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Sovranismo e nazionalismo PDF Stampa E-mail

1 Dicembre 2019

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 Da Appelloalpopolo del 29-11-2019 (N.d.d.)

 

Credo sia necessaria una produzione teorica che sappia svolgere una ricognizione storiografica del termine “sovranismo”. E questo significa, inevitabilmente, fare della storiografia sugli ultimi otto anni di storia politica. Credo non vi siano precedenti, nella storia contemporanea, rispetto a quello che è accaduto intorno al termine “sovranismo”, né rispetto ai fenomeni mediatici e psico-sociali che hanno accompagnato tale neologismo dalla sua nascita fino a oggi. Negli anni tra il 2012 e il 2013, noi pochissimi che per primi iniziavamo a divulgare quel termine in chiave marxista o comunque neo-socialista, avevamo certamente messo in conto che, da parte dei sostenitori dell’idea di stato unico europeo, sarebbe stata immediatamente divulgata la menzogna d’una presunta sinonimia tra sovranismo e nazionalismo. Ma non immaginavamo – e a chi adesso si sentisse di affermare “io invece sì, io avevo previsto tutto” suggerisco di contare fino a dieci – che le cose potessero prendere la piega che poi hanno preso.

 

GLI INIZI “DI SINISTRA”. All’inizio, il conflitto era relegato all’ambito teorico. In Francia, il termine “sovranismo” venne diffuso dal teorico marxista Jacques Sapir a partire dal 2011. In Italia, all’incirca nello stesso anno, il termine iniziò a essere divulgato dal futuro fondatore del Fronte Sovranista Italiano Stefano D’Andrea. Un anno dopo, si parva licet, diede il suo minuscolo contributo anche il sottoscritto: scrissi sul sito salottoprecario.it un intervento in cui dichiaravo conclusa la mia esperienza di quattro anni come “marxista nel PD”; affermavo, altresì, che tale conclusione era dovuta al processo – incarnato in Italia dal Governo Monti – di spostamento degli ambiti decisionali statali su scala sovranazionale e presso istituzioni non elettive: tutto ciò, sostenevo, ormai rendeva qualsiasi riformismo di sinistra tecnicamente impossibile; infine, concludevo quell’intervento affermando: “solo il sovranismo, oggi, ci parla di lotta di classe”. Ricordo che, in quello stesso periodo, fui confortato anche dalle prese di posizione anti-sovraniste di Toni Negri: quando ancora nessuno ne parlava, infatti, Negri si dimostrò acuto come al solito innescando una vera e propria crociata teorica contro le posizioni marxiste-sovraniste; in altre parole, mi sentivo confortato per come, seppure da una posizione contrapposta, Negri stesse confermando la futura centralità che la categoria “sovranismo” avrebbe di lì a poco assunto nel dibattito politico.

 

Sia come sia, per noi che assumevamo il concetto di sovranismo in senso marxista, era apparentemente semplice ricondurre la fondatezza di tale posizione al giudizio dei partiti comunisti e socialisti europei nel secolo scorso che, riguardo al progetto di stato unico europeo, ne denunciavano la valenza imperialista. Inoltre, dal Dopoguerra fino agli anni ’90, tutta la documentazione storica disponibile dimostrava come il concetto di sovranità nazionale fosse stato appannaggio semi-esclusivo dell’internazionalismo proletario, dei movimenti anti-colonialisti del Terzo Mondo e dei movimenti anti-imperialisti dell’America Latina. Non ci rendevamo conto, usando queste argomentazioni, che il dibattito si sarebbe svolto, invece, nel più totale disprezzo delle fonti storiche e con la retorica che si sarebbe sostituita all’analisi.

 

GLI INIZI “DI DESTRA”. L’unica figura di destra che, in Europa, si può legittimamente affermare abbia cavalcato la problematica sovranista, è Marine Le Pen. La fase “anti-global”, però, per il Front National sembrerebbe essersi chiusa da diverso tempo. In Italia, invece, il termine è stato utilizzato per un periodo piuttosto breve – cioè appena due anni – dal partito Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Dunque, che vi sia stato uno sfruttamento anche a destra dei temi sovranisti è certamente vero, ma l’equazione “sovranismo = destra”, per reggere, non può fare altro che omettere e disconoscere la genesi marxista-socialista e il retaggio comunista-internazionalista di tale categoria e di cui ho più sopra riassunto. Il punto, infatti, è che la problematica sovranista riguarda il venir meno del principio costituzionale di sovranità popolare all’epoca della globalizzazione. Dunque – per quanto noi marxisti e socialisti riteniamo il “sovranismo di destra” un fatto contraddittorio e strumentale in quanto non mettente in discussione quel modello economico neoliberale che è alla base dell’odierna erosione della sovranità – è evidente che siamo di fronte a una categoria trasversale alle dottrine politiche del secolo scorso.

 

IL DILUVIO DI MENZOGNE E IL RUOLO DI CERTO “ANTIFASCISMO” NEOLIBERALE. Con la Brexit in UK, l’elezione di Donald Trump negli USA e l’avvento del governo Lega-M5S in Italia, la fenomenologia sociale di crisi della rappresentanza e cosiddetta populista, ha cominciato a manifestarsi nelle elezioni dei paesi occidentali. Da quel momento, la scelta dei sostenitori della globalizzazione neoliberale è stata quella di una campagna di demonizzazione della parola “sovranismo”. Questa demonizzazione non è MAI avvenuta in sede accademica o tramite analisi o confronto, ma solo ed esclusivamente con l’utilizzo brutale della potenza di fuoco garantita dal controllo dei media mainstream. La menzognera sinonimia tra sovranismo e nazionalismo, infatti, è stata solo l’inizio: oggi, tutta l’opinione pubblica è martellata quotidianamente da una propaganda mediatica volta a identificare il sovranismo direttamente col fascismo. Inoltre, alla parola sovranismo vengono ricondotte con veemenza, da parte dei media mainstream, tutte le accuse possibili e nell’impunità assoluta: così, viene definito “sovranista” l’incendio dell’Amazzonia; oppure viene definita “sovranista” l’idea salviniana di liberalizzare l’uso delle armi da fuoco. L’identificazione tra sovranismo e fascismo, infine, mette in luce quali siano le funzioni e gli intenti di questo nuovo “antifascismo” globalista-liberista generatosi nell’ultimo decennio: il deputato Emanuele Fiano, in un’intervista di un paio d’anni fa, ha candidamente ammesso che la sua proposta di legge, teoricamente rivolta contro le formazioni neofasciste, aveva in realtà lo scopo di attaccare legalmente le posizioni politiche euro-scettiche. Nel frattempo, il nuovo “antifascismo” neoliberale non soltanto ha rovesciato il retaggio proletario e anticapitalista dell’antifascismo storico, ma ha finito altresì per degenerare in un’espressione di razzismo sociale rivolta alle classi povere e impoverite – ree di non votare a sinistra – rispetto alle quali un numero crescente di figure di spicco della sinistra occidentale enuncia la necessità di abolire il suffragio universale e restringere il diritto di voto.

 

LA STRADA VERSO LA VIOLENZA. Lo squadrismo verbale, inevitabilmente, fa da prodromo all’avvento di uno squadrismo fisico. Quando Roberto Saviano paragona il sovranismo ai campi di concentramento nazisti, quando Michela Murgia difende chi scrive sui social che occorre uccidere i sovranisti, quando Massimo Recalcati enuncia che il sovranismo è una malattia mentale, siamo di fronte a un livello di scontro che non soltanto pone la dialettica politica totalmente al di fuori del mutuo riconoscimento entro una medesima cornice costituzionale, ma presuppone anche una volontà aggressiva che possa tradursi in due soli modi: la messa fuori legge dell’avversario politico o la sua interdizione fisica a esprimersi. La repressione legale – come nel caso del d.d.l. Fiano sopra menzionato – potrebbe in effetti arrivare, ma difficilmente dall’oggi al domani. Lo scontro diffuso attraverso l’uso della violenza fisica, invece, appare molto più a portata di mano; magari grazie a una sinistra pacifista che subappalti tale compito di aggressione all’area neo-liberale dei centri sociali. Di certo, la frase “non meritate ci siano persone che stiano ad ascoltarvi” rivolta dal recente manifesto delle “sardine” non già a Salvini bensì a tutti i milioni di cittadini italiani che sono riconducibili al cosiddetto populismo, sembra essere un’ulteriore indicazione a favore della seconda opzione, ovvero quella dell’interdizione a esprimersi.

 

SUL PERCHÉ, MALGRADO TUTTO, NON POSSIAMO ABBANDONARE IL TERMINE “SOVRANISMO”. Molti, di fronte a questa campagna di odio e menzogne, cominciano a chiedersi se valga la pena restare a difesa del termine “sovranismo” da una prospettiva costituzionalista e socialista. Ammettiamo, allora, di voler cedere. Fingiamo per assurdo di non essere più in grado di sostenere l’alluvione di falsità prodotta quotidianamente dai media e di voler abbandonare, di conseguenza, la categoria di “sovranismo”. Quali effetti determinerebbe tale scelta? A mio parere, due effetti catastrofici: a) la si darebbe vinta a un modus operandi basato sulla calunnia, sulla retorica che si pone come disciplina autonoma che soppianta l’analisi, sulla diffusione di falsità storiche che si appoggiano sul diffuso venir meno della memoria; oggi come non mai, sono invece i mezzi a giustificare i fini: non si può pretendere di cambiare il mondo utilizzando i mezzi con cui il mondo si riproduce; cambiare lo stato di cose, insomma, non consta solo di far vincere una fazione ma di far vincere un metodo: un’operazione di lunghissimo termine che ripristini il principio democratico della mediazione, che releghi la retorica a strumento subordinato all’analisi; b) il processo di governance globale sta spostando il terreno della decisione politica – soprattutto per ciò che riguarda le politiche sociali ed economiche – in un ambito sovranazionale e non elettivo e, dunque, verso un “totalitarismo liquido” dove la libertà d’espressione e di manifestazione convive con l’impossibilità di riformare, anche solo gradualmente, la struttura della società e dell’economia; se pure non usassimo più il termine “sovranismo” e lo sostituissimo con “Giuseppe”, il tema della sovranità popolare, costituzionale e quindi nazionale resterebbe comunque la questione strategica centrale di questa fase storica.

 

CONCLUSIONI. Detto questo, a me sembra che la costellazione sovranista-costituzionalista-socialista non sia all’altezza, per ora, di rispondere adeguatamente alla potenza di fuoco dei media neoliberali e alla loro campagna di demonizzazione: di conseguenza, essa sta rischiando di subire repressione. Sarebbero necessarie dinamiche unitarie tra i gruppi di ben altro livello rispetto a quelle attuali nonché un’articolazione di campi d’intervento che, oltre alla politica, abbracci anche le sfere sociale e culturale.

 

Riccardo Paccosi

 

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