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Fallisce chi non si propone una lunga marcia PDF Stampa E-mail

27 Dicembre 2019

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Da Appelloalpopolo del 24-12-2019 (N.d.d.)

 

Scrive un mio contatto: “Tsipras ha fallito. Le Pen ha fallito. Salvini ha fallito. Bisogna solo prenderne atto”. Mi sembra di poter replicare che, se si ipotizza la buona fede, che invece non va data per scontata, è vero che hanno fallito ma il tema decisivo diventa domandarsi la ragione del fallimento. E la ragione è che, evidentemente, la buona fede non basta. Serve la determinazione (bisogna essere nati politicamente per questo scopo), nonché la disponibilità a non governare immediatamente, perdendo coloro che desiderano soltanto il potere (e che sono presenti in massa in ogni partito). La Le Pen, quando al secondo turno delle presidenziali ha dichiarato che non sarebbe uscita dall’euro, ha rivelato che lo slogan “fuori dall’euro” o era stato marketing o era stata una volontà flebile. Ha infatti mostrato, con quella dichiarazione, di non essere disponibile a una battaglia di lunga durata, a rinunciare a priori alla vittoria immediata e a spaccare il partito, perdendo i governativi per i quali la critica alla UE è mera propaganda. Quanto alla Lega, non è mai esistito un programma della Lega volto ad uscire dalla UE. Ci sono state dichiarazioni di uscita dall’euro, false come Giuda oggettivamente, perché non è dato uscire dall’euro senza uscire dalla UE. Chi dichiara di voler uscire dall’euro ma non dalla UE o è un cretino o è un bastardo che prende per i fondelli i suoi elettori. La Lega è votata da vasti strati della popolazione che vivono, come imprenditori, come operai, come impiegati e come professionisti, di esportazioni e che rischierebbero di subire immediate conseguenze a causa dell’uscita (anche se poi la maggior parte di essi potrebbe trovare con le opportune politiche possibilità uguali o migliori). Tsipras era un europeista. Avrà sentito da qualcuno del suo partito sostenere che se si usciva dall’euro era meglio, ma fin dal 2012 aveva scritto un programma neo-socialista irrealizzabile dentro la UE, senza proporre tuttavia l’uscita. Dunque, senza alcun dubbio, era un cretino o una persona che prende per i fondelli i suoi elettori (io scrissi il 2 giugno 2012 che era un venditore di fumo).

 

L’uscita dall’Unione Europea – necessaria per riconquistare la democrazia negli Stati nazionali europei, accantonata concretamente da Maastricht (e a livello di princìpi, sia pure con poche conseguenze concrete, già dal trattato di Roma) – è un compito storico. Si tratta di una lunga marcia e chiunque non si incammini lungo questa strada è destinato a fallire. Se si trattasse di una rivoluzione armata potrebbe bastare un 30% di consenso e l’appoggio dell’esercito. Ma trattandosi di una rivoluzione democratica serve molto più consenso e moltissimo tempo. Solo un partito che nasca con lo scopo dell’uscita come quello di Farage, privo di governativi, può operare con continuità, determinazione e risolutezza esclusivamente per lo scopo per il quale è nato. Gli altri partiti – che governano Regioni e Comuni e che si trovano a chiedere ed elargire fondi europei, che danno posti di lavoro e incarichi, che hanno il consenso di vasti strati di popolazioni legati alle esportazioni (non solo imprenditori ma anche operai impiegati e professionisti) i quali rischiano di essere colpiti dall’uscita, e che hanno significativi gruppi dirigenti che vogliono andare al governo per esercitare il potere (pur sapendo che dovranno eseguire gli ordini del tiranno per anni) – sono tutti per forza di cose europeisti, sia che lo pensino sia che non lo pensino, sia che lo dichiarino sia che lo neghino, sia che siano in buona fede, sia che siano in mala fede. Sono oggettivamente europeisti. E quindi oggettivamente combattono per l’Unione Europea.

Stefano D’Andrea

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