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Val di Susa, la resistenza continua PDF Stampa E-mail
di Marco Cedolin
 
7 marzo 2009
 
 
Esiste una domanda che quasi tutti, contrari o favorevoli all’alta velocità, semplici cittadini o uomini politici, fautori della crescita o attivisti della decrescita, sindacalisti, poliziotti o industriali, stanno continuando a porsi con sempre più insistenza. Quando fra qualche mese o qualche anno in Val di Susa torneranno le ruspe per iniziare la costruzione del Tav Torino–Lione e la Valle verrà nuovamente militarizzata come si trattasse dell’Afghanistan, la reazione popolare sarà dirompente e decisiva come lo fu nel 2005?
Per tentare di darci una risposta occorre ripercorrere gli ultimi tre anni, al fine di comprendere se ed in quale misura gli accadimenti succedutisi abbiano intaccato la compattezza del movimento No Tav e la posizione di aperta contrarietà nei confronti dell’alta velocità radicata in larga parte della popolazione valsusina.
E’ importante innanzitutto sottolineare come il fulcro del movimento No Tav della Valsusa sia stato costituito fin dall’inizio da comuni cittadini di estrazioni politiche e culturali estremamente eterogenee. Un’eterogeneità dimostrata dalla convivenza costruttiva all’interno della stessa lotta di sensibilità molto differenti fra loro, che arrivano a spaziare dagli Squatter torinesi al mondo cattolico, passando attraverso un’infinità di differenze che sono sempre state vissute non sotto forma di divisione, bensì come un valore aggiunto da attribuire ad una lotta dal carattere spiccatamente inclusivo. A questo fulcro primigenio si sono avvicinati, durante l’autunno “caldo” del 2005 che ha proiettato la Val di Susa sulle prime pagine dei giornali e sotto i riflettori dei TG, molte altre realtà che fino ad allora si erano tenute in disparte o avevano condiviso la contrarietà all’alta velocità con molte riserve. I sindaci dei comuni valsusini, prima disponibili a consentire i sondaggi, si sono ritrovati “sospinti” sulle barricate dalla constatazione che la maggior parte dei cittadini da loro amministrati già le stava presidiando e sarebbe stato opportuno “cavalcare” una protesta ormai arrivata a bucare gli schermi TV e ad appassionare l’Italia intera. I partiti della sinistra radicale colsero al volo un’opportunità straordinaria che di lì a pochi mesi avrebbero potuto tradurre sotto forma di consenso elettorale. Le grandi associazioni ambientaliste, anche qualora complici a livello nazionale della truffa legata all’alta velocità, non poterono esimersi dallo schierarsi a favore della Val di Susa che veniva militarizzata per costruire con la forza un’opera di dubbia utilità.
Accadde così che per alcuni mesi (pochi per la verità) una larga serie di soggetti politici e ambientalpolitici entrarono a fare parte attivamente del movimento NO TAV a fianco dei comitati formati dai cittadini che comunque mai smisero di costituire la vera ed unica ossatura del movimento stesso.
I sindaci valsusini, capitanati dal presidente della Comunità montana Bassa Val di Susa Antonio Ferrentino ormai diventato una star TV, già all’indomani della “liberazione” di Venaus dai cantieri e della successiva smilitarizzazione della Valle, iniziarono un lungo percorso di affrancamento dalla lotta NO TAV. Percorso che partì 10 dicembre 2005 quando i sindaci incontrarono il governo a Palazzo Chigi e condivisero la creazione dell’Osservatorio sulla Torino – Lione presieduto da Mario Virano. Proseguì nel corso di un paio d’anni di partecipazione attiva al suddetto Osservatorio e ripetute discese a Roma per colloquiare con il governo. Un paio d’anni vissuti all’insegna del disimpegno e della volontà di “normalizzare” i valligiani, diventati nel frattempo troppo critici nei confronti della politica di palazzo. Giunse a completamento nello scorso mese di giugno 2008, quando a Pra Catinat gli stessi sindaci della Val di Susa accettarono di fatto la prospettiva di un nuovo progetto di Tav Torino – Lione e appoggiarono la richiesta del governo finalizzata ad ottenere 671 milioni di euro di finanziamento europeo per iniziare i lavori di costruzione del tunnel.
I partiti della sinistra radicale continuarono a sostenere la battaglia contro al TAV in Val di Susa fino al momento delle elezioni di aprile 2006, preoccupandosi soprattutto di evitare che nell’ambito del movimento valsusino potesse nascere una qualche lista elettorale No Tav capace di sottrarre loro voti. Dopo le elezioni, durante le quali ottennero in Valle di Susa consensi percentualmente così rilevanti da somigliare a quelli ottenuti da Forza Italia e dai DS nel resto D’Italia, iniziarono anche loro un progressivo percorso di disimpegno. Disimpegno che arrivò a compimento nel Febbraio 2007, quando la sinistra radicale nell’estremo tentativo di mantenere le poltrone di governo, sottoscrisse il dodecalogo voluto da Romano Prodi, al primo punto del quale figurava la volontà di costruire proprio il TAV Torino – Lione. Paolo Cento, deputato dei Verdi, in un incontro da lui stesso richiesto con alcuni attivisti del movimento No Tav all’indomani della firma del dodecalogo, disse loro che da quel momento in poi non avrebbero più potuto “contare” sull’appoggio del suo partito e avrebbero dovuto fare unicamente affidamento sulle proprie gambe, come avevano sempre fatto (lui stesso lo riconobbe) fino ad un anno prima. I valsusini che avevano sostenuto alle urne la sinistra radicale compresero di avere gettato il proprio voto nella spazzatura e continuarono per la propria strada con un bagaglio di esperienza maggiore.
Le grandi associazioni ambientaliste (Legambiente e WWF su tutte) che mai si erano manifestate contrarie all’alta velocità, se non a livello locale, si allontanarono quasi subito insieme ai riflettori delle TV, fino ad arrivare a collocarsi a fianco della lobby del cemento e del tondino che in Italia con la costruzione del TAV sta intascando profitti miliardari. Fondarono il comitato SI TAV Napoli – Bari (Legambiente) e gioirono per il raggiungimento dell’accordo di Pra Catinat (Legambiente e WWF) che a loro dire si sarebbe rivelato prodromico della costruzione del TAV con la condivisione dei cittadini.
I cittadini, che organizzati in comitati o meno, hanno costituito, costituiscono e continueranno a costituire la vera anima del movimento NO TAV, durante questi 3 anni non sono stati fermi. Al contrario hanno continuato a produrre informazione, organizzare convegni, dibattiti, serate informative, anche quando alcuni sindaci hanno iniziato a tentare di boicottarle. Hanno raccolto 32.000 firme contro qualsiasi progetto di nuova linea ferroviaria in Valle di Susa, nonostante molti sindaci invitassero i cittadini a non firmare. Hanno continuato ad organizzare presidi e manifestazioni estremamente partecipati, l’ultima delle quali il 6 dicembre 2008 a Susa ha raccolto almeno 20.000 persone che hanno sfilato in una moltitudine di bandiere No Tav, senza mostrare troppa attenzione al fatto che fossero presenti solo un paio di sindaci, oltretutto senza fascia. Hanno organizzato l’operazione “compra un posto in prima fila” nell’ambito della quale oltre 2000 cittadini hanno acquistato un metro quadro dei terreni che potrebbero essere oggetto dei futuri cantieri. Hanno reagito con fermezza ogni qualvolta gli “amici di un tempo” tentavano di prenderli per il naso, raccontando che il TAV sarebbe stato meno brutto se avesse avuto un nome diverso. Hanno smontato pezzo a pezzo il progetto del FARE, proposto dai tecnici di Ferrentino per fare passare dalla finestra quell’alta velocità che nel 2005 la popolazione aveva cacciato a calci dalla porta. Sono rimasti fermi sulle proprie posizioni, senza concedere un solo metro, forti come può esserlo solo chi è consapevole delle proprie ragioni.
Nessuno naturalmente può astrologare con certezza su cosa accadrà fra qualche mese o qualche anno, quando le ruspe ed i militari torneranno in Valle di Susa. L’impressione palpabile resta comunque quella che il movimento No Tav sarà lì ad aspettarli, così come era lì nel 2005, ben prima dell’aggregazione di tanti soggetti politici pronti a cogliere l’opportunità. Un movimento eterogeneo, fatto di cittadini disposti a mettersi in gioco, consapevoli che l’opposizione fisica pacifica rappresenta, oggi come allora, l’unico mezzo per evitare che una valle alpina venga trasformata in un corridoio di transito senza futuro e senza prospettive.

Marco Cedolin
Commenti
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marco.milioni@poste.it
marco.milioni (Registered) 12-03-2009 02:53

Caro Marco tanto di cappello. Hai carpito l'essenza più profonda della questione. Dal tuo ragionamento si può capire che possono stare allo stesso tavolo coloro che vengono dalla destra radicale, dalla sinistra estrema, i tradizionalisti, chi ha un retroterra neo-empirista, i cattolici, i moderati, gli anarchici. Riusciremo a liberarci delle paratie con cui lorsignori ci tengono divisi?
marcocedolin (IP:82.50.144.120) 13-03-2009 00:56

Caro Marco,
ti ringrazio per l'apprezzamento.
Personalmente ritengo che sia indispensabile riuscire a stare dietro allo stesso tavolo (o la stessa barricata)pur provenendo da esperienze politiche o culturali estremamente differenti. Così come è indispensabile avere consapevolezza del fatto che la realtà del 2009 è un piano inclinato estremamente diverso da quello che è stato il 900 ed occorrono sensibilità, idee e coordinate altrettanto diverse, che certo non sono racchiuse negli stereotipi di destra o sinistra.

Detto ciò occorre lasciare spazio ad un sano realismo, dal momento che la lunga teoria del dividi et impera, tanto cara a chi vuole mantenere potere e status quo, gode ancora di ottima salute, come purtroppo ha dimostrato il boicottaggio del movimento studentesco nato come un'onda e ridotto allo stato d'increspatura.
Anche nei movimenti che lottano contro nocività e grandi opere spesso le "differenze" vengono esacerbate al fine di ridurre la partecipazione.

Fortunatamente però sempre più "persone normali" iniziano a pensare con il proprio cervello, liberandosi dai dogmi del passato e acquisendo la consapevolezza che i nuovi "nemici" si chiamano banche, corporation, colossi industrali e dell'energia e via discorrendo. Tutti soggetti che non sono di destra o di sinistra, così come non è di destra o di sinistra l'ambizione a costruire qualcosa di nuovo che prescinda dal giogo della crescita e dello sviluppo.
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