Il problema della democrazia |
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9 maggio 2009 Riceviamo e pubblichiamo E’ inutile nascondersi dietro ad un dito, il cuore del problema oggi è la rappresentatività. Assistiamo ad uno scollamento fra coloro che sono delegati a rappresentare le comunità e le comunità stesse. E’ saltato il meccanismo fiduciario. Il cittadino, suo malgrado, è sostanzialmente impotente rispetto al “gioco” del potere del quale si vorrebbero farlo credere il perno ed invece è poco più che un mero ratificatore. Le recenti leggi elettorali tanto a livello locale (vedasi la Toscana, centrosinistra) che nazionale (centrodestra), che al maggioritario saldano l’eliminazione delle preferenze, lo espropriano anche della residuale facoltà di scegliere a chi affidare la propria delega. Quand’anche disinnescata e resa voto “non utile”.
Probabilmente si tratta del picco più negativo della democrazia moderna, quella cosiddetta rappresentativa, o forse soltanto del disvelamento della sua ipocrisia. Sì, perché la democrazia (potere del popolo in greco) sarebbe una cosa molto seria. Tuttavia dalla teoria alla pratica, come si dice... Il mare che si interpone è costituito dall’abnorme dimensione delle comunità, una densità abitativa che fa naufragare ogni dovere di rendiconto o potere di controllo dal momento in cui il cittadino ha “firmato” la sua delega agli anni successivi. L’umana smemoratezza fa il resto. La dimensione enorme delle città, tradotta in vastità dei collegi elettorali rende anonimo il candidato alla collettività. Evanescente e lontano. Presente per lo più in televisione, oppure in qualche raro happening di partito, al momento della campagna elettorale, ma poi desaparecido dopo aver “incassato” in consenso. I partiti stessi non hanno più alcun ruolo efficace nella dinamica post-democratica, non svolgono più la selezione della dirigenza politica che passa per canali paralleli (ereditarietà familiare, lobbies economiche, ottusa e comprovata fedeltà ovvero cieca accondiscendenza). Sempre più spesso le decisioni sono prese lontano persino dalla vecchie sezioni, in salotti, in incontri privé, in associazioni di dubbia trasparenza, etc etc. Ai partiti tradizionali, con l’abbaglio delle elezioni “primarie”, si sostituiscono dunque comitati elettorali che dei primi non sono l’auspicata apertura alla società civile ma piuttosto la subdola e definitiva involuzione oligarchica. Capita non di rado che i rappresentanti senza rappresentanza trovino fra di loro affinità e comunanze ambigue, trasversali persino agli stessi partiti o coalizioni di appartenenza. Del tutto liberi da vincoli (etici o di mandato) e impermeabili a verifiche che non ci sono e non possono esserci, se non alla fine del mandato, ma – come detto – solo formalmente perché la Casta tende a difendersi e a tutelarsi con compattezza. Nessuna speranza taumaturgica? Poche. In questa democrazia senza “demos”, i cittadini sono di nuovo ridotti a sudditi, come se il portato delle rivoluzioni francese e socialiste non fosse mai esistito. Un salto indietro nel tempo, che rende la condizione ancora più umiliante della soggezione alla nobiltà (che comunque un imprimatur, fosse pure di lignaggio, ce l’aveva), poiché i nuovi trimalcioni sono ancora meno legittimati e ancora più prepotenti, ma soprattutto mascherati di una bontà che dietro le apparenze non posseggono e della quale non gliene potrebbe importare di meno. La legalità, un ricordo dei bei tempi andati o della primavera, presto sfiorita, di “Mani pulite”, ha lasciato spazio a impunità individuali e indulti generalizzati. Ci sono le eccezioni, in un tale contesto quasi eroiche, ma sono così rare che fondare solo su di esse un riscatto popolare pare un’astrazione più che un’utopia. Sono rare, perché la fessura dell’onestà, nella quale in ogni tempo qualcuno è riuscito a penetrare, è sempre più stretta e la selezione al peggio sempre più rigida. Questa breve analisi, non vuole fare casi specifici, che pure non mancherebbero, ma presenta il problema in termini generali, poiché tale criticità ha assunto connotati – ahinoi – universali, e trova riscontro da un Consiglio di Quartiere al Parlamento europeo. Una contaminazione che negli ultimi anni è dilagata, non soltanto in Italia, a macchia d’olio. Imbarbarimento della politica e arroganza dei nuovi attori sono quindi il portato di questa involuzione della democrazia. Chi ha a che fare con le Istituzioni, direttamente o indirettamente, conosce il cinismo delle relazioni politiche, la falsità degli accordi, la grettezza, la violenza delle pugnalate, la totale mancanza di valore alla parola data. Insomma tutto ciò che nella società è riprovevole, in politica è diventato adesso cifra del potere. Ascoltate il linguaggio, studiate le mosse, fatelo con attenzione e capirete il turlupinamento, la volgarità e la meschinità in quantità industriali. L’ambiente grida di dolore e noi non sappiamo udirlo, in trent’anni abbiamo bruciato le risorse naturali dei precedenti duemila e non ci decidiamo a smetterla, facciamo inceneritori invece di tornare a modelli di vita più sobri, facciamo le alte velocità, quando merci e uomini dovrebbero spostarsi sempre di meno, facciamo basi militari, quando con le guerre non vince mai nessuno (e a perdere sono tutti, fuorché i potenti e i generali), facciamo alchimie di frutta e verdura transgenica e persone transessuali, senza comprendere che non stiamo giocando al piccolo chimico ma stuprando la natura, siamo in balia di chi estrae petrolio per costruirsi regge dai rubinetti d’oro e continuiamo a fabbricare auto col motore a scoppio dell’ottocento, siamo preoccupati dalle oscillazioni del P.I.L. quando la crescita esponenziale ci sta distruggendo fisicamente e psicologicamente, ottusi come le mosche che infatuate dalla luce finiscono con l’accecarsi! Ma per vivere e per sentirsi vivi non basta capire il mondo che ci circonda, quello è lo stadio propedeutico della consapevolezza, ma fermarsi lì e chiudersi nel privato, sebbene comprensibile se il pubblico fa così ribrezzo, non è giusto. No. Le prospettive di riscatto di una vera democrazia e di una vera cittadinanza non sono facili e immediate ma sta ad ognuno contribuire a crearle. Iniziando col parlare sempre la lingua della schiettezza, come il bambino che nella fiaba di Andersen grida a tutti che il Re è nudo, operare secondo i canoni non dell’utile (cioè spesso della vigliaccheria o dell’opportunismo) ma secondo quelli dell’interesse comune. Smetterla di delegare con un voto e poi lavarsi le mani, ma chiedere sempre conto, informarsi, trattare i rappresentati come dei dipendenti (a tempo determinato). Agire nel privato ma soprattutto nella sfera pubblica senza paura, a schiena dritta. E’ triste vedere tanti uomini piegati su se stessi dal peso dei compromessi, umiliati a raccoglier briciole sotto il tavolo del potere. Senza ormai pudore né scrupoli. Ognuno finora si è convinto di non avere alternativa e invece ha finito col rendersi un po’ complice di questo stato di cose. Basterebbe alzare tutti di qualche millimetro l’asticella dell’etica (e del sacrificio) e il nostro Paese e il mondo – datoci in prestito dai nostri figli, anziché ereditato dai nostri padri – tornerebbero pian piano a rifiorire. Associazione Futuro Ieri http://digilander.libero.it/amici.futuroieri
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