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Decrescita e buddismo PDF Stampa E-mail

24 Gennaio 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 22-1-2022 (N.d.d.)

Com’è noto, il termine Decrescita nasce intorno al 2003 come slogan per criticare radicalmente l’idea di crescita economica, insieme a quella dello “sviluppo sostenibile”. Non c’è dubbio che tali mantra irresistibili si sono propagati per tutto il pianeta (con la globalizzazione) anche perché sono legati a doppio filo all’immagine di progresso, di evoluzione, di futuro che punta al miglioramento, ancorché di paesi sviluppati (l’Occidente) e di paesi “in via di sviluppo”. Fu solo negli anni ’50, infatti, che fu inaugurata la narrazione dello sviluppo, per opera del presidente americano Truman (Hickel, 2017). I paesi ricchi dell’Europa e del Nordamerica erano sviluppati. Erano la punta avanzata della grande Freccia del Progresso a cui tutti gli altri paesi dovevano tendere.

Prima di allora, viceversa, la maggior parte del pianeta aveva conosciuto economie della permanenza e non della crescita.  Possiamo capire perché ciò avveniva se accantoniamo   per un momento l’alternativa tra sviluppo/ sottosviluppo oppure quella tra popolazioni evolute/ popolazioni primitive. Ci soffermeremo invece su una visione del mondo - il Buddismo - che ha permeato per oltre 2 millenni e mezzo vaste aree del pianeta come l’India, Ceylon, la Birmania, la Thailandia, il Tibet, il Vietnam, la Corea, il Giappone e gran parte della Cina, plasmandone l’educazione, la letteratura, l’arte e l’architettura ed ovviamente anche l’economia. Al centro del Buddismo stanno le realizzazioni ottenute dal Siddharta Gautama, figlio di una nobile famiglia, nato intorno al 566 a.C.  nella parte nordorientale dell’India, che abbandonò il benessere e il lusso della casa paterna, per trovare la vera gioia e la pace. Egli sapeva bene che quello che aveva raggiunto non era comunicabile a parole, ma attraverso un’esperienza più profonda del piano logico-linguistico. Egli, infatti, aveva compreso pienamente l’essenza del reale, ovvero “l’origine condizionata” di tutte le cose (pratitya samutpada). Ciò significa che né le cose che consideriamo esterne, né il nostro io, hanno un’esistenza separata, autonoma, indipendente. Ogni cosa non è permanente, non è costante, ma un aggregato di energia che prende innumerevoli forme, che passa e va. Gli aggregati (khanda) si formano e si dissolvono in continuazione, interagendo tra loro e con tutto il resto, ma non permangono mai. Per i filosofi del buddismo Mahayana l’intera sfera della fenomenalità - sia fisica che mentale, sia percepita che dedotta - è considerata priva di sostanza. È questa ragione - ontologica e profonda -per cui le parole non possono avere grande valore come noi in occidente ci ostiniamo a credere. Nonostante ciò Il Buddha, che chiamava se stesso Thatagata: ”ciò che è passato di qui”, decise di elargire ciò a cui era pervenuto facendo quattro dichiarazioni: le cosiddette Quattro Nobili Verità.  La Prima Verità parte dalla constatazione che la condizione umana è essenzialmente caratterizzata dal dolore della morte, vecchiaia e malattia: «la vita è sofferenza, dukkha». La Seconda Verità afferma però, come uno squarcio di luce: «la causa della sofferenza è la brama, trisna». Attaccarci alle cose, desiderare questo e quello come se le potessimo fermare è la causa fondamentale del dolore. Non solo le cose non hanno sostanza, ma soprattutto ciò a cui ci attacchiamo di più: il mio Io, il mio Ego, e dunque il mio desiderio di sopravvivenza, di possesso materiale, la brama di avere sono la causa prima del dolore. A questo punto, la Terza Nobile Verità chiarisce: «È possibile eliminare la sofferenza». La Quarta Verità indica con chiarezza il modo in cui è possibile eliminare la sofferenza: «La via è il Nobile ottuplice sentiero», cioè le otto maniere di vivere attraverso cui è possibile estinguere quello stato mentale che è la brama, il desiderio e raggiungere la pace.

È notevole che la verità della pratitya samutpada ha oggi trovato conferma dalla fisica quantistica, dal famoso principio di indeterminazione di Heisenberg, e trovano continue conferme nelle scoperte recenti delle neuroscienze, l’Entanglement, l’ecopsicologia e la psicoimmunoendocrinologia. Ma già da duemilacinquecento anni, il Buddismo era riuscito a smontare l’idea che là fuori ci sia un mondo materiale oggettivo, materiale, da conoscere e da conquistare da parte di un soggetto separato.  Le cose nella loro fondamentale natura non possono essere nominate né spiegate, sono al di là dell’ambito della percezione, non hanno caratteristiche distintive. L’universo viene spesso paragonato ad uno spettacolo magico, ad un lampo o alle onde del mare. Il mare stesso, la realtà oltre ed entro le onde mutevoli non può essere misurato in termini di onde.

Il buddismo soprattutto Mahayana distrugge alla radice il meccanismo psicologico del desiderio su cui si fonda tutta l’economia moderna e il marketing.  Infatti dobbiamo renderci conto di un fatto importante: per vendere dei prodotti, bisogna prima vendere dei desideri.  E questa imposizione dei desideri – oltretutto sempre più superficiali e artificiali – è la struttura principale dell’economia moderna. Civiltà antiche avevano vissuto nell’abbondanza di beni e di relazioni affettive sane che sono la base del benessere esistenziale, senza seguire i fuochi fatui della pubblicità e degli status simbol. L’imposizione dei desideri attraverso la pubblicità, la televisione e la società dello spettacolo rappresenta una parte importante di quella colonizzazione dell’immaginario attraverso cui la società industriale finisce per predominare su culture diverse e più connesse alla natura. Come altre filosofie tradizionali, ma con maggior forza, il buddismo invece  ci insegna  che le  attitudini mentali generate dal desiderio  e poi dal possesso e dall’acquisizione, vanno  indebolite e  superate  perché, non possono condurre alla pace e alla felicità. La vera pace e felicità vanno ricercate, al contrario, nell’allargamento dei confini dell’ego fino alla sua dissoluzione, per aprirsi ad un livello di empatia con tutti gli esseri viventi sia umani che non umani.  La compassione è l’attitudine più giusta anche nei confronti di un Ecosistema di cui facciamo parte e di cui non siamo i dominatori. Da questo sapere   discendono pratiche di vita ben specifiche: “l’Ottuplice sentiero” ovverosia Otto maniere di vivere che sono nell’ordine: Retta Visione, Retta Intenzione, Retta Parola, Retta Azione, Retti Mezzi di sussistenza, Retto Sforzo, Retta Consapevolezza, Retta Meditazione. È essenziale intendere la “Retta Visione” senza sotterfugi o smussamenti: non esistono sostanze, tutto scorre come diceva Eraclito, tutto è impermanente ed interconnesso con il resto, compresa la nostra mente.  Dunque l’Intenzione è “retta” solo se si è afferrata la visione della non permanenza e di conseguenza quando l’intenzione consiste nel non-attaccamento, nella non violenza, nel non nuocere agli altri. Parallelamente bramosia, competizione e violenza – così diffuse e perfino caldeggiate nelle teorie economiche (mors tua, vita mea) - impediranno lo sviluppo della “Retta intenzione”. “Retta parola” inoltre consiste nell’astensione da parola falsa, da calunnia. Quindi esiste una precisa “Retta azione”, un giusto modo di agire che è il non nuocere agli altri, il non prendere ciò che non è dato, ma soprattutto nella cosmovisione buddista viene caldeggiata l’astensione dal possesso bramoso. Ma ciò che per noi oggi è più interessante è il Quinto Sentiero. Esso insegna quali sono i “Retti mezzi di sussistenza”, cioè che esiste una giusta maniera per guadagnare e assicurarsi un certo benessere economico. Innanzitutto ci viene insegnato che vanno evitati tutti i mezzi che possono implicare danno o sofferenza negli altri. Tra questi sono esplicitamente condannati dal Buddha: 1. Il commercio di armi; 2. Commercio di esseri umani e di prostitute; 3. Commercio di animali da uccidere; 4. Commercio di veleni, alcol, droghe e sostanze intossicanti. Molti stati orientali non permettevano il commercio di alcolici e lo Stato Buddista del Bhutan, nel 2005, ha messo al bando la vendita del tabacco.  Vietare il commercio di animali da uccidere avrebbe effetti enormi sull’industria della carne oggi largamente incoraggiato e promosso in ogni parte del globo. Vietare inoltre la fabbricazione di armi avrebbe conseguenze immense sul piano pratico e in questa ottica pensiamo all’atteggiamento avuto dal Dalai Lama, capo politico del Tibet - all’indomani dell’occupazione militare del Tibet avvenuta nel 1950 da parte della Cina. L’economista F.E. Schumacher che aveva studiato a lungo queste norme buddiste soggiornando in Birmania, rese famosa l’espressione “economia buddista” attraverso lo slogan e il libro Piccolo è bello.  Per essa attività che implicano un grande spreco di risorse non sarebbero ammesse perché questa è una forma di violenza verso la natura e quindi – per “Retta visione” – anche verso noi stessi. Da questa prospettiva, l’industria della moda occidentale che impone vestiti nuovi ogni sei mesi – per fare un esempio - con enorme spreco di materie prime, sarebbe completamente condannata; altrettanto lo sarebbero i commerci globali, la delocalizzazione delle imprese oppure   l’industria dei trasporti (Schumacher, 1973; Illich 1974). Secondo l’Ottuplice sentiero, solo dopo aver praticato “Retta parola”, “Retta azione” e “Retti mezzi di sussistenza” che costituiscono la via Etica, l’uomo può giungere all’educazione mentale vera e propria. Solo così si può giungere finalmente all’ultimo e ottavo sentiero: la “Retta unione”, uno stato di beatitudine e di pace che è il vero scopo della vita, fatto di assorbimento, concentrazione e immersione totale in quella dimensione di non mente, al di là delle parole.”  Non può essere chiamato né vuoto, né non vuoto, né entrambi, né nessuno dei due, ma per indicarlo lo chiamiamo il Vuoto “-scrive Nagarjuna. Ed è interessante che un famoso fisico contemporaneo, Carlo Rovelli, citi spesso questo filosofo buddista nato circa 18 secoli fa, per cercare di descrivere la “non dicibile” realtà quantistica. E si badi bene, le ricerche più avanzate ci stanno dicendo che non esistono due mondi: il nostro mondo della realtà quotidiana accanto a quello dei quanti: ma esiste un solo mondo ed è quello quantistico. I BIT classici sono solo dei BIT quantistici collassati (Silvestrini 2021) Questo significa che 1.la realtà ultima non è misurabile ed è collegata senza relazione di causa-effetto; 2 la realtà non è separabile; 3.la misura locale non definisce completamente la realtà; 4. La fisica classica non permette di conoscere la realtà.   In base a queste scoperte, il metodo scientifico andrebbe completamente rivoluzionato: il concetto di misura e di calcolo andrebbe rivisto anche nelle sue implicazioni sul denaro – che viceversa è il grande dio dei nostri tempi. Stessa cosa sul versante dell’io, oggetto oggi di una venerazione acritica ed esagerata. Testi classici buddisti all’opposto ribadiscono: “Tutte le calamità, tutti i dolori, tutti i pericoli derivano da una cosa soltanto, cioè all’attaccamento all’ego” (Guida al sentiero buddista del risveglio,2,134). Il problema della crescita, il problema della dittatura dell’economia su tutti gli aspetti della vita, non si risolve andando a convincere i presunti “cattivi”, ma cambiando paradigma, ribaltando la visione della realtà, di ciò che è, di ciò che è vero. Solo in questa maniera l’economia potrà ritornare al suo posto, dietro l’etica (Terzani 2002) e le ragioni ecologiche discenderanno semplicemente dall’ontologia, invertendo quella strada sbagliata che ci sta portando a distruggere il mondo e noi stessi (Porciello, Filosofia dell’Ambiente, 2022).

Ancor oggi, è molto importante ispirarsi all’immagine buddista dei tre veleni che stanno al centro della Ruota dell’Esistenza ( bhavacacka) e che sono rappresentati in infinite immagini pittoriche in Tibet, Giappone, Cina Corea e generalmente nel Sudest asiatico. Sono rappresentati come un gallo, un serpente e un cinghiale. Ciascuno morde la coda dell'altro perché essi sono, di fatto, indisgiungibili. Il gallo rappresenta la brama, il desiderio, il serpente esprime l’avversione, l’odio. Essi sono sempre uniti al cinghiale che simboleggia l’ignoranza, ovvero – come abbiamo visto sopra - la dimenticanza e la negazione dell’impermanenza  e la transitorietà profonda di tutte le cose nel mondo, compreso ovviamente ciò  a cui siamo più attaccati:  il nostro io e la nostra sopravvivenza.

Gloria Germani

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