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Le radici nelle piccole patrie PDF Stampa E-mail

29 Settembre 2021

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 Da Rassegna di Arianna del 27-9-2021 (N.d.d.)

Grande reset, re-inizio. Il Grece Italia si dilunga, con la consueta intelligenza ignota ai più, su quello che non è uno slogan ma un disastro già in atto. Analisi, approfondimento, spaziando dall’economia all’ambiente, dalla politica all’in-cultura. E di fronte alla trasformazione di una società globale non più liquida ma gassosa, è inevitabile porsi la consueta domanda: che fare La risposta, in teoria, non è neppure difficile. Se l’obiettivo degli oligarchi/tecnocrati è lo sradicamento, la risposta non può che essere la riscoperta e la rivalutazione delle radici. Ma quelle vere, quelle profonde che non gelano. Peccato che a tagliare le radici profonde siano stati, in nome del centralismo statale, quelli che avrebbero dovuto tutelarle. Le radici d’Europa non sono a Bruxelles, le radici italiane non hanno nulla a che fare con quel ricettacolo di immondizia materiale e spirituale che è Roma. Ed è patetico rifarsi a una storia lontanissima e priva di qualsiasi contatto con la realtà attuale. Non è nei ministeri del capoluogo laziale, non è nei ristoranti per turisti, non è nei finti legionari in cerca di mance per una foto, non è nella visita di pochi minuti tra le rovine che si possono trovare le radici. In una città dove la mescolanza è la prassi, dove la mentalità è quella dei burocrati, dove il re-inizio è già realtà, non si trovano alternative per uscire dai sentieri indicati dagli oligarchi. Vale, ovviamente, anche per Milano, sostituendo la tecnocrazia e la finanza alla burocrazia romana. Ma il risultato non cambia. Dunque è dalle piccole patrie che si può sperare di partire per creare un’alternativa. Mica facile. Perché l’idiozia di chi le ha sempre considerate come qualcosa di sbagliato in quanto avverso al centralismo statale, ha favorito l’infiltrazione del pensiero unico obbligatorio. Il politicamente corretto ha fatto danni anche dove, nel profondo, le radici sono rimaste vive ma inutilizzate.

Così non ci si è accorti che la tecnocrazia, l’atlantismo, la società gassosa possono essere combattute da una rete di piccole patrie consapevoli, una tavolozza colorata per costruire un’Europa che abbia un’anima. La grandezza dell’Italia, nel mondo, è legata ad un Rinascimento senza Stato centrale. L’Europa delle cattedrali e della grande cultura aveva sì un imperatore, ma con la massima autonomia dei territori. Certo, è più facile essere atlantisti, attendere gli ordini da Washington, adeguarsi alle indicazioni dei tecnocrati, abituarsi al pensiero unico obbligatorio. Però, per decenza, si eviti di indignarsi per il gran reset.

Augusto Grandi

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