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Il problema è l'antropocentrismo PDF Stampa E-mail

2 Gennaio 2020

 

Da Comedonchisciotte del 29-12-2019 (N.d.d.)

 

Il 7 agosto 2019 su Come Don Chisciotte è apparso un mio articolo dal titolo: “È meglio essere nati o sarebbe stato meglio non essere mai nati?”, in cui analizzavo la posizione di Cioran e di Benatar sul tema del natalismo e dell’antinatalismo. L’argomento è di una tale importanza che credo meriti di essere proposto nuovamente con riflessioni personali più approfondite. I cattolici, i musulmani e tutti gli uomini religiosi in genere considerano la vita un bene assoluto e condannano ogni intervento volto a limitarne la diffusione. Tutti, religiosi e laici, si prodigano per salvare quante più vite umane è possibile, laddove siano in pericolo. La ricerca medica e i salvataggi in mare sono due esempi paradigmatici al riguardo. A questo punto chi predica l’antinatalismo (mediante la diffusione di pratiche anticoncezionali) non può sfuggire all’accusa di egoismo. Il suo ragionamento sembra essere: noi siamo venuti al mondo, ma ora, poiché siamo in troppi, è bene che non aumenti il numero dei commensali alla tavola planetaria, altrimenti non vi è più abbastanza cibo per noi. Queste proposizioni seguono un filo logico inappuntabile, perché procedono tutte da una affermazione di base difficilmente contestabile, quella secondo cui la vita è un bene assoluto. Ma, attenzione, è proprio qui che il tema va approfondito se vogliamo uscire dall’antinomia: “la vita è sacra” – “la vita va limitata”. E quindi dobbiamo chiederci: “Quale vita è sacra?” “Solo quella umana o tutta la vita in genere?” “Esiste una gerarchia nella scala delle vite?”

 

Dobbiamo avere il coraggio di affrontare queste domande, alle quali la stragrande maggioranza del genere umano risponderà: “Sì, esiste una gerarchia nella scala delle vite, e al vertice vi è la vita umana”. Per i religiosi questa posizione è stata stabilita dalla divinità in persona che ha creato l’essere umano a sua immagine e somiglianza.

 

Per i non religiosi questa posizione è stata stabilita dall’evoluzione che ha dotato l’essere umano dell’intelletto e con esso di raziocinio e autocoscienza. Ricordiamo il vecchio detto greco attribuito a Platone: “Di tre cose dobbiamo ringraziare il destino: primo, di essere nati uomini e non animali; secondo di essere nati uomini e non donne; terzo, di essere nati greci e non barbari.” Di tale detto esiste anche una versione ebraica che al terzo punto recita: “Benedetto il Signore che mi ha creato […] Israele e non goy” (cioè gentile), ma che conserva identici i primi due punti. Ora fortunatamente il tempo ha fatto giustizia delle seconde e delle terze affermazioni di queste antiche sentenze. Ma la prima resiste inalterata agli assalti del tempo. Anzi, pare che col passare degli anni l’essere umano sia sempre più in preda a un delirio di onnipotenza che lo conduce a ridisegnare il paesaggio naturale a suo piacimento, asfaltando le terre e innalzando torri verso il cielo. È da questa considerazione che si deve partire se si vuol ragionare seriamente intorno al tema del natalismo e dell’antinatalismo. Sì, la vita è un bene importantissimo: si è formata su questo pianeta (e forse su altri) in milioni e milioni di anni attraverso una serie infinita di passaggi che hanno consentito a piccoli microorganismi di crescere fino a divenire le piante e gli animali che conosciamo. Ma tutta questa serie di soggetti ha trovato modo di coesistere in uno spazio limitato per milioni e milioni di anni grazie ad una serie infinita di pesi e contrappesi che hanno stabilito un equilibrio dinamico, in continua evoluzione ma sempre ricostituitosi dopo ogni violento scossone imposto dagli eventi atmosferici o dagli impatti astronomici. Poi, qualche milione di anni fa, il caso ha voluto che nel DNA di un primate intervenisse una modificazione genetica tale da farne accrescere in modo spropositato l’apparato cerebrale. Tale modifica fu vantaggiosa per il primate in questione ed esso ne approfittò per sbaragliare la concorrenza nella ricerca del cibo e di altre risorse. Il seguito della storia lo conosciamo molto bene e non è il caso di ripeterlo in questa sede. Il punto su cui soffermarsi è un altro. Se è vero, come è vero, che quella modifica poco alla volta ha indotto trasformazioni tali nel mondo della natura da mettere a rischio la sopravvivenza stessa della vita sul pianeta, e non solo di quella umana, che giudizio darne oggi, a distanza di qualche milione di anni dal suo apparire? È un argomento ostico per il nostro modo di ragionare, ma è l’unico punto di vista dal quale può essere fornita una risposta valida alla domanda: “Se la vita è un bene assoluto, perché limitarne la diffusione?” Sì, la vita di tutti gli esseri viventi è un bene assoluto, ma un errore nel nostro programma di base ci ha consentito di trasformarci in distruttori della vita degli altri esseri viventi, senza tener conto che senza di loro, piante e animali, neppure la vita dell’uomo sul pianeta può perdurare.

 

Assisteremo prossimamente a nuovi sussulti e tentativi di ogni genere per riparare ai danni fatti, ma finché non metteremo in discussione il primo punto di quell’antico detto (“dobbiamo ringraziare il destino di essere nati uomini e non animali”) non riusciremo ad uscire dall’impasse. È l’antropocentrismo il problema e non è sufficiente stemperarlo in un più ragionevole biocentrismo. Occorre riconoscere la nocività del genere umano ingenerata da quell’infausta modifica genetica intervenuta milioni di anni fa. Alla luce di questo riconoscimento la limitazione del nostro numero non apparirà come un atto egoistico nei confronti delle generazioni future, ma avrà l’aspetto assai più seducente di un atto altruistico nei confronti della vita in generale. Nel blog de Il Cancro del Pianeta si possono trovare molte altre riflessioni utili su questo tema.

 

Bruno Sebastiani

 

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