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Gheddafi in Italia/2 PDF Stampa E-mail
15 giugno 2009
 
 
Un contrasto davvero evidente e significativo nel confronto tra la presenza e le parole del leader libico e quella delle varie voci della politica italiana è la differenza, stridente, tra la chiarezza dell’uno e la confusione delle altre.
Gheddafi dice chiaramente che ha accettato di venire perché l’Italia ha chiesto scusa per ciò che ha inflitto alla Libia in passato e si è impegnata a dare un risarcimento materiale cospicuo. Dice inoltre che il colonialismo dell’Occidente su ciò che di conseguenza si ritrova adesso ad essere il “Terzo Mondo” ha rubato con la forza a questa parte (maggioritaria) dell’umanità le risorse che avrebbero potuto dargli altre condizioni di vita facendone invece il presupposto della propria bulimica ricchezza. Non è forse vero?
Dice che, se si son trovati tanti soldi da pompare in banche già praticamente fallite, fino a rimetterle in piedi, se ne potrebbero trovare pure per restituire a molti paesi oggi poveri il futuro che gli è stato tolto (il che sarebbe pure di beneficio all’economia e alla sicurezza globale, oltre a contenere i problemi dell’immigrazione, probabilmente). Non è forse vero?
Dice che anche le cause prime del terrorismo internazionale vanno cercate in questa disparità di condizioni economiche tra Nord e Sud del mondo iniziata col colonialismo e così scandalosa da “gridar vendetta”. Non è forse vero?
Dice che le azioni militari degli Usa che vanno a bombardare e uccidere per minaccia o ritorsione secondo le proprie decisioni e convenienze unilaterali di dominio mondiale facendo vittime civili in abbondanza non sono nulla di sostanzialmente diverso né di più legittimo (se non secondo un criterio di legittimità basato solo sull’imposizione della forza) di quelle di Al Qaeda e delle altre cellule terroristiche. Non è forse vero?
Gheddafi può non piacere, ma ha il pregio di parlare chiaro e tondo. Si presenta senza né la vergogna di essere ciò che è né il provincialismo di voler essere ciò che non è: pianta la sua tenda beduina dove che sia ed è lì che gli ospiti devono andare a trovarlo ed essere ricevuti. Sarà pure un dittatore, certo, ma se questo non piace si poteva anche non invitarlo.
 
Sergio Cabras

www.ecofondamentalista.it
E sarebbero invece democratici i governanti cinesi, quelli della Russia di Putin, dell’Arabia Saudita, dell’Iran e di molti altri paesi arabi ed africani?
Contesti socio-economici e culture diverse trovano forme diverse per rispondere alle situazioni concrete sul piano della politica e delle strutture di potere. Non in tutti i paesi e per tutte le mentalità l’idea che abbiamo noi della democrazia rappresentativa (che a sua volta non sempre corrisponde poi alla realtà dei fatti neppure da noi) è il sistema di governo più desiderabile. Ci sono popoli che hanno sinceramente fiducia ed apprezzamento per la figura di un capo e per una visione gerarchica della società: questo può piacerci o meno, ma è un fatto. Un fatto che sarebbe giusto rispettare, probabilmente.
Le cose non sono le stesse in nazioni che possono permettersi (e vediamo storicamente come lo hanno potuto) una alta percentuale di laureati – ed anche sussidi di disoccupazione, fino alla pretesa del “salario garantito”, se questi non trovano poi impiego – e nazioni popolate da una stragrande maggioranza di analfabeti e contadini: soprattutto non lo sono se tutte queste nazioni si trovano costrette a correre e competere insieme sulla stessa pista obbligata dello “Sviluppo”. Avrebbe potuto la Cina degli anni ’50 diventare quello che è oggi in condizioni di democrazia? Avrebbe potuto Cuba resistere ai vicinissimi Stati Uniti se avesse permesso il multipartitismo?
E’ più che giusto che noi abbiamo le nostre idee sui sistemi vigenti in altri paesi fino eventualmente ad interrompere ogni relazione diplomatica (anche se dovremmo conoscere bene prima di giudicare, concretamente e non secondo etichette ideologiche applicate a contesti ai quali sono estranee).
Ciò per quanto ci riguarda. Quanto però agli altri popoli dovremmo invece, come ben dice Massimo Fini, lasciare che questi “si filino da sé la propria storia” e a modo loro, per il loro percorso. Se vogliamo indicare una strada che riteniamo migliore a qualcun altro faremmo molto meglio ad incarnarne noi un esempio realizzato così che altri possano vederne da sé i vantaggi... se ne siamo capaci.
La considerazione che possiamo avere di un governo/capo di Stato straniero dovrebbe guardare essenzialmente al ruolo che questo svolge sul piano internazionale: su questo abbiamo titolo ad esprimerci, perché ci riguarda direttamente. Ed il ruolo che questi personaggi  “maledetti” (e senza dubbio discutibili) come Gheddafi (e come pure Fidel Castro, Diego Morales, Chavez, Ahmadinejad) svolgono sul piano internazionale è, quantomeno, quello di opporsi senza mezzi termini all’unilaterale versione ufficiale della realtà che viene regolarmente contrabbandata come quella della “comunità internazionale” e che è poi quella funzionale agli interessi dell’Occidente e degli Usa in primo luogo.
Infine, Gheddafi è certamente un dittatore, però lo è solo a casa sua e non è che lo nasconda mascherandosi dietro eufemismi dal sapore politically correct.
Invece l’Italia, dopo aver fatto la cosa più giusta che un paese ex-coloniale possa fare cioè chieder ufficialmente scusa e soprattutto accompagnare questo gesto con un risarcimento, invece di rivendicare questo gesto, si scandalizza se il leader libico dice quello che ha da dire non solo al nostro paese, ma a tutto l’Occidente, a partire dal capofila americano che gli ha bombardato casa e famiglia ed già è impaurita di aver fatto brutta figura col “principale” e di non essere bene accolta nella prossima visita che Berlusconi andrà a fargli a Washington.
I politici italiani e gli imprenditori che li sostengono, chi a destra chi a sinistra, non vogliono perdere i cospicui affari che possono fare con questo dittatore, ma neppure vogliono rinunciare all’occasione di gridare all’assassino, all’oppressore, al calpestatore dei diritti umani, alla “canaglia internazionale". E’ dunque solo un rospo da mandar giù in vista dei profitti che verranno, del gas da comprare, delle infrastrutture da costruire? Non c’è l’ombra della capacità di cogliere l’occasione di immaginare la portata di un autentico riconoscimento? Di una nostra collocazione più equilibrata sul piano internazionale, stavolta tra Nord e Sud e non più Est-Ovest (piano di  confronto dato per finito se serve a dire che il Socialismo ha fallito, ma non se si tratta di tenere in piedi la Nato o vivere sempre nell’emergenza di un nemico pericoloso che ci minaccia oggi come islamico piuttosto che comunista)? Quindi di riconoscere quanto anche di vero hanno le parole di Gheddafi?
E il trattamento che la sua polizia riserva agli immigrati da respingere, non lo vogliamo ricordare? Certamente! Però occupiamoci anche della nostra e del fatto che, se si è trovato l’accordo per far fare il lavoro sporco di repressione e “smaltimento” dei poveracci da cacciar via ad una polizia straniera, il nocciolo del problema rimane e sta proprio nella disuguaglianza mondiale di cui parla Gheddafi e nella sua origine nel colonialismo che continua sotto altre forme, nel fatto che i paesi ricchi avrebbero tutti i mezzi necessari per riequilibrare le cose ed invece li usano per fare tutt’altro. Occupiamoci del fatto che, se il nocciolo reale di questo problema rimane lì dove non lo vogliamo seriamente affrontare, gli sfortunati del mondo continueranno ad arrivare in masse sempre più numerose e, se la nostra torta non la vogliamo condividere, qualcuno a cui far fare il lavoro sporco che noi “democratici” non possiamo permetterci ci dovrà pur essere per mantenere il più a lungo possibile un equilibrio insostenibile.
Altri paesi non riconoscono il dovere delle scuse e si tengono la loro posizione da “vecchia Europa” di occidentali dominanti – almeno finché dura. L’Italia mostra un’altra faccia, che potrebbe fargli onore nell’indicare la volontà di mettere le cose su un piano diverso, effettivamente paritario, sinceramente dialogante.  Ma subito ci si accorge della malcelata molla opportunistica che la spinge, da un lato, nell’accontentare le pretese di chi comunque sia porta buoni affari, ma, dall’altro, a dirgli, con Alemanno (proprio lui poi!), che non accettiamo lezioni di democrazia da nessuno.
Gheddafi sembra avere nozioni confuse sull’etimologia della parola “democrazia” (secondo lui di origine araba anziché greca): dice che ha a che fare col rimanere della gente seduta sulle sedie (?). Però su come la democrazia funziona qui da noi sembra avere delle buone intuizioni: ha subito capito che, per riequilibrare la propria immagine - attaccata essenzialmente per una spesso opportunistica political correctness - qualche frase sui diritti delle donne negati nel mondo arabo ci sta sempre bene. Ma soprattutto questa storia dell’attaccamento alle sedie appare come una descrizione azzeccata (pertinente, come direbbe Di Pietro) di ciò che anima la vita politica italiana, per la quale il colonnello ha anche immaginato la possibilità che la gente potesse arrivare ad essere così stanca di questo sistema dei partiti confuso, inconcludente ed oligarchico, fino quasi quasi a preferirgli qualcuno che si avviasse ad essere un po’ simile a un dittatore - per volontà del popolo, naturalmente. Non è forse vero-simile?
 
Sergio Cabras
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