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Immigrazione: oltre il rifiuto, oltre l’assimilazione. PDF Stampa E-mail

di Stefano Di Ludovico

11 gennaio 2010

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L’immigrazione costituisce uno di quei problemi attorno a cui il confronto e la contesa politica, in Italia come nel resto d’Europa, tendono ad animarsi maggiormente, tanto che sempre più, ultimamente, le stesse competizioni elettorali vengono giocate anche e soprattutto sulle risposte che i diversi partiti sono in grado di offrire in merito a tale questione. Le politiche sull’immigrazione appaiono altresì centrali nel caratterizzare l’azione dei governi, ed i provvedimenti che in tal senso vengono presi scaldano come pochi altri gli animi dell’opinione pubblica, suscitando accesi dibattiti nella società civile come nel mondo dell’informazione.
Prendendo in rassegna le diverse posizioni che solitamente le forze politiche o il mondo culturale di cui esse sono espressione assumono in relazione al problema, è facile accorgersi come esse si riducano, nell’essenziale, a due punti di vista, all’apparenza opposti ma che, ad un’analisi più attenta, risultano in realtà complementari se non addirittura semplici varianti di un’unica visione complessiva del mondo e della società. Da una parte abbiamo l’atteggiamento proprio, tradizionalmente, delle forze di sinistra, secondo cui il fenomeno migratorio va governato attuando politiche di accoglienza che favoriscano sempre più l’integrazione degli immigrati nel nostro tessuto sociale, passando necessariamente attraverso la progressiva condivisione, da parte di questi, delle regole e dei valori fondanti della nostra società; regole e valori che devono essere mediati dalle nostre agenzie educative – scuola innanzi tutto – all’interno delle quali gli immigrati devono essere accolti. Tale processo integrativo favorirà così l’acquisizione da parte dei nuovi venuti della piena cittadinanza all’interno dei paesi di accoglienza e quindi la nascita di una società multietnica, che la sinistra vede non solo come ormai inevitabile, ma finanche auspicabile quale segno del superamento delle barriere e delle contrapposizioni che storicamente hanno diviso i popoli e le culture. Per la stessa ragione la sinistra, lungi dal mettere in discussione il fenomeno della globalizzazione, di cui l’immigrazione è figlia, ne esalta la valenza cosmopolita ed universalista, limitandosi ad auspicare una migliore ridistribuzione della ricchezza. Al di là delle belle parole e degli sbandierati proclami circa la convivenza tra differenti culture ed il rispetto per la diversità, tale visione nasconde in realtà la totale condiscendenza verso lo sradicamento e la cancellazione di ogni autentico pluralismo, dato che l’accettazione dei nostri valori e dei nostri costumi da parte degli immigrati – condizione, questa, vista come imprescindibile per una loro adeguata integrazione – significa eo ipso l’abbandono di quelli di origine e quindi la perdita della propria specifica identità. In verità, per la sinistra, integrazione finisce per essere sinonimo di “assimilazione”, quindi omologazione all’interno dei parametri del mondo occidentale e del pensiero unico in esso dominante. Come si fa infatti a parlare di società multietnica e rispetto per il pluralismo culturale quando si pretende che l’immigrato frequenti le nostre scuole, impari la nostra lingua, faccia propri i nostri costumi ed i nostri valori? E’ chiaro che nel giro di una o due generazioni un simile immigrato della sua identità originaria conserverà a male pena il ricordo. Al massimo questa si ridurrà a puro folklore, a puro revival buono per animare feste e ricorrenze di calendario, per cui ognuno indossi pure il velo, organizzi serate a base di kebab e danze del ventre – alle quali noi occidentali saremo lieti di partecipare per rompere la monotonia di mangiare sempre la solita pizza e ballare la solita disco-music: l’importante è che tutti adottino il nostro modello familiare, rispettino il nostro codice penale e prestino solenne giuramento sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino.

Se questa è l’integrazione che la sinistra auspica, celando dietro i buoni sentimenti di accoglienza e rispetto il più bieco assimilazionismo e la più subdola delle intolleranze, la destra da parte sua sa fare a meno anche di tali sentimenti; anzi, ci tiene a presentarsi senza troppe cerimonie come la campionessa della tolleranza zero e delle porte sbarrate. “A casa nostra non li vogliamo”: ecco il motto, semplice quanto efficace, di chi di integrazione ed accoglienza non vuole neanche sentir parlare, erigendosi a difensore dei sacri valori dell’Occidente che gli immigrati, portatori di culture e costumi ad esso estranei, finirebbero per mettere in pericolo. La politica della chiusura delle frontiere e dei respingimenti rappresenta così l’unica risposta possibile al fenomeno migratorio secondo le forze di destra, mentre agli immigrati ormai da tempo presenti nel nostro territorio e quindi difficilmente rimpatriabili non va concesso alcun riconoscimento: niente case, niente scuole, niente strane vesti, niente cibi e balli esotici. Non possono nemmeno costruirsi un tempio per pregare il loro dio in santa pace. Per la destra, semplicemente essi non esistono, devono essere ridotti a fantasmi, a “clandestini” permanenti, al limite lavorare come schiavi a nostro servizio e basta, per non turbare e deturpare con la loro “diversità” il panorama delle nostre città, delle nostre strade, panorama che deve restare omogeneo, uniforme, etnicamente “puro”. Riguardo poi alla causa madre del fenomeno migratorio, la globalizzazione capitalista, la destra rappresenta la sua principale e convinta sostenitrice. Come dire: si desiderano le cause, ma non se ne vogliono gli effetti; e questo la dice lunga sulla sua miopia – se non vera e propria dabbenaggine - politica.
Al di là della diversità dei mezzi, il fine della destra "macha" e poco incline alla commozione e quello della sinistra buonista e ben pensante non appaiono così molto differenti: preservare la nostra civiltà, difendere l’amato Occidente faro di progresso, mantenendo alla larga da esso gli immigrati – la destra – o assimilandoveli – la sinistra -, in modo che il dogma “monistico” proprio della modernità che permea in ultima analisi la visione di entrambe e di cui entrambe sono storicamente e culturalmente figlie non venga messo in discussione. In un caso come nell’altro, è la “diversità” il nemico, è l’altro da sé che deve esser combattuto, in nome di un mondo fatto a nostra immagine e somiglianza e dove l’unica libertà ammessa è la libertà concessa a tutti di comportarsi come noi.
Una prospettiva che invece voglia porsi come alternativa al dogma dominante della modernità, e che intenda quindi salvaguardare e valorizzare la varietà delle culture e delle visioni del mondo, deve così collocarsi al di là dell’ottica propria della destra come della sinistra ed offrire ben altre risposte al problema in questione. E non si tratta solo di denunciare la globalizzazione capitalista proponendo modelli economici e sociali alternativi che consentano per quanto è possibile a ciascuna popolazione di vivere dignitosamente nella propria terra natia: bisogna innanzi tutto trovare adeguate risposte ai problemi legati alla presenza ormai radicata di diverse comunità di immigrati nei nostri paesi, senza che queste si risolvano nella loro discriminazione o assimilazione più o meno forzata. Lo stesso intestardirsi su posizioni del tipo “ognuno a casa propria”, lungi dall’essere espressione di una visione davvero pluralista del reale come a volte anche alcune forze di destra intendono far credere, risulta spesso essere invece solo una variante dell’orizzonte totalitario che pervade la modernità, di cui il nazionalismo, ovvero il mito della nazione etnicamente “pura”, altro non è stato che il preludio. Un autentico pluralismo può dunque essere salvaguardato solo garantendo agli immigrati la possibilità di continuare a vivere, anche lontani dalle loro terre d’origine, secondo i loro costumi e la loro visione del mondo, non ridotti a semplici appendici folcloristiche di modelli di vita nella sostanza completamente occidentalizzati, ma valorizzati quali principi autenticamente e quotidianamente vissuti in base a quanto lo stesso diritto dovrebbe essere chiamato a riconoscere e tutelare. Non la frequenza obbligatoria delle nostre scuole, quindi, ma libera scelta del modello educativo da parte delle famiglie, con possibilità di creare scuole dove si insegni la loro cultura e la loro lingua; non assunzione del nostro diritto familiare, del nostro codice civile e penale, ma possibilità di osservare i loro codici di convivenza e di regolare la loro vita secondo istanze ed istituzioni da essi stessi gestite; non luoghi di culto il cui personale debba essere controllato e selezionato dalle nostre autorità statuali, ma libertà di organizzare il proprio culto secondo i canoni e le modalità decisi dalle comunità dei fedeli medesime in base alle loro specifiche tradizioni.
E’ chiaro che una simile prospettiva, la sola che consenta veramente di arginare il processo di omologazione altrimenti inarrestabile, implica il superamento, concettuale quanto pratico, dell’universalismo giuridico su cui si regge il cosiddetto “Stato di diritto” moderno, a favore del recupero di modelli che favoriscano una diversa concezione della umana convivenza e del governo del territorio, dove lo stesso Stato non è visto più come il garante di un astratto diritto uguale per tutti, bensì come la suprema istanza chiamata a tutelare l’autorganizzazione di ciascuna comunità, etnica o religiosa che sia, presente sul territorio di sua competenza. Ciò che bisognerebbe riaffermare è un sistema di immunità, di statuti, di privilegi, sulla falsariga di quelli che regolavano la convivenza negli antichi imperi medievali - quello cristiano occidentale come quello ottomano orientale - dove ogni regione, ogni città, ogni particolare comunità etnico-religiosa eventualmente presente all’interno di una città stessa, godevano di uno specifico diritto, che si concretizzava in specifiche istituzioni di autogoverno le quali esentavano quel determinato consesso dal rispettare le norme che valevano a livello più generale. Nella visione imperiale lo stesso concetto di “cittadinanza” non si identificava necessariamente con quello di “nazionalità”, come avviene invece nel moderno stato nazionale, dove la sinistra ha sempre teso ad appiattire la nazionalità sulla cittadinanza, la destra la cittadinanza sulla nazionalità: la comunità “politica” era distinta dalla comunità “etnica”, per cui si poteva essere cittadini dell’Impero ma appartenere alla nazione francese, italiana, tedesca, tale distinzione non costituendo alcuna fonte di attrito o conflitto. Seppur a cospetto di una costruzione giuridica – l’Impero – a carattere universalistico, ci troviamo così di fronte non ad un “universale” astratto come quello sul quale si impernia il moderno Stato di diritto, ma ad un universale concreto, ovvero ad un universale come sintesi di particolari, ciascuno dei quali tutelati nella propria specificità. Ancora nelle monarchie nazionali europee della prima età moderna, non solo le diverse comunità, ma addirittura ciascuna classe sociale, ciascun ceto, si autogovernava, e rispondeva a norme e tribunali che valevano soltanto per lei, prima che il centralismo assolutista e poi giacobino spazzasse via tutto ciò in nome dell’astratto universalismo razionalista: non una società intesa quale mera giustapposizione di cittadini-monadi portatori tutti di eguali “diritti naturali” garantiti dalla norma formale, ma come insieme organico di comunità storicamente e culturalmente definite, tutelate dalla persona fisica del re attraverso una rete di patti, contratti, concessioni. Tutt’oggi, nei paesi musulmani non omologati al sistema giuridico occidentale dove il diritto è ancorato alla legge coranica, le “minoranze” etniche o religiose godono di speciali immunità e particolari statuti che permettono loro di autogovernarsi secondo le proprie tradizioni e le proprie regole di convivenza.
Ci sembrano questi i modelli che, di fronte alla sfida rappresentata dal fenomeno migratorio per lo stato nazionale partorito dalla modernità, possono servire oggi da riferimento per le soluzioni più adeguate, in un rinnovato spirito di autentica tolleranza ed accoglienza, contro le obsolete risposte di forze politiche che di quella tradizione statuale sempre più in crisi non costituiscono altro che le ultime e cadenti epigone. Anche in relazione all’immigrazione, come in merito ai tanti altri drammatici problemi che in questa nostra epoca di transizione siamo chiamati ad affrontare, il discrimine non passa più tra destra e sinistra, due facce di una stessa moneta scaduta e ormai fuori corso, ma tra chi quella modernità vuole portare a compimento e chi intende invece superarla in nome di un effettivo pluralismo e di una reale salvaguardia di ogni tradizione e di ogni identità.

Commenti
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Fabio Mazza (Registered) 11-01-2010 09:01

Inutile dire quanto mi riconosca nelle parole dell'articolo, e nel "ghibellinismo" tratteggiato da Stefano.
Il discorso fila tutto tranne la questione "Leggi". Il problema è che in un sistema come quello attuale, è impossibile delineare un sistema "feudale di leggi", non solo perchè contrasta con l'assunto "democratico", ma anche perchè lo stesso presupporebbe una fedeltà, un senso dell'onore e della parola che è evaporato da questo mondo.
Il problema della legge penale è semplice: visto che in democrazia in teoria ognuno è uguale davanti alla legge, non è possibile che un immigrato risponda a leggi diverse di un italiano, o che possa compiere attività che un italiano non può compiere. Cosi come sarebbe "anticostituzionale" secondo l'articolo 3, che un italiano potesse fare cose che un cittadino di origini straniere non può fare.
Ora che questi presupposti possano essere fallaci è vero. Ma che almeno siano coerenti con l'ideologia che li sottende questo è poco ma sicuro. Non è infatti possibile che un mussulmano possa infibulare la figlia sul territorio italiano senza violare vari principi penali e costituzionali, tra cui la dignità della donna, la salute e la libera formazione del minore e via dicendo.
Ora non sta a me a me giudicare se le pratiche in questione siano o meno lesive per le donne di QUEL popolo e di QUELLA cultura, tant'è che mai mi sognerei di seguire gli apologeti dei diritti umani nelle loro battaglie per estirpare tali pratiche nei paesi di origine. Ma mi sembra quantomeno sensato che, se un italiano non può mutilare sua figlia in Italia, uno straniero che si trova in Italia non possa mutilare a sua volta la propria figlia. Il fatto del riconoscimento del pluralismo non significa, come hai detto tu, appiattimento. Ma non significa neanche cadere nel relativismo accettando qualsiasi pratica in nome del relativismo stesso, per cui secondo la tua visione, se tali pratiche fossero portate avanti nelle comunità, in tali comunità non dovrebbe valere il diritto dello stato. A parte i gravi problemi di ordine pubblico che, piaccia o meno, una legge uguale per tutti, in una società complessa, in qualche modo tampona, si verrebbe a creare un sistema giudiziario impossibile da gestire, come e più dell'attuale. La tua visione mi trova completamente d'accordo, ma occorre stare attenti a non confondere il "dovrebbe essere" con ciò che fattivamente abbiamo davanti, e nel tratteggiare un sistema di cui mancano i presupposti umani, morali, storici e anche trascendenti.
Drachen (Registered) 11-01-2010 11:55

si pone il grave problema dei confini che in una società metropolizzata porrebbe questione di territorio non indifferenti. è scontato che l'identità sia collegata al territorio, quindi gli immigrati dovrebbero avere delle enclavi tutte per loro.
primo punto: come stabilirle? non si vuole spero ricreare delle situazioni come quelle di Padova o di Gaza e in cui una sorta di invidia sociale del vicino creerebbe tensioni esplosive.
il discorso mi pare un pò forzato.
secondo punto: un modello ghibellino non può che nascere dapprima da una trasformazione economica e successivamente abitativa.
in quel lasso di tempo si verrebbe cmq a creare un'assimilazione.
l'assimilazione non è una cosa solo moderna tra l'altro. anche i Romani assimilavano settori della popolazione attraverso la schiavitù, poi le alleanza, fino ad arrivare alle dinastie di imperatori barbari.
bisogna sempre porsi il problema dell'identità anche se ciò può andare a scapito della diversità di alcuni strati della popolazione. quindi bisogna in primis fermare l'assimilazione all'esterno, perchè quella interna è un processo che io credo inevitabile.
terzo punto: la sovranità nazionale, anche in un sistema a leggi differenziate, dev'essere mantenuta.
cosa fa pensare ad una quieta convivenza di enclavi culturalmente e legalmente diverse? in Giappone i feudi si sono combattuti per anni nonostante una cultura fortmenente omogenea....
soprattutto si verrebbe a creare una situazione dove culture fortmente abituate al conflitto si troverebbero di fianco le pecore occidentali.

fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 11-01-2010 16:55

L'articolo di Di Ludovico è un mirabile esempio concreto di cosa significhi "andare oltre destra e sinistra". Lo condivido in tutto. Riconosco che le obiezioni di Fabio sono molto consistenti ed esigono l'apertura di un confronto di idee. Credo che possano essere superate, eventualmente anche con la revisione di una Costituzione che dopo il trattato di Lisbona fa acqua da tutte le parti, vedendo le cose in modo dinamico e non statico. Ogni comunità forte e organizzata presente sul territorio nazionale dovrà darsi ordinamenti autonomi, che terranno conto di una realtà che non è quella dei Paesi di origine. Saranno regolamenti che conserveranno l'impronta della cultura di quel gruppo etnico ma non riprodurranno puramente e semplicemente tradizioni che dovranno confrontarsi con sistemi molto diversi. Per riprendere l'esempio di Fabio, non credo che in Europa un gruppo etnico codificherà la prassi dell'infibulazione (pratica tribale africana che non ha nulla da spartire con l'islam). Nello stesso islam africano e asiatico la discussione fra diverse scuole di pensiero è accesa e aperta: vedendo le cose in modo dinamico e dialettico, è presumibile che l'islam europeo assumerà forme proprie. Credo che in questa ottica diverse tradizioni giuridiche possano interagire e coesistere.
Anche Drachen solleva obiezioni degne di nota. Il riconoscimento di enclaves in cui un gruppo sociale all'interno di una nazione aveva il diritto di autogovernarsi appartiene anche alla storia dell'Europa moderna. Un caso eloquente è quello degli ugonotti in Francia. Per qualche tempo la loro enclave, riconosciuta dalla legge, funzionò senza traumi, finché Richelieu prima e Luigi XIV poi non decisero di liquidarla con la forza, in omaggio a quel totalitarismo dello Stato-Nazione che Di Ludovico contesta in modo per me inappuntabile.
daniela (Registered) 11-01-2010 21:13

Mi associo a coloro che mi hanno preceduto, che trovano l'analisi di Di Ludovico molto interessante, da prendere in seria considerazione, condivisibile in linea di principio. Non posso nascondere che ho avuto tutte le perplessità presentate da Mazza e Drachen.
Se non c'è un tracollo del sistema economico attuale, che riduca la globalizzazione e renda la popolazione più stanziale, non credo si possano creare delle enclaves omogenee che possano autogovernarsi, con regole diverse da territorio e territorio, magari da quartiere a quartiere di una stessa città. Oggi sia coloro che studiano che quelli che lavorano si spostano dai luoghi nei quali risiedono anche più volte nella stessa giornata, fatico ad immaginare una convivenza decente, da separati in casa, con lingue, culture e codici diversi.
Se Fuschini fa riferimento ad un islam europeo originale vuol dire che sono proprio i contatti a produrre cambiamenti in coloro che arrivano in Europa. D'altronde questi producono a loro volta cambiamenti negli "indigeni".
Cambiare la Costituzione adesso per me è improponibile, servirebbe solamente ad aumentare il caos.
Nell'ambito penale, soprattutto, mi sembra impossibile pensare ad un diverso trattamento delle persone in base alla origine, al colore, alle scelte individuali.
Credo come Dekate che si dovrebbe fermare prima l'assimilazione all'esterno, ma che all'interno, almeno in una certa misura, sia inevitabile. Mi chiedo però come sia possibile fermare l'assimilazione all'esterno; solo un cataclisma potrebbe condizionare le masse impoverite dell'Africa e di alcune zone dell'Asia
h2otonic (Registered) 12-01-2010 00:56

Un popolo di vecchi panciuti e ubriachi che vive nella muffa non puo' che stupirsi e poi soccombere anche al semplice confronto prima, che allo scontro, con chi viene dalla giungla.
Grassoni ed annoiati ci trastulliamo con teorie che hanno intasato la storia anziche' farla, analizzando l'ovvia diversita' dell'Altro perche' costretti a neutralizzarla.
Cio' che e' naturale ricchezza , la diversita' delle genti, ci appare come il male da rifuggire perche' noi alla nostra particolarita' abbiamo rinunciato, diventando deserto.
Nella giungla i sensi sono piu' vivi e vitali, il cuore ha altri ritmi, ed ogni angolo e' da scoprire, nel deserto non restano che i miraggi.
Loro vivono fra le tigri, noi fra i cagnolini.
Drachen (Registered) 12-01-2010 11:41

http://ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=29964

vorrei sapere che ne ne pensate di questo articolo. per me è un nodo cruciale del ns. dibattito.
alessio (Super Administrator) 12-01-2010 21:33

Al di là degli ostacoli della contingenza storica, la prospettiva tracciata da Stefano è affascinante e condivisibile dalla prima all'ultima riga. Dovendo sicuramente trattare la materia dell'immigrazione nel rilancio "politico" del movimento (almeno via web, sul sito nazionale), ne terremo conto proprio per andare, come giustamente sottolinea Fuschini, oltre la destra e la sinistra.
Alessio Mannino
Sara70 (IP:87.19.94.7) 12-01-2010 23:41

Pretendere che una o più persone siano saldamente incastonate in un'affiliazione, e in una soltanto, non può che annientare tutti i complessi intrecci fra la moltitudine di gruppi, sostituendo la ricchezza di un'esistenza umana piena, con una formula circoscritta che continua ad insistere che ogni persona debba essere "collocata" in un unico compartimento organico. Si pensi allora ai figli degli immigrati che costituiscono ormai il 12% dei nuovi nati in Italia e loro malgrado sono un ponte che ha due possibili uscite: l'incomunicabilità e il conflitto o la ricchezza di una società plurale, accettata e condivisa. L'essere non riconosciuti, quasi stranieri a casa propria ovunque si vada ed essere al contempo incasellati in stereotipi(d'origine e d'adozione), sono i crucci più grandi di questa nuova generazione italiana. Concordo che al fenomeno immigrazione sia necessaria l'esigenza di una cittadinanza che impari a gestire il pluralismo connesso alla presenza di minoranze linguistico-culturali e perchè no, ridefinendo una nuova identità dello stato-nazione. E c'è anche da chiedersi se l'identità stato-nazione debba rimanere autentica a se stessa o trasformarsi via via includendo nuovi elementi portati da gruppi etnico-culturali diversi. La sfida è grande ma la storia non l'hanno ancora scritta.
Fabio Mazza (IP:93.149.19.74) 13-01-2010 09:12

A me la parola pluralismo non piace. In se è un concetto antico, ed anche nobile, ma l'accezione che assunto mi fa diffidare da chi la sbandiera come una grande opportunità.
Non bisogna dimenticare infatti che l'identità, le radici e la "stirpe" non sono cose prettamente materiali, checchè ne dicano gli apologeti di un certo razzismo in salsa xenofoba, per cui l'identità italiana sarebbe data dal fatto che tutti viviamo sotto lo stesso stato nazionale. In realtà sono più spesso fattori di coesione morale e spirituale a fare una razza e un "popolo" (termine che devo ammettere mi fa sempre un po paura). Tant'è che, per quanto mi riguarda, mi sento più legato a certi tedeschi o giapponesi che condividono la mia visione del mondo che a tanti "italiani".
Però è anche vero che ci sono delle caratteristiche anche materiali che, se non mantenute inalterate, portano ad un meticciato, ad un meltin-pot, sul modello degli USA, una società, in sostanza, dove cè tutto e il contrario di tutto, che deve, per forza di cose richiedere ai cittadini che la compongono la semplice condivisione di norme di civile convivenza, lasciando da parte la possibilità di una coesione su superiori valori orientativi di vita. Giacchè non prendiamoci in giro: la differenza di valori tra un immigrato che non sia "omologato" e un italiano è enorme. E visto che questi immigrati non sono l'elite di quei paesi e sistemi sociali, ma il popolo, è ben facile capire che, seppur in maniera meno becera e lampante del caso Italia, abbiano una chiusura mentale e una mancanza di visione unitaria della realtà che fa il paio con quelle dell'italiano medio.
Quindi diviene difficile mediare culturalmente tra due concezioni a volte antitetiche, quella "democratica" moderna (con tutto il suo carico di ipocrisie e di falsità) e quella, ad esempio, mussulmana, che è sicuramente più aderente ad una società tradizionale, ma è lungi dall'essere qualcosa di diverso che una forma degenerescente della stesse, e che porta con se (e non è un giudizio di valore) un carico di fanatismo paragonabile solo a quello della santa inquisizione di cincuecentesca memoria.
Un altro esempio sono questi giovani di seconda generazione. Molto spesso sono abbastanza patetici, anche perchè della loro razza e dei loro costumi mantengono solo i tratti somatici, essendo diventati, dal comportamento, al mondo di vedere il mondo, ai valori orientativi, dei perfetti italiani o occidentali che dir si voglia, (cioè nel novanta per cento dei casi dei perfetti stronzi). Se io fossi un immigrato sarei geloso della mia tradizione e della mia cultura, non vorrei assolutamente integrarmi, a parte il minimo necessario per convivere civilmente.
A mio parere l'unica soluzione è che ogni popolo sia padrone a casa propria. Quindi stop all'immigrazione in Italia, e stop all'esportazione di capitali e di imprese all'estero da parte di italiani. E finalmente lasciamo quei popoli con le proprie forze, senza cercare di "aiutarli" come abbiamo fatto da quando sventuratamente li abbiamo "scoperti".
Sara70 (Registered) 13-01-2010 16:56

Il fenomeno immigrazione purtroppo esiste e perdurerà. Non si può non tener conto che l'emergenza stranieri è alimentata dallo stesso blocco sociale che degli stranieri ha un disperato bisogno. Semplice: più si alimenta la paura e la chiusura, meno permessi legali si concedono = maggiore spazio per il lavoro nero. L'emergenza serve solo a tenere basso il costo della manodopera.
ottavino (Registered) 14-01-2010 07:30

La grande mobilità è eccitante. Siamo tutti abituati a muoverci. Treni, aerei e quant'altro. E' l'uomo dei nostri tempi.
E il desiderio di autarchia, di riflessione, di pausa, che promana dal finale dell'articolo di Fabio Mazza è anche il mio.
Però, per coerenza, occorrerebbe dire anche stop al turismo....
In pratica, si torna sempre lì: quello che proponiamo è il "suicidio" dell'attuale civiltà, della sua capacità "eccitatoria"....chi ci seguirebbe su questa strada?
Fabio Mazza (Registered) 14-01-2010 08:45

Nessuno, difatti molto probabilmente verremo presi a sassate dalla plebaglia inferocita.
Però ti dico come la penso. Credo che non sia un problema di mezzi, quanto piuttosto dell'uso degli stessi. Un uomo più grande di me disse una volta che, in un uomo differenziato, quello che per gli altri è veleno potrebbe essere usato come nutrimento. Ed anche che se le scoperte tecnico-materiali della modernità venissero usate da un uomo che ha capito realmente la gerarchia dei valori e delle cose, il problema non si porrebbe, perchè tale uomo non subordinerebbe mai i fini ai mezzi.
Detto questo è da domandarsi se la grande massa "democratica" possa realmente capire questa posizione. Io ritengo che, come sempre nella storia, la vita dei più sarà decisa da pochi che avranno avuto la lungimiranza, o che avranno le caratteristiche spirituali e di comando, per influenzare la società senza che questa se ne accorga nemmeno.
MarMar81 (Registered) 14-01-2010 17:40

Questo è uno degli articoli più brillanti che abbia mai letto riguardo la problematica dell'immigrazione, non posso che porgere complimenti vivissimi all'autore: è riuscito a condensare in un articolo tutto ciò che va detto a riguardo.
pablobras (Registered) 14-01-2010 21:15

Cari commentatori....
la società multietnica è fallimentare in tutto il mondo in quanto sottoprodotto del capitalismo globale nella sua funzione di abbattimento dei costi di produzione e di servizi per le classi più agiate.
Non è una questione razziale ma di sopravvienza. E' una guerra tra poveri globalizzata senza confini . La massa di un paese ricco e sviluppato viene fortemente penalizzata a vantaggio dei poverissimi immigrati e delle classi sfruttatrici.
Non esiste in nessuna parte del mondo il principio di fare le cose giuste, secondo morale,etica,giustizia. Tutto è mosso da ricerca spasmodica di profitto pecuniario. I problemi collegati all'immigrazione sono solo un effetto collaterale di tutte le società dove la classe dirigente non fa gli interessi del popolo pur avendone ricevuto il mandato democratico rappresentativo atto allo scopo di buona gestione pubblica.
Ogni cittadino di classe media e bassa dovrebba essere fortemente contrario all'immigrazione in quanto fenomeno che indebolisce la propria forza contrattuale in tutti gli ambiti sociali lavorativi.
L'immigrazione è principalmente parassitaria. I guadagni spesso in nero vengono inviati ai parenti nel paese di origine avendo tolto il lavoro agli italiani, specialmente ai giovani.
Il lavoro precario, la delocalizzazione produttiva,l'immigrazione di massa sono espressioni di anarchia politica e di dittatura economico-finanziaria globale.
Il concetto di nazione sempre più annichilito a favore di una organizzazione sociale materialistica produttiva e consumatrice spinta all'eccesso.
Il buonismo e l'accoglienza fa il gioco degli sfruttatori...il corpo sociale dovrebbe reagire anche violentemente contro tutte le politiche contrarie al proprio benessere.
Difendere la terra dei padri dagli invasori. Difendere la propria esistenza e il benessere conquistato col sudore e con il sangue dalle generazioni che ci hanno preceduto. Combattere le tirannie responsabili della propria decadenza. Combattere ...combattere....combattere.
Fabio Mazza (Registered) 15-01-2010 09:50

In realtà il tuo discorso non è errato, ma accusa alcune unilateralità, che cerco brevemente di riassumere.
1-che la società multiculturale sia un fallimento è indubbiamente relativo; lo è dal mio (e nostro punto di vista), ma non lo è dal punto di vista della finanza mondiale e della politica consumistico-produttiva, che, standardizzando i consumi per larghe fasce di popolazione, e con una "way of life" adatta a tutti (dal bianco, al nero, al giallo) si è creata l'alibi perfetto per omologare chiunque.
Quindi va da se che la globalizzazione e la mondializzazione rientrano nel "trend" dell'epoca, e in fondo sono visti con simpatia dalla stragrande maggioranza delle persone..quindi è difficile far passare questo giustissimo messaggio che dici.

2-salto tutta la parte sulle classe dirigenti, su cui sono perfettamente d'accordo. In realtà non sono "elites" ma solo ricchi sfruttatori dell'esistente.

3-Purtroppo ragioni anche tu con la logica degli "economisti", dei finanzieri, e dei mondialisti, quando mi parli del fatto che le classi basse dovrebbero essere contrari all'immigrazione "perchè indebolisce la loro forza CONTRATTUALE". Dovrebbero essere contrari all'immigrazione, ma non per questioni solo e meramente MATERIALI, bensì per il fatto che il meticciato porta alla perdita, specie in una società che non ne ha che residui, dei valori condivisi, della storia, delle radici e via dicendo. Quindi più da un punto di vista etico-spirituale, che da quello del CONTRATTO (mi sembra di sentire un sindacalista).
Lo stesso quando parli di immigrazione parassitaria: si nota la concezione per cui i soldi guadagnati..devono essere INVESTITI, che denota una concezione tutta moderna del "lavoro". Il discorso sarebbe lungo, magari ne riparleremo in altra sede. Sta di fatto che la febbre degli "investimenti" è la stessa che contraddistingue il dogma della "produzione" e quello del "consumo".

Che un corpo sociale spregevole, miserabile e infrollito come quello di questa disgraziata landa, un tempo patria di deii immortali e di civiltà millenarie, debba reagire, mi pare ovvio. Ma che debba mettere in atto una reazione scomposta, da plebaglia appunto, per cui attacca violentemente altri poveracci, sfruttati a loro volta, lo trovo davvero ridicolo. Dovrebbero reagire contro un sistema produttivo e politico che li ha fatti entrare nel circolo "produci-consuma-crepa", dovrebbero incazzarsi con se stessi, perchè questo paese è diventato una cloaca morale e perchè non esistono più valori sociali e spirituali di riferimento. Dovrebbero incazzarsi perchè siamo diventati tutti dei borghesucci del cazzo. Invece se la prendono con l'immigrato, come quei calabresi che non smentiscono la loro vera anima "mediterranea" (per la contrapposizione tra anima "romana" e anima "mediterranea", vedi Evola), sparando a dei poveracci, quando tutta la vita la passano omaggiando e inchinandosi al'ndrangheta. Perchè non sparano ai malavitosi quando gli estorcono il pizzo?
é solo un esempio per dimostrare che fondamentalmente siamo un popolo codardo, che ormai conserva ben poco della sua antica grandezza, che è sempre pronto a saltare alla gola del più debole, e a lustrare gli stivali al forte di turno. Quindi bene combattiamo il nemico più terribile e insidioso che abbiamo mai avuto. Noi stessi.
Panizzi (Registered) 15-01-2010 16:20

condivido in tutto e sono sempre piu' convinto del superamento dei concetti di destra e sinistra,sono tutti assuefatti al pensiero unico e vedono il proprio ombelico come centro del mondo ,completamente incapaci di immaginare un futuro diverso dal loro stile di vita
pablobras (Registered) 16-01-2010 01:31

Non ho detto di attaccare i deboli e i disperati....semmai chi si comporta male , in modo ostile. Il mio invito a combattere riguarda una levata di scudi e di lance contro la classe politica. Non mi piace nemmeno che tu te la prenda con chi non prende a luparate i mafiosi. Le popolazioni succubi della mafia hanno tutta la mia comprenzione.
Se non si ribellano è perchè lo Stato li è solo una parvenza.
MI è piaciuta l'idea di combattere con noi stessi...estirpare la presenza demoniaca inculcata...ai giovani dico di non guardare mai la televisione....mai! Di non fumare niente....di andare in montagana da soli.
Panizzi (Registered) 18-01-2010 22:29

devo dire che sono sempre piu' d'accordo con pablobras ,per onesta' devo dire che veniamo probabilmente da percorsi politici opposti ma oggi non conta niente perche' la scelta non e' destra o sinistra ma la coerenza e l' onesta intellettuale,comunque il punto fondamentale e' che i potentati economici e i capitalisti sono per me il nemico principale e l'immigrazine li favorisce ,quindi per me e' negativa
Zarco (IP:93.145.145.52) 24-01-2010 11:37

L'analisi di Stefano Di Ludovico è perfetta nelle premesse, ma io ritengo che sbagli clamorosamente nelle conclusioni.
Se noi rifiutiamo il sistema capitalistico globalizzatore ed omologatore, non vedo perchè dovremmo accettarne uno dei suoi effetti più clamorosi e devastanti, e cioè questa immigrazione oceanica che sta sfigurando l'Europa.
Non è forse anche questo un esito buonista
Il sistema va rifiutato in toto, e dunque in tutte le sue manifestazioni, che sono vari aspetti evidentemente di una stessa entità.
Il nemico non è affatto la diversità, ma anzi il contrario
E' proprio la diversità che va difesa.
E se la diversità va difesa, ogni diversità, perchè dovremmo accettare che scompaia proprio la nostra
E' proprio la NOSTRA diversità che viene cancellata, la diversità dei popoli europei, dei quali si dovrebbe accettare la scomparsa per realizzare in Europa un immenso "campo nomadi" dove ognuno abbia il suo accampamento Perchè mai PROPRIO LA NOSTRA diversità dovrebbe scomnparire, perchè mai dovremmo accettare che l'Italia diventi una territorio frammentato dove ogni gruppo faccia vita a se Questo è pazzesco
A parte il fatto che simili raltà non sono mai esistite stabilmente, alla fine o vince l'omologazione o il conflitto, resta la domanda del perchè in nome della diversità dovremmo accettare che proprio la nostra scompaia
La soluzione prospettata è incongrua, utopica, e comunque prevede la NOSTRA scomparsa come popolo.
SE vogliamo intendere questo come una punizione per il sistema di cui abbiamo fatto parte, ok, potrei anche accettarlo in questa ottica.
Ma se questa è considerata la soluzione giusta, siamo completamente fuori strada.
No, l'unica posizione coerente è quella di chi da sinistra combatte il sistema capitalistico e proprio per questo combatte anche questa invasione selvaggia che sta cancellando i popoli europei trasformandoli in un'altra america. Se amiamo la diversità, cominciamo ad amare anche la nostra
Perfettamente d'accordo che il discrimine non passa più tra destra e sinistra, due facce di una stessa moneta scaduta e ormai fuori corso, ecco perchè io sono di sinistra e antirazzista ma contro l'invasione straniera.
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lucianofuschini (Registered) 24-01-2010 16:28

Zarco, ti sfugge il richiamo di Di Ludovico agli imperi premoderni. Le tue considerazioni sono corrette se riferite alla concezione moderna di Stato-Nazione. Negli Imperi multietnici esisteva un forte potere centrale, avvolto da un'aura quasi sacrale, ma anche tutta una serie di realtà locali rispettate e garantite. L'impero cristiano medievale aveva al suo interno piccoli principati, repubbliche autonome, città-stato. Nell'Impero turco convissero per secoli turchi e arabi, musulmani e armeni, ebrei e cristiani. Ogni comunità aveva i propri regolamenti, le proprie leggi, le proprie tradizioni, pur riconoscendo il potere del Sultano. Riconosco che c'è il problema dell'insediamento territoriale. Quelle comunità erano concentrate in aree ben definite in cui in una certa misura si autogovernavano. Nell'Europa odierna il quadro è diverso. Non dimentichiamo mai comunque che ci prospettiamo un'Europa futura, dopo un grande sconvolgimento, un'Europa i cui parametri di riferimento saranno molto diversi dagli attuali.
Zarco (Registered) 24-01-2010 16:59

Fosco, ma il punto è perchè mai dovremmo rinunciare alla nostra ESISTENZA, alla nostra diversità di italiani, per trasformarci in un'altra schifosissima america? In un NIENTE di un coacervo di etnie e popolazioni riversatesi in casa nostra nel nome ancora una volta di questo maledetto sviluppo? Perchè mai dovremmo dire addio per sempre al popolo italiano? E' pazzesco! No, io non posso starci. E non concepisco come qualcuno possa accettare e prefigurare con qualsivoglia connotato di positività questo disastro.
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lucianofuschini (Registered) 24-01-2010 17:54

La nostra esistenza ci è già stata sottratta, la nostra diversità di italiani è già stata omologata alla schifosissima America. Il disastro è già avvenuto, non c'è più nulla da salvare. Noi cerchiamo di prospettare una nuova Europa, che rinasca dalle rovine della catastrofe già avvenuta, un'Europa delle piccole patrie in cui si possa recuperare la vitalità delle tante Italie che furono,in cui dovranno vivere con le loro autonomie anche nuove realtà nate da una immigrazione che non abbiamo voluto ma è un dato di fatto non rimediabile. Le comunità più forti e più organizzate di questi immigrati, quelle che non si saranno integrate nelle culture locali,conservino i loro costumi e la loro religione, in un'Europa delle autonomie che si riconosca tuttavia in un Centro unificante.
Zarco (Registered) 03-02-2010 18:39

Fosco, il tuo quadro fantascientifico io non lo voglio e non lo posso accettare.
Io combatto ciò che ritengo negativo.
I disastri non sono mai avvenuti del tutto, si può sempre migliorare o peggiorare. Tutto è relativo.
Siccome ci stanno violentando, allora cerchiamo di godere?
No, se permetti non mi pare una soluzione geniale, ma una soluzione che tende ad aquietare le coscienze di chi è di sinistra e non riesce a superare il nodo in modo coerente e razionale.
Bisogna essere di sinistra OGGI, e non essere ancorati a valori del secolo scorso e ottiche derivanti dai traumi delle ideologie razziste che sono state combattute a caro prezzo e che per questo le hanno lasciato pregiudizi fortissimi e una psiche distorta(esattamente come accade ad un individuo).
Bisogna essere di sinistra OGGI, e cioè essere dentro, capire e decifrare con una mentalità sana e libera la realtà di oggi.
Evitiamo contorcimenti e acrobazie intellettuali per giustificare tutto ciò che ci sta accadendo in quanto incapaci di elaborare una base ideologica di reazione.
Io la faccio molto più semplice, e così come ho cercato di illustrare sopra.
Lo ripeto, sono convintamente di sinistra e antirazzista, ma anche forsennatamente contro questa invasione, verso la quale ho una rabbia incontenibile per l'insulsaggine del popolo a cui appartengo, il quale per la prima volta nella storia (che io sappia) accetta una invasione che lo farà scomparire, senza difendersi. Tutto completamente contro natura.
Come infatti siamo, in quanto figli del mostro capitalista.
E' appunto per questo che la natura, come sempre accade per ciò che è contro di essa, ci sta cancellando dall'esistenza.
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 03-02-2010 22:01

Zarco, noi non siamo di sinistra. Uno dei presupposti di MZ è la volontà di superamento dello schema destra-sinistra, come di tutto il quadro della modernità, col suo tecnicismo, il suo culto del progresso, le sue pretese omologanti. Non essendo di sinistra, non abbiamo un'immagine edulcorata dell'immigrazione. Si tratta di un fenomeno devastante, soprattutto per i ceti popolari che vedono i loro quartieri degradati da questa massa di sbandati. Però ti invito a considerare che l'immigrazione non è la causa della nostra decadenza ma ne è l'effetto. Cerchiamo di non usare gli immigrati come alibi per nascondere le nostre colpe. Questo è vero anche per la delinquenza. Gli immigrati sono venuti ad aggravare un quadro che era già disastrato per opera nostra. Negli anni Settanta gli immigrati non c'erano, eppure dilagavano le mafie, il terrorismo, i sequestri di persona per averne un riscatto, la corruzione politica, le sofisticazioni alimentari, la microcriminalità, mentre la diffusione delle droghe diventava un fenomeno di massa. Il marciume è qui, il marciume siamo noi.
Zarco (Registered) 04-02-2010 20:22

Mi sembra che anche dalla mia analisi risulti chiaramente che l'immigrazione è l'effetto, appunto, della nostra decadenza!!!
Ma quale alibi, ho proprio detto che siamo portatori di un sistema fallimentare e che sta distruggendo il mondo! Semplicemente l'invasione straniera (un fenomeno di tali dimensioni non si può chiamare immigrazione, ma va chiamato col suo nome) è parte di questa distruzione.
Il marciume siamo proprio noi, è il nostro sistema socio-economico!
Ciò non toglie che questa invasione rappresenti una devastazione per le popolazioni europee, ed in particolare per quella italiana, perchè significherà la loro scomparsa.
Un piccolo danno da nulla... qualche altra diversità che se ne va, quella dei popoli europei ...ma cosa vuoi che sia,...robetta.
Non vale la pena agitarsi tanto.
..........................
O no?
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Sara70 (Registered) 04-02-2010 21:02

Di questi tempi, cos'hanno di così diverso e singolare le popolazioni europee tanto da farsi prendere dal panico se tali caratteristiche dovessero scomparire? Prima dobbiamo ritrovarla la nostra identità e poi semmai difenderla.
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 04-02-2010 22:21

D'accordo con Sara70. Abbiamo già perso la nostra identità, non per colpa degli immigrati che non sono portatori di una identità unica e forte (quali affinità possono esserci fra senegalesi e rumeni, marocchini e cinesi, russi e albanesi?)ma per l'azione massiccia e pervasiva dell'americanismo. Si tratta di ritrovare una identità, dopo il grande disastro che è già avvenuto, che ha già travolto l'Europa. E in questa nuova identità entreranno necessariamente comunità di immigrati che ormai sono una realtà scomoda ma non più cancellabile.
Zarco (Registered) 06-02-2010 23:58

@ Sara, a Roma si dice "parla come magni", a significare "non farla troppo complicata" e cerca di capire le cose che anche un bambino capirebbe, talmente sono semplici ed istintive, senza arzigogolazioni intellettualistiche gratuite:
le popolazioni europe hanno di diverso di essere le popolazioni europee, i tedeschi, gli svedesi, gli spagnoli, gli italiani, gli inglesi, i francesi, etc etc etc, con tutte le loro caratteristiche e infinite specificità che tutti conoscono.
Mettersi a discutere anche di questo mi sembra veramente troppo!
@ Fosco, ammesso anche che parte della nostra identità sia andata già perduta (e dicendo questo tu anche sottintendi che questa sia una cosa negativa dunque!), perchè continuare su una strada negativa? Se ci accorgiamo che è sbagliata bisogna correggerla, no?! Niente da fare, innanzituttto sembri non capire ciò che io sostengo e che ho ripetutamente evidenziato, poi c'è una gran confusione logica in ciò che dici, cui trovo difficoltà a controbattere. Mi accorgo che c'è PRIMA la volontà assoluta di sostenere una data tesi, e POI viene il ragionamento che serve solo a sostenere assolutamente QUELLA tesi precostituita, e non invece al contrario come dovrebbe essere di analizzare con spirito scientifico, cioè LIBERAMENTE la realtà, e DOPO dare una sistemazione teorica di essa.
Tu sostieni una tesi pregiudiziale, deve essere quella perchè così ti impone la coscienza o non so quale altro imperativo non contraddicibile, l'invasione è una cosa giusta e DEVE essere accettata, da qui non ci si può spostare.
Nessuna considerazione servirà a intaccare questo assioma precostituito che prescinde da qualsiasi ragionamento.
Questa è la mia netta impressione. Dunque a questo punto ogni discussione diventa sterile.
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Sara70 (Registered) 07-02-2010 10:04

@Zarco: La mia infatti era solo una riflessione che andava "oltre" le "infinite specificità" ancora sopravvissute, non alle minoranze etniche che tu tanto temi, ma all'omologazione moderno-occidentale che l'America ci ha imposto.
amugnolo (Registered) 09-02-2010 21:27

Ritengo che zarco abbia semplicemente ragione.
Accettare lo stato di fatto delle cose così come è attualmente, non vuol dire altro che accettare quanto è stato voluto è perseguito da chi ci ha condotto per mano, abusando della nostra ingunuità che spesso si puo definire stupidità, a questa realtà. Accettare lo stato delle cose fa a pugni con la ricerca delle proprie radici e appartenenza, come ritengo che venga confuso in qualche intervento.
La ricerca del nuovo ad ogni costo la lascerei, così come è stato in genere, nella storia, al progressismo e ai suoi seguaci.
Zarco (Registered) 10-02-2010 03:00

@Sara, non ho proprio capito cosa vuoi dire. Io non temo tanto le minoranze etniche ma proprio questa omologazione moderno-occidentale che ci ha imposto più che l'America, il sistema socio-economico che ci accomuna. Di questo grande disegno di omologazione fa parte l'invasione straniera che cancellerà tutti i popoli europei trasformandoli in un popolo unico al servizio del Dio Mercato.
Non temo affatto le minoranze etniche!
Temo invece questa omologazione che sta portando alla scomparsa del popolo italiano!
Possibile sia così difficile il concetto, o proprio non lo si vuol capire?
@Amugnolo, grazie della solidarietà, anche se non capisco la frase finale sul progressismo. Il nuovo, così come il progresso, vanno benissimo, certo non sono un conservatore, io sono di sinistra in modo molto netto! Ma questo non è affatto il nuovo, bensì lo stravecchio che sta continuando, pur fallendo in tutto il mondo e producendo distruzioni epocali, tra cui quella dei popoli europei.
Questo stravecchio che è sostenuto da destra e di sinistra, dalla Chiesa, dall'ONU, dall'Europa, etc
Non a caso l'unica forza ad opporvisi è la Lega, che certo non può dirsi una forza conservatrice.
E riguardo alla sinistra, stesso discorso, anche qui un buonismo che serve a giustificare la conservazione dell'attuale dinamica.
Altro che nuovo!
Il vero nuovo è opporsi a questa invasione!
Il resto sta nella consueta tranquilla ordinaria scia del vecchio e marcescente sistema capitalistico che tutto questo sta causando, volendo, ed imponendoci, e di cui spesso non siamo consapevoli.
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amugnolo (Registered) 10-02-2010 12:45

Vedi zarco, ho compreso benissimo che sei di sinistra, infatti sapevo già che non potevi accogliere quell'ultima frase.
Era rivolta ad altri intervenuti nel dibattito, che non sono, o non lo sono piu, progressisti e di sinistra.
Comunque, il vecchio e marcescente sistema capitalistico, come tu lo definisci, nasce da una cultura poi trasposta in politica che da alcuni secoli ci è stata imposta con le belle e con le brutte.
Illuminismo, progressismo, liberalismo, razionalismo economico e non, democraticismo capitalista o socialista e comunista (se di impostazione liberista o statalista, ma avente in comune il fattore economico quale elemento centrale e principale) sono tappe del medesimo percorso.
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