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De reditu PDF Stampa E-mail
8 luglio 2010



“Il ritorno” è la storia di Claudio Rutilio Namaziano, patrizio romano del V secolo d.c. Film italiano diretto dal regista Claudio Bondì, realizzato con risorse molto limitate (e ad onor del vero la cosa è evidente), con attori provenienti dalla “gavetta”, è tratto dall’opera dello stesso Namaziano “De Reditu suo”, scritta appunto negli anni della sincope della tradizione romana.
Namaziano è un patrizio romano pagano, di origini galliche, che decide di intraprendere un difficile e pericoloso viaggio da Roma alla natìa Tolosa, per verificare le condizioni delle sue proprietà dopo le invasioni di Alarico, che hanno distrutto l’Impero d’Occidente, a quel tempo governato dalla imbelle figura del cristiano Onorio. In realtà il suo intento segreto è di fomentare una rivolta dei maggiorenti locali gallici, quasi tutti pagani, contro Onorio, per acclamare un imperatore pagano. Le strade dell’Impero, ormai ridotte a dominio di bande di predoni e di signorotti locali, non sono sicure, e cosi Namaziano comincia il suo viaggio per mare, con una imbarcazione condotta da un losco figuro, avido di denaro. A Roma nel frattempo, viene scoperta la vera ragione del viaggio e un drappello di pretoriani viene lanciato all’inseguimento di Namaziano per ucciderlo.
Arrivato in Gallia tra mille difficoltà, Namaziano scopre che i suoi amici si comportano ormai più come signori feudali (del resto l’alto medioevo è imminente), che come cives romani. Essi tengono rapporti ambigui con Roma, e Namaziano capisce presto che presso di loro non troverà aiuto. Decide allora di tornare in Italia, e sulla strada incontra un suo vecchio amico, un patrizio delle Gallie ostinato nel perseguimento della tradizione dei suoi padri, che, constatato lo strazio di vivere in un mondo in rovina, ove i valori sono stati invertiti, preferisce uccidersi. Lo fa con calma dignità, come si addice ad un romano, come Catone, come Seneca, in un momento molto intenso del film, e lasciando Namaziano ancora più solo e disperato.
E si arriva cosi all’epilogo: raggiunto dalle truppe prezzolate al suo inseguimento il destino di Namaziano si compie. Egli muore conscio di non aver ceduto, di aver difeso fino all’ultimo non solo una “religione” o una dignità personale, ma un'intera visione del mondo. Una visione del mondo che di li a poco si estinguerà, sopravvivendo in forme incomplete e nascoste lungo tutto il corso del medioevo, in figure apparentemente cristiane, ma intrinsecamente “pagane”, nell’ethos, nella condotta, e nella vita.
Le invasioni barbariche hanno devastato la romanità, ma ancor più ha potuto un virus interno che, nato nella lontana Palestina, ha infettato silenziosamente e lentamente il substrato più autentico e virile di Roma: il Cristianesimo. Ovunque si può vedere il passaggio dei cristiani e del loro fanatismo iconoclasta: statue degli dei e templi sono stati mutilati e distrutti. All’amico che lo accompagna, un giovane che si scopre poi essere spia al soldo dei governanti cristiani di Roma, Namaziano precisa che quello scempio non è opera dei barbari, ma dei cristiani, intolleranti verso qualsiasi forma di grandezza, di bellezza e di perfezione. Caratteristiche che tali rappresentazioni della divinità rappresentavano. Namaziano precisa che i pagani sanno bene che nelle statue non c’è un dio, ma la “venerazione” delle stesse, finalizzata all’elevazione personale: una sorta di modello di perfezione cui aspirare, cui elevarsi, cui commisurare la propria condotta di vita ("tutti noi sappiamo che dentro a quelle statue non c'è un'anima, ma chi li ha creati forse si è creduto o ha finto di essere quasi un dio. Questo non ci perdonano.").
La situazione in Italia e in tutto il mondo tardo-antico è degenerata non tanto per una debolezza “fisica” dei romani, che fino a poche centinaia di anni prima vedevano garrire al vento i vessilli delle legioni, dalla Britannia al Ponto, quanto per un alterarsi, un venir meno di un dato tipo umano. A fronte del modello di spiritualità virile, eroico, distaccato e che si basava sul mos, sul rito, e sull’azione, sul rapporto diretto con il numen, con una forza intesa con rispetto ma mai con sudditanza, si afferma una nuova visione del “sacro” e del mondo. È la visione dei cristiani, che affermando il dualismo di questo mondo (valle di lacrime) con l’altro (regno di Dio), dissacrano la natura, la bollano come empia, tentatrice e demoniaca. Che concepiscono una visione della spiritualità basata sulla rinuncia, sulla mortificazione in attesa del “Regno”, sulla devozione fanatica e sulla fede. Nella loro delirante visione la civitas dei, diviene civitas diaboli, la “puttana di Babilonia”. Nella religione eroica romana, nell’adorazione virile e paritaria del patrizio, nell’uomo che vuole elevarsi a più che uomo, essi vedono orgoglio luciferico. Nella gerarchia romana, basata su un sistema di caste, essi vedono un affronto all’eguaglianza professata dal Cristo per tutti gli uomini. Sobillando i pezzenti, tutta la feccia del basso impero ad un riscatto che in vita costoro non erano in grado di ottenere; promettendo loro un aldilà contrassegnato da una “inversione di tutti i valori”, ove gli ultimi sarebbero stati primi, ove i miserabili e i malriusciti sarebbero stati beati; instillando nei cuori un’adorazione fanatica e devozionale, basata su abbandoni estatici di anime spezzate e discentrate, il cristianesimo mina le strutture dell’Impero. Con la loro massima del “porgi l’altra guancia” essi sobillano al lasciare indifesi i confini. Addirittura si spingono a sostenere che le invasioni barbariche sono un evento lieto, perché permetteranno ai “barbari” di conoscere Cristo. Tutto questo prepara la caduta. La fine di un epoca che fu una delle più grandi e splendenti della storia umana.
Momento culminante della pellicola è l’incontro di Namaziano con una comunità di “asceti” cristiani su di un'isola ove la sua barca attracca. Lo scambio di battute tra i due personaggi riassume lo spirito e il significato più profondo del film. I ragionamenti di Namaziano nulla possono contro il fanatismo del cristiano che lo taccia di essere “destinato alle tenebre”. Quando Namaziano spiega che l’anima non è una cosa “per tutti”, che non è regalata dal dio dei cristiani o dagli dei, ma che occorre meritarsela, e che è la natura a regalare le possibilità per questa conquista, il cristiano, fedele allo stile di tutti quelli come lui, si copre le orecchie con le mani per non ascoltarlo ("goditi il mio disprezzo, e soprattutto quello degli uomini che sono vissuti di pensiero e non di illusioni o di favole...").
Il nobile Namaziano, il cui ricordo vivrà per sempre in tutti i pagani e in ogni vir, che non accettano pseudo-tradizioni fondate su valori anti-virili e anti-tradizionali, registra le cronache di un mondo che finisce, di una civiltà al suo termine. Il suo tentativo anti-storico e ideale è anche il nostro tentativo di antimoderni, che incuranti della direzione presa dalla storia, continuiamo a seguire una “retta condotta” basata sui principi che ci contraddistinguono come Uomini, anche se il verdetto della storia ci ha probabilmente già condannati.

Fabio Mazza

Commenti
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fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 08-07-2010 13:21

Una domanda all'amico Fabio e a tutti coloro che vorranno riflettere sul suo testo così ben meditato: la Romanità è crollata perché vi si è diffuso il verbo del cristianesimo o il cristianesimo vi si è diffuso perché la romanità era già minata dalle sue contraddizioni, dall'estensione abnorme del suo Impero, dalla carenza di schiavi su cui si reggeva l'intero sistema, dal logoramento dei suoi ideali che non rispecchiavano più la realtà sociale?
Gaetano (IP:87.3.75.201) 08-07-2010 19:08

Io credo che la risposta giusta sia la seconda proposta da Luciano Fuschini.
Una civiltà forte, che crede fermamente nei propri valori, è impermeabile agli "agenti" esterni.
La civiltà romana, come tutte le altre (la nostra inclusa), non ha potuto sottrarsi alla legge dei cicli storici, ben esposta - tra gli altri - da Spengler nel suo "Tramonto". Per utilizzare una terminologia cara all'autore di quel capolavoro, entrata nella fase della Zivilisation, Roma non poteva più reggere agli assalti delle culture altre ed è capitolata sotto i colpi del cristianesimo.
A prescindere da queste considerazioni, ritengo comunque opportuno l'articolo di Fabio Mazza, non solo perchè il suo intervento ci porta inevitabilmente a riflettere sulla crisi valoriale odierna, ma anche perchè è giusto riconsiderare le radici culturali da cui proveniamo.
La Tradizione pagana (non solo quella romana, ma anche quella greca) appartiene alla nostra storia. Sarà distante nel tempo, o lontana dalla nostra mentalità, ma suscita un fascino particolare e può offrire risposte davvero profonde alla crisi moderna.
max (Super Administrator) 09-07-2010 11:04

Roma ha effettuato la prima grande massificazione del mondo antico: le tecniche di ingegneria civile, la normativa giuridica, lo sviluppo finanziario, senza contare l'omologazione anche inconsapevole che da questi punti di vista il mondo antico ha dovuto affrontare (basti pensare alla rapidissima scomparsa di migliaia di lingue europee sostituite dal latino, forse caso unico nella storia). L'espansione territoriale poi è stata effettuata con un'accelerazione che non ha avuto precedenti nella storia dell'umanità, nè sarà più ripetuta, e di questo i romani ne furono consapevoli. Roma ha portato alle estreme conseguenze le caratterisiche dell'antichità, e in seguito gli argini della stessa risultarono spezzati. Il cristianesimo fu la conseguenza imprevista di una civiltà che portandosi oltre i limiti delle cose, ha scritto la propria fine.
Ma quello che sta succedendo ora va ben al di là di qualsiasi paragone con il passato: la cancellazione del piano spirituale prelude all'eliminazione dell'uomo, sostituito dalla macchina, dal sistema informativo e infine dall'androide. Niente da paragonare con quello -pur discutibile e criticabile- che hanno fatto i cristiani.
sillarion@libero.it
MarcoFerr (Registered) 10-07-2010 09:14

Concordo con quanto afferma max e rilancio: Roma, specie nel tardo Impero, anticipò le tare della civiltà ipertrofica moderna.
Non dimentichiamo che la Roma Imperiale fu il primo esperimento di melting-pot culturale (per via della sua intrinseca "debolezza culturale": si veda la particolare ricettività nei confronti dei costumi e delle tradizioni -anche religiose - dei popoli assogettati), fu fautrice di un "capitalismo antico" e propugnatrice armata di una globalizzazione culturale (non solo linguistica) a tutt'oggi ancora troppo sottovalutata.
Se al cristianesimo si rimprovera la nascita dello spirito universalista, non dobbiamo dimenticare che fu proprio attraverso le "strutture collaudate" del declinante impero romano che riuscì ad imporlo.
La Roma tardo imperiale, poi, era una civiltà decadente, dai costumi "orientali", che soffocava in un materialismo gretto e senza ritorno.
Francamente, non ho mai compreso tutta questa infatuazione per la romanità pagana.
Fabio Mazza (Registered) 10-07-2010 12:00

Non comprendi perchè parli della decadenza di Roma,non della sua grandezza. Non parli della Roma prisca;non parli della grande e prima monarchia e respubblica..parli di una romanità in declino,che era comunque molto meglio di quello che venne dopo.
Non c'è alcuna comparazione tra il capitalismo "antico" (che è un invensione degli storici,perchè era un altra cosa il mercantilismo romano del capitalismo che nasce nel 1500), e le rapine e il colonialismo della modernità. Roma portava oltre che prendere. E non condannava ad estinzione le culture autoctone e locali. Era rispettosa delle differenze e forse alla lunga un eccessiva tolleranza la condannò ad essere conquistata dall'infezione giudeo-cristiana. Poi ammetto con te che il sincretismo degli ultimi anni portasse a risultati devastanti,e la religione dei padri fosse dimenticata a favore di divinità straniera (cosa che tra l'altro tutti i tradizionalisti romani e conservatori condannarono e combatterono,non da ultimo con il grandioso progetto di Aureliano,che con il sol invictus come divinità universale dell'Impero,ma con il riconoscimento degli dei consenti romani come divinità prevalenti,tendeva a combattere questa situazione).
Giovanni Marini (Registered) 11-07-2010 23:54

Le idee dei cristiani saranno state deteriori, disprezzabili e vili, ma non lo erano le gambe sulle quali camminavano. La figura di Gesù è tutt'altro quella di un debole, i cristiani rinunciarono alla vita piuttosto che adorare l'imperatore-dio, non meno di un Seneca o di un Namaziano. Innumerevoli accettarono il martirio piuttosto che l'abiura.
Ma i cristiani si infiltrarono in un mondo morente, esaurito, abitato da milioni schiavi e a questi, ai pezzenti, ai disprezzati, ai derisi, agli umiliati offrirono una possibilità di riscatto.
Nel filmato Namaziano rivendicando una superiorità morale nei confronti del fanatico cristiano legittima il potere degli aristocratici a governare. Il potere acquisito dai cristiani è invece visto come usurpazione, alterazione dell'ordine naturale delle cose. Davvero questa legittimazione si fonda sui mores, sui riti, sul culto della virilità, sul rapporto privilegiato col numen, sulla religio? O piuttosto tutto ciò è solo uno schermo dietro cui il Potere nasconde il sapiente uso delle armi (e dell'inganno)? E' questa la vera legittimazione del Potere, la sapiente amministrazione della violenza, in ogni tempo.
Senza servi non esistono padroni, né aristocratici. E se questi ultimi vanno giustamente fieri della posizione conquistata (vedi tutta la retorica che ci sta dietro) non si capisce perchè si debbano scandalizzare tanto quando gli schiavi una volta tanto rendono loro pan per focaccia.
tullio (Registered) 12-07-2010 01:55


Non sono un granché conoscitore della storia, ahimè, nè un fine lettore di storiografia, ma, dal mio lato di osservazione... credo di aver capito quanto basta per poter affermare che: dacché vi fu l'avvento del deus ex machina Ebraico da cui ebbe origine tutto il processo creativo di "unicità" che andò via, via radicandosi, adattandosi e rilevandosi sotto svariate sembianze, - quale il Cristianesimo - a danno del malcapitato e martoriato Politeismo, e legittimare il dominio di "superiorità" istituendo la dittatura del pensiero unico. Da allora, l'evoluzione della storia contribuì efficacemente, "in nome del progresso..." (se progresso vogliamo chiamarlo!) al gioco interessato e guerrafondaio per il mantenimento della destabilizzazione universale; vale a dire sobillare, inasprire e propagare col virus della credulità bibblica la schiavitù, le diseguaglianze e l'odio tra i popoli che andò sempre più vorticosamente degenerando sino ad arrivare a questa mirifica de-composizione enciclopedica della scelleratezza post-moderna (filosofume sacerdotale del vecchiume).

A far sì che nell'uomo, caduto nelle maglie di un implacabile destino, permanga sempre una sorta di attrazione fatale cui la pusillanimità non vuol e non può tener conto, sebbene, senza una tale fatalità innominata, senza una tale inclinazione primordiale, una quantità di azioni umane non potrebbero essere spiegate. Tale fatalità irresistibile è la perversità naturale del deus ex machina, il quale fa sì che l'uomo sia senza tregua e nel medesimo tempo omicida e suicida, assassino e carnefice.

Difatti, la pusillanimità religiosa nell'impossibilità di trovare un motivo ragionevole sufficiente a certe azioni malvagie e pericolose li induce candidamente a ritenerli il risultato dei suggerimenti del diavolo, se non fosse che, a quelli che l'anima se la sono conquistata, l'esperienza e la storia non gli insegnassero che i Diobì e i Diobà apocalittici dacché vennero al mondo si sono da sempre serviti di queste medesime azioni per lo stabilimento della verità e il castigo degli sciocchi, dopo essersi servito di questi medesimi come complici e mascalzoni!

Ecco ciò che fa temerario e nobile, il nobile Namaziano e pusillanime e fanatico, il fanatico cristiano.
sillarion@libero.it
MarcoFerr (Registered) 12-07-2010 08:48

Che il Cristianesimo avesse in sè una "componente originale sovversiva" è un dato di fatto, ma questo non gli impedì di costituirsi, successivamente, in una forte "Tradizione" (sì, ho proprio messo la maiuscola).
Se si vuole, ciò lo si apprezza anche nell'ambito degli Studi Tradizionali (che a me interessano relativamente): Guenon stesso afferma che il medioevo cristiano fu un'età feconda, di rinascita della Tradizione. Del resto l'istituzione tradizionale della nobiltà -un esempio su tutti- si conservò straordinariamente vigorosa nel medioevo e, nel feudalesimo, trovò addirittura la sua più compiuta espressione politica (il potere del suo sangue fu garantito, molto più di quanto lo ebbero i patrizi romani che dovettero sempre cercare l'appoggio o la mediazione dei vari dittatori/imperatori se non le stesse masse dell'urbe).
Inoltre è un dato di fatto che il Cristianesimo, pur nella sua sovversività, riuscì a costituirsi in un sistema di valori forti e radicati, tali da compensare la sua stessa tara universalista, nonchè inibire gli impulsi mercantilisti che, successivamente, avrebbero trovato sfogo nella nascita della barbarie capitalista (guarda caso, alla prima grande crisi del cattolicesimo europeo!).
Il Cristianesimo -sia pure nelle derive del suo misticismo tavolta "ingenuo"- servì per molto tempo da argine contro lo spirito antitradizionale e lo fece molto meglio di quanto avrebbe potuto farlo la romanità pagana.
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