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La via metapolitica PDF Stampa E-mail

18 Febbraio 2021

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 Da Rassegna di Arianna del 14-2-2021 (N.d.d.)

L’azione politica in senso stretto non rappresenta più che un elemento tra gli altri di uno scontro molto più vasto. Ne risulta che la «neutralità» non esiste più ammesso che sia mai realmente esistita, e che al lato del potere politico si è costituito un altro potere, definibile come potere «metapolitico» o culturale in senso ampio.                                                                                                     

Tacere significa semplicemente dare un supplemento di potere a coloro che parlano. Il solo fatto di appartenere ad una scuola di pensiero, di richiamarsi ad una dottrina filosofica o religiosa, di votare per un partito piuttosto che per un altro, implica una presa di posizione suscettibile di estendersi a tutti i campi per formare una vera e propria concezione del mondo.                                                                                                                                                   

Conoscete la distinzione che fa Gramsci tra società civile e società politica. Il grande errore dei comunisti degli anni Venti, dice Gramsci, è stato di aver creduto che lo stato e le istituzioni si riducano ad un semplice apparato politico. Di fatto lo stato «organizza il consenso», cioè dirige, non soltanto attraverso il ricorso all’apparato politico, ma anche per mezzo di una ideologia implicita che risulta dalla presenza di valori ammessi e considerati «di per sé evidenti» dalla maggioranza degli associati. Questo apparato «civile» ingloba la cultura, le idee, i costumi, le tradizioni, il cosiddetto buon senso. In altri termini lo stato non esercita la sua autorità soltanto tramite costrizione. Esso beneficia pure, grazie all'esistenza e all'attività di un potere culturale, di una sorta di «egemonia ideologica», d’una adesione spontanea della maggioranza degli spiriti ad una concezione del mondo, che lo consolida, e al tempo stesso lo giustifica nei temi e nei valori che gli sono propri.

Nelle società ove regna una atmosfera culturale omogenea specifica, non vi è così presa di potere politica senza una presa preliminare del potere culturale. In questa prospettiva, la presa di potere non si effettua soltanto tramite una «insurrezione» politica che prende in mano, progressivamente o violentemente, il controllo dello stato, ma attraverso una trasformazione delle idee generali e dello «spirito dei tempi». E la posta di questa guerra è la cultura, considerata come il luogo del controllo e della specificazione dei valori e delle idee. L'uomo nasce come erede, come erede di un popolo, di una stirpe, di una cultura. La sua identità personale è indissociabile dalla sua identità collettiva, ed è precisamente questa parte fondamentale della sua identità, questa parte che lo ricollega al presente a coloro con cui condivide qualcosa, ma ugualmente a coloro che l'hanno preceduto e a tutti coloro che lo seguiranno, che si trova implicitamente negata da tutte le dottrine universaliste, e segnatamente dall’ideologia dei «diritti dell'uomo», la cui caratteristica essenziale è di ragionare partendo da una concezione astratta dell'individuo, senza mai tenere conto delle sue appartenenze naturali e concrete.

Una delle grandi leggi della vita, è la legge della differenziazione crescente. Ciò che fa la ricchezza dell'umanità, è la sua diversità e varietà; che è anche la condizione stessa della sua durata e perpetuazione. Oggi noi siamo di fronte ad un vasto movimento egualitario omogeneizzante, profondamente riduttore delle diversità del mondo. Questo movimento si esprime essenzialmente non soltanto attraverso un certo numero di ideologie negative, ma anche, e forse soprattutto, per mezzo della diffusione su scala mondiale di uno standard di esistenza e di civilizzazione di cui gli Stati Uniti costituiscono l'epicentro. Applicato alla vita dei popoli, l'american way of life si rivela essere un american way of death.                                                                               

La volontà di ritrovare le proprie radici è anche la lotta contro l'integrazione di tutte le culture in un «sistema» americano e occidentalista che impoverisce e spersonalizza. L'uomo deve esercitare in pieno le condizioni della sua autonomia. L'uomo deve essere colto nelle sue appartenenze e i popoli devono poter conservare la loro identità. La storia deve essere presa per quello che è, vale a dire per il risultato della nostra volontà e di essa soltanto. L'Europa infine deve vedersi dare un'altra possibilità che non sia quella d'essere una enclave economica in più nel sistema dei protettorati americani. L'Europa, come lo stesso uomo europeo, deve essere potente, unita, autonoma, indipendente e pienamente sovrana. Noi dobbiamo di nuovo fare la storia, se non vogliamo essere una parte della storia degli altri.

Alain de Benoist

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