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10 Maggio 2019

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Da Appelloalpopolo del 7-5-2019 (N.d.d.)

 

Si sente dire spesso che in Italia “non c’è lavoro”. Questa espressione induce sconforto più che ribellione. Quindi ha l’effetto di addormentare le coscienze, ma è un modo impreciso di rappresentare la realtà.

 

1) La collettività ha molti bisogni che necessitano della produzione di beni e servizi, cioè di attività lavorative. Basta guardare in che stato sono le infrastrutture o quante persone in difficoltà, come gli anziani, necessitano di cure ecc. 2) Molte attività lavorative sono svolte, ma gratuitamente.  Questo riguarda soprattutto i giovani, attratti da false promesse di future assunzioni o dall’esigenza di rimpinguare il curriculum. 3) Il contratto di lavoro a tempo determinato consente alle aziende una gestione brutale dei propri dipendenti con creazione di disoccupati. Alcune aziende infatti sfruttano i lavoratori con turni di lavoro massacranti (questo limita l’occupazione perché uno solo svolge un lavoro che dovrebbe essere diviso tra più persone) e, dopo un certo numero di anni, quando l’attività svolta li ha logorati fino ad aver provocato danni fisici, li sostituisce. Questo genera disoccupati che a causa delle condizioni di salute avranno un’accentuata difficoltà a ricollocarsi. La loro situazione economica sarà peggiore se i lavoratori stessi sfiniti e logorati nel fisico e nella psiche lasceranno anzitempo spontaneamente il lavoro. Questi sono solo esempi: ricordiamo che in generale la difficoltà ad accedere ad un posto di lavoro è una conseguenza di scelte politiche che impediscono di immettere risorse monetarie adeguate nell’economia reale. Quindi l’espressione “non c’è lavoro” è integrata e sorretta da un’altra espressione anche essa falsa: “non ci sono i soldi”.

 

Le due espressioni insieme danno vita ad una miscela pericolosa che tiene a bada le masse mantenendole in uno stato di apatica rassegnazione. Infatti chi si accorge di quante attività lavorative utili per la collettività potrebbero essere messe in moto data la disponibilità di risorse materiali (strutture produttive, mano d’opera ecc.) si rassegna ad una finta evidenza: l’impossibilità di farlo per mancanza di soldi. È lungo spiegare perché “non ci sono i soldi” sia un’espressione che dà una rappresentazione falsata della realtà. Facciamo solo un cenno: i soldi non possono finire TECNICAMENTE, come ha ammesso Draghi. Quindi se finiscono è per volontà politica. Immaginiamo di far parte di un nutrito gruppo di naufraghi su un’isola deserta e di avere competenze differenziate e risorse materiali sufficienti per costruire alloggi, cucire vestiti, curare malattie. Nessuno di noi però ha con sé il portafoglio con i soldi. Nessuno può pagare il lavoro agli altri. Il lavoro quindi non c’è! Immagino che chi leggesse questa storiella troverebbe il finale molto stupido e inizierebbe a pensare soluzioni per ovviare al finto problema. Eppure nel nostro paese viviamo così, con risorse materiali che non vengono utilizzate perché non ci sarebbero i soldi. Il popolo italiano non è stato avvertito, ma ad un certo punto è stato deciso che l’Italia dovesse affidare ad un “decisore esterno” il potere di immettere risorse monetarie, decidere quante immetterne e quindi poter anche minacciare di “chiudere i rubinetti” e dunque non immetterne (è accaduto). Evidentemente il “decisore esterno” ha deciso che dobbiamo vivere con risorse monetarie SCARSE rispetto alle nostre esigenze e alle nostre possibilità.  Ecco perché i sovranisti considerano necessario (anche se non sufficiente per migliorare in modo determinante le condizioni del paese) che lo Stato recuperi la sovranità monetaria, anziché dover operare in conformità con i diktat del “decisore esterno”.

 

Claudia Vergella

 

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