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Una nuova pistola fumante PDF Stampa E-mail

19 Giugno 2019

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Da Rassegna di Arianna del 15-6-2019 (N.d.d.)

 

L’aspettavamo con ansia perché era annunciata: è arrivata la nuova “pistola fumante” degli americani, un video secondo il quale le Guardie della Rivoluzione iraniane rimuoverebbero una mina sulla fiancata di una petroliera colpita nel Golfo. È giusto ricordare cos’era la pistola fumante. Furono le famose prove portate nel 2003 all’Onu dall’allora segretario di Stato Colin Powell sul possesso di armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein che poi giustificarono l’invasione dell’Iraq. Come tutti sanno in Iraq queste armi non soltanto non furono mai trovate ma si scoprì che la documentazione portata da Washington era stata inventata di sana pianta. Oggi è un altro segretario di Stato, Mike Pompeo, a sostenere che la colpa delle esplosioni del Golfo è dell’Iran: il copione è sempre quello anche se cambia il bersaglio.

 

Il giorno del discorso di Powell alle Nazioni Unite mi trovavo a Baghdad nell’ufficio di Tarek Aziz, il braccio destro di Saddam Hussein, un cristiano che era stato ricevuto anche dal Papa. Il televisore era acceso mentre Powell faceva il suo discorso ma Tarek non alzò neppure lo sguardo verso lo schermo e continuò a leggere e firmare le carte accumulate sula scrivania. “Ma come, non guarda le dichiarazioni del segretario americano?”, gli chiesi meravigliato. “È inutile, una perdita di tempo: ci farebbero la guerra anche se consegnassimo agli Usa pure l’ultimo dei nostri kalashnikov”. Ed avvenne proprio così un mese dopo quando gli americani attaccarono l’Iraq, abbatterono il regime baathista dando il via al più lungo periodo di destabilizzazione nella storia del Medio Oriente e nell’era contemporanea, i cui guai stiamo pagando ancora oggi, noi e ancora di più le popolazioni della regione. Gli Stati Uniti brillano per insipienza: fecero fuori Saddam senza avere una soluzione politica di ricambio, generando anni instabilità, massacri e terrorismo. Più o meno lo stesso che è accaduto in Libia dopo Gheddafi. E non hanno smesso, continuano. Trump ha appoggiato il generale Haftar contro il governo Sarraj di Tripoli ma adesso la situazione appare bloccata perché non sanno cosa fare.

 

Gli americani sono specialisti delle “bufale”. E per ogni bugia c’è sempre una prima volta in cui far cascare l’opinione pubblica fino a quando, ripetendola allo sfinimento, non diventi una verità o una post-verità. Gli Stati Uniti inviando truppe e portaerei nello Stretto di Hormuz, dove passa il 40% del traffico mondiale di petrolio, ci stanno facendo credere che l’Iran minaccia non solo i traffici del greggio ma anche la sicurezza mondiale, così vogliono anche le monarchie del Golfo e Israele. Due petroliere, dirette in Giappone, sono state “attaccate” nel golfo di Oman proprio mentre a Teheran era in visita il premier nipponico Shinzo Abe, storico cliente degli iraniani e impegnato in un’opera di mediazione. Una circostanza che solleva più di un dubbio che siano stati davvero gli iraniani: le mine, tra l’altro si rimuovono con il dragamine, non con le mani e un barchino di plastica. Usciti dall’accordo sul nucleare del 2015, gli Usa hanno imposto nuove sanzioni all’Iran e bloccato l’export di petrolio: in poche parole stanno soffocando la repubblica islamica e impediscono agli altri di fare affari con Teheran. Russia e Cina si oppongono mentre gli europei timidamente vorrebbero aggirare le sanzioni. L’obiettivo degli Usa è costruire l’immagine di un Iran “minaccia per la pace” e dei traffici internazionali ma anche di fare paura agli europei aumentando una tensione nello Stretto che può innescare un’impennata delle quotazioni petrolifere. Con le “pistole fumanti” c’è sempre qualcuno che ci guadagna e non importa se ci sarà un’altra guerra del Golfo: ne avete già viste tante.

 

Alberto Negri

 

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