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Sinistra e Comunismo PDF Stampa E-mail

17 Giugno 2020

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Quando Marco Rizzo, l’ultimo leader di un comunismo italiano ridotto ai minimi termini, viene definito “di sinistra”, si ribella precisando: “io non sono di sinistra, io sono comunista”.  Evidentemente vuole prendere le distanze dalla sinistra dei diritti individuali, dei matrimoni fra gay e fra lesbiche, delle quote rosa, dell’apertura delle frontiere, del cosmopolitismo, e vuole farlo in nome della fedeltà al marxismo.

 

Questa espulsione dal marxismo dell’attuale sinistra è fondata? Già nel marxismo dei fondatori esistevano equivoci. Per Marx ed Engels la famiglia non era la struttura basilare e naturale fondativa della comunità, bensì una costruzione culturale, un fenomeno storico che in quanto tale poteva e doveva essere superata. Lo Stato non era una struttura meta-storica che ogni comunità umana deve creare nei suoi primordi per garantire la coesione del gruppo, il premio al merito e la punizione alla colpa. Anch’esso è un’istituzione segnata dagli interessi di classe. Nel comunismo realizzato lo Stato si estingue e la comunità si autogoverna. Il diritto non è ciò che discrimina fra un Bene e un Male ontologicamente fondati, ma è sempre la legge del più forte, la codificazione degli interessi di classe predominanti nelle varie epoche storiche. La religione non si fonda su un istintivo anelito umano verso l’Oltre, ma è oppio dei popoli, strumento di dominio nell’asservimento delle coscienze.

 

Tutto ciò delinea un’ideologia libertaria, anarcoide, e il libertarismo è niente altro che il versante più radicale del liberalismo. Pertanto non è corretto contrapporre il marxismo alle istanze estreme del liberalismo che, non dimentichiamolo, nell’Ottocento era considerato una dottrina rivoluzionaria, sovvertitrice delle istituzioni. Nel Manifesto firmato da Marx ed Engels c’è anche l’esaltazione della borghesia imperialista che conquistando il mondo abbatteva antichi regni, vecchie strutture feudali, il passatismo delle superstizioni e dei rapporti sociali ingessati in un immobilismo di caste e pregiudizi. Quelle pagine esaltano il progresso portato dalla civiltà borghese, laica, liberale. Il fatto che nel pensiero di Marx ed Engels il trionfo della borghesia capitalista fosse solo una tappa di un processo storico che avrebbe portato al comunismo, non toglie l’impressione di un’adesione ai valori di un progressismo liberale che dunque non è affatto estraneo al marxismo.

 

Tuttavia esiste un altro aspetto della teoria. È il marxismo che teorizza la dittatura del proletariato quale strumento necessario per superare le divisioni di classe e creare le premesse per il comunismo; è il marxismo che in polemica con gli anarchici afferma il valore insostituibile di un Partito della classe operaia che orienti e educhi. In Lenin quel partito assumerà l’aspetto dell’avanguardia giacobina di rivoluzionari di professione. Anche in un pensatore marxista più raffinato, come Gramsci, la conquista del potere, pur non avendo le caratteristiche di una vampata rivoluzionaria guidata da una minoranza “giacobina” di rivoluzionari di professione, è pur sempre la conquista di un’egemonia, sia pure di tipo culturale ma sempre l’egemonia di una visione del mondo sulle altre, non il pluralismo di concezioni che si confrontano dialetticamente alternandosi al governo. Questa dimensione del marxismo, egemonica, intransigente, rivolta alla dittatura del proletariato e all’affermazione del valore dell’organizzazione e di una gerarchia disciplinata, è estranea al liberalismo ed è la concezione dominante nel comunismo quale si cercò di realizzare nel Novecento in URSS, nella Cina di Mao e in altre esperienze europee ed extraeuropee. Quel comunismo era anche severamente moralista nei costumi. In tutti i Paesi comunisti l’omosessualità era condannata e la morale sessuale era severa. Nelle sezioni dei partiti comunisti anche dell’Occidente veniva nominata una Commissione di Probiviri il cui scopo era di vigilare sui comportamenti degli iscritti e dei militanti. Anche una relazione extraconiugale era severamente redarguita.

 

Questo aspetto duro, intransigente, moralistico, collettivista del marxismo, è entrato in crisi col libertarismo anarcoide del Sessantotto e infine si è dissolto col crollo dei regimi comunisti. Allora è riemerso l’altro aspetto del marxismo, quello libertario, quello che teorizza la dissoluzione della famiglia borghese, che privilegia i diritti dei singoli rispetto ai doveri verso la comunità, quello che vede nella morale religiosa soltanto un ostacolo all’affermazione di sé. Ecco allora che la sinistra dei matrimoni gay, delle quote rosa, della demolizione delle frontiere, non è estranea ad almeno uno degli aspetti del pensiero socialista in genere e marxista in particolare.

 

Sviscerando ulteriormente il senso della precisazione di Rizzo e portandola sul terreno più specificamente politico, va detto che l’ispirazione liberal-libertaria delle sinistre europee dopo il crollo dell’URSS non è solo l’adesione a un’ideologia liberale. È anche e soprattutto la piena accettazione dell’europeismo e dell’atlantismo, la subordinazione alla NATO e il silenzio sulle ragioni vere delle guerre imperialiste dietro il paravento delle “missioni umanitarie”, è l’adesione convinta alla logica del libero mercato. In questo senso Rizzo ha pienamente ragione di indignarsi col suo netto distinguo.

 

Resta il fatto che l’equivoco era già incistato nel marxismo storico. Per questo, nel mondo in cui non si distingue fra cosmopolitismo e internazionalismo, nel mondo del predominio della finanza, nel mondo della dissoluzione dei valori tradizionali e delle identità nazionali, una destra estrema, identitaria, indipendentista e orientata in modo socialisteggiante, una destra comunque anch’essa nettamente minoritaria, appare più credibile tra le formazioni politico-culturali che tentano di proporre alternative a un sistema in piena decadenza. La soluzione vera sarebbe liberarsi dei vecchi condizionamenti e prospettare un comunitarismo attento ai temi della difesa dell’ambiente, della rivalutazione dell’agricoltura e della vita dei borghi, della riorganizzazione del lavoro in una società in cui produzione e servizi saranno affidati ai robot, di un nuovo umanesimo minacciato dall’invasività dei microchip e dell’automazione. Nemmeno la destra antisistema appare all’altezza di un tale compito. Deciderà la forza delle cose, come sempre.

 

Luciano Fuschini

 

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