ma il tentativo di assumere una posizione meno allineata ai desiderata della Casa Bianca esiste e va registrato.

 

La Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di Baviera degli scorsi giorni ha fatto segnare profondi scossoni alle usuali regole del “gioco” politico internazionale. Gli Stati Uniti si erano presentati in terra tedesca con l’obiettivo primario di creare una sorta di coalizione internazionale anti Iran. Missione sostanzialmente fallita, per la resistenza europea rappresentata da Angela Merkel. Nelle scorse settimane, Germania, Francia e Regno Unito hanno creato Instex, un veicolo finanziario speciale in grado di aggirare le sanzioni statunitensi a Teheran. Mossa che non è andata giù alla Casa Bianca, che individua nella Repubblica Islamica la principale minaccia in Medio Oriente. Nonostante l’assenza di Emmanuel Macron al vertice, la Germania ha tenuto il punto ufficialmente e ufficiosamente, tanto da derubricare la discussione sul tema Iran da Argomento con la A maiuscola a uno dei tanti temi toccati.

 

L’Unione europea sta provando a emanciparsi dalla politica mediorientale degli Stati Uniti. Basti pensare alla recente inclusione dell’Arabia Saudita nella lista nera del riciclaggio, ma anche al botta e risposta sulla Siria. L’amministrazione Trump ha invitato gli Stati europei a prendersi tutti i foreign fighters catturati dagli Usa nel Paese. I jihadisti sarebbero circa 800 e la Casa Bianca minaccia di rimetterli in libertà se gli alleati europei non dovessero “accoglierli” nelle loro carceri. Sempre Berlino ha risposto in maniera negativa, sottolineando come il rientro dei foreign fighters sarebbe di difficile, se non impossibile, gestione. Anche sull’Afghanistan la Merkel ha tirato le orecchie a Trump, chiedendo che gli Stati europei presenti sul territorio vengano coinvolti prima di prendere decisioni sull’eventuale ritiro delle forze militare a stelle e strisce paventato nelle scorse settimane.

 

A proposito di Iran, è proprio questo il motivo alla base del caos intorno alla figlia del fondatore di Huawei, il colosso cinese delle telecomunicazioni. Gli Stati Uniti, che vogliono a tutti i costi contenere l’ascesa tecnologica di Pechino, stanno esercitando forti pressioni sugli alleati, europei e non, per mettere al bando Huawei dai progetti di sviluppo delle reti 5G. Pressioni motivate da una legge cinese che imporrebbe alle società di telecomunicazioni di condividere i dati raccolti nella propria attività con l’intelligence di Pechino. Un report degli 007 britannici però va in direzione contraria, sostenendo che il coinvolgimento della società del Dragone nei progetti 5G è un “rischio gestibile”. Considerazione che apre la strada a tutti coloro in Europa, Italia e Germania in primis, non sarebbero particolarmente felici di escludere Huawei da progetti milionari e spesso già in fase di realizzazione.

 

Il motivo di scontro più evidente è però quello economico. In particolare, al centro della contesa ci sono i dazi sulle automobili europee. “Se gli Stati Uniti dovessero introdurre dazi contro le automobili europee, la Commissione europea reagirebbe in modo adeguato”, ha dichiarato il portavoce Margaritis Schinas. "Se fosse il caso, saremmo in grado di reagire immediatamente", ha aggiunto il portavoce. I dazi della Casa Bianca colpirebbero un comparto strategico in particolare per la Germania, che sta già segnando preoccupanti segnali di inquietudine per il rallentamento della crescita cinese, partner fondamentale per l’economia tedesca. Non sembra allora un caso che Trump, di fronte a una Merkel agguerrita, minacci di colpirla dove può farle più male.

 

E non è un caso nemmeno che la cancelliera si sia intestata il ruolo di oppositore, per ora dialettico, degli Stati Uniti. I dazi doganali di Washington su acciaio, alluminio e una serie di prodotti cinesi, si sta facendo sentire sul commercio globale e in particolare tedesco, vista l’importanza del mercato asiatico per l’export di Berlino. Le tensioni tra Usa e Cina preoccupano non poco la Merkel, la quale si è recentemente recata in Giappone per provare a diversificare le sue fonti di business nell’area. E la Germania sembra pronta a collaborare maggiormente con Pechino, non solo a livello economico. Lo dimostra un incontro bilaterale, sempre a Monaco di Baviera, tra il ministro degli Esteri cinese Yang Jiechi e l'omologo tedesco Heiko Maas. Entrambi hanno confermato la loro disponibilità a rafforzare la cooperazione sulle questioni internazionali e affrontare le sfide globali. "Nell'attuale situazione internazionale, la Cina e la Germania devono rafforzare la cooperazione e proteggere congiuntamente il multilateralismo e l'ordine mondiale basato su regole", ha dichiarato Yang. Maas ha sottolineato che la Germania attribuisce grande importanza allo sviluppo delle relazioni con la Cina ed è pronta a rafforzare la cooperazione bilaterale in vari settori, anche nel quadro del progetto Belt and Road di Pechino. Una presa di posizione forte e che non ha fatto piacere a Washington, anche perché se Berlino apre le porte al Dragone potrebbe farlo l’Europa intera. Un’Europa pronta, se non a volgere lo sguardo totalmente a Oriente, quantomeno a dare una sbirciata.

 

Lorenzo Lamperti

 

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