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Centocinquant'anni di menzogne PDF Stampa E-mail

5 marzo 2011

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L’Italia l’ha voluta il cielo. Gli Dei, nella loro infinita grandezza, la cinsero della corona delle Alpi e la circondarono col mare. Nessun altra nazione corrisponde ad un territorio così naturalmente definito. Il resto del mondo appartiene alle categorie fisiche e politiche, come le cartine geografiche. L’Italia è invece espressione della volontà celeste. Numa Pompilio vi pose l’axis mundi, Augusto Imperatore ne delineò i confini fisici, Dante Alighieri la sublimò in prosa, Federico II ne ribadì la centralità cosmica. L’unità di destino e storia, di popolazioni italiane già prima dell’Italia politica, era quindi nella natura delle cose.
Quello che non doveva accadere, ed invece è tragicamente avvenuto, è la nascita di uno Stato unitario disceso da un progetto coloniale e quindi sostanzialmente antinazionale, prevedendo esso fin dall’inizio che alcuni italiani dovessero patire il massacro indiscriminato, la spoliazione economica e culturale, la calunnia storica, affinché sorgesse l’italietta asservita alla massoneria ed alla finanza francese ed inglese. Non doveva accadere che il primo Re d’Italia si chiamasse secondo, tradendo appunto il vizio coloniale d’origine. Non doveva accadere che figure di terz’ordine della storia quali Cavour, Vittorio Emanuele II (o il figlio del macellaio fiorentino), lo stesso Garibaldi senza orecchie, e poi i Bixio, i Cialdini, i Crispi, i fratelli Bandiera, Carlo Pisacane, Luigi Settembrini, Carlo Poerio, buoni per tre righe di cronaca, dovessero rappresentare la nostra memoria fondativa al posto di Romolo, Muzio Scevola, Scipione, Cesare, Augusto, Ettore Fieramosca, i Medici di Firenze, i Borbone di Napoli e Due Sicilie, e cito per ultimi costoro non a caso. Perché quello che prima d’ogni altra cosa non doveva accadere, è la creazione di un immaginario unitario basato sui falsi storici, sui miti di cartapesta, sulle verità da quattro soldi; sulla diffamazione e la calunnia delle genti del Sud e della loro storia gloriosa.
Potevamo unirci anche scrivendo la verità sulla ricchezza del Regno delle Due Sicilie, ricordandone i primati economici, sociali, sanitari, finanziari, culturali, artistici. Il Regno del Sud era uno stato sovrano ed indipendente, con una dinastia regnante autoctona da cinque generazioni. Se c’erano territori nazionali da liberare da stranieri, questi erano la Lombardia ed il Veneto, terre italiane occupate dall’Austria. Il nord sviluppato ed industriale è un mito creato per giustificare le ruberie e le politiche di drenaggio di capitali dal sud, che avvennero in maniera feroce a partire dal 1861. La ricchezza nazionale era detenuta in primis dal Regno delle Due Sicilie, poi dal Granducato di Toscana e dal Regno Pontificio. Il nord era la parte più povera ed a tratti degradata del paese, la meno industrializzata e meno produttiva. L’89 per cento delle morti per pellagra, cioè a causa di denutrizione, nel 1861 avveniva nel nord Italia. Gli addetti all’agricoltura nel  1861 erano maggiori al nord che al sud, ma nello stesso anno il 16  per cento dei meridionali era addetto all’industria contro l’11,8 del nord italia. Nel 1911, dopo cinquant’anni di politica coloniale, i sudisti diventarono terroni ed al nord nacquero i triangoli industriali. Gli addetti all’industria del sud scesero al 9,8 per cento, quelli del nord salirono al 14,7.
Potremmo proseguire con centinaia di statistiche simili, anche se i numeri non esprimono tutto. Perché vanno ricordati anche gli scempi politici e culturali che l’italietta dei Savoia ha regalato al sud, e che la Repubblica nata dall’invasione straniera continua a regalare, a partire dalla mafia che prima di allora non si era mai conosciuta e mai neanche nominata. Oggi, paradossalmente, coloro i quali furono liberati dagli stranieri e che dall’unità d’Italia trassero i maggiori benefici economici e sociali, sono proprio gli inneggianti a fantasiose e grottesche patrie dai nomi deliranti. La Terra dei Padri non si discute. Le piccole patrie corrispondenti ai confini di una regione o addirittura di una provincia sono entità possibili in chiave amministrativa, ma certamente non reggono lo status di Nazione, che comporta aspetti se non più spirituali e religiosi, almeno culturali e storici. Nascere italiani, di Milano o Palermo, Vicenza o l’Aquila, credo che continui ad essere un privilegio, pur volendo considerare le brutture che la società moderna riserva anche alla nostra terra.
L’Italia unita politicamente poteva essere una buona Patria per tutti, ma non lo è stata. Attendiamo fiduciosi che il modello platonico di Italia, scritto nei cieli e non ancora realizzato in terra, si realizzi coerentemente col destino cosmico che ad essa fu riservato. Per realizzare compiutamente questo sogno, bisognerà restituire ad ogni italiano la dignità della sua storia pre-unitaria, e non continuare in eterno con questa mistificazione dei buoni e patriottici ricchi che vennero a liberare i poveri e degradati sudditi di una dinastia retrograda. Solo alla verità possono ispirarsi i sogni. Solo dai sogni nascono le società di uomini liberi.

Marco Francesco De Marco

Commenti
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max (Super Administrator) 06-03-2011 14:56

Pur condividendo lo spirito che informa l'articolo di Marco, tuttavia su alcune conclusioni resto perplesso. Innanzitutto, se la storia dell'Italia unita non annovera personaggi della levatura di quelli latini antichi, ciò lo attribuisco più alla cultura (borghese) di riferimento che alle modalità in cui tale unità è stata conseguita. E' tutta la storia moderna che è priva di grandi spiriti, a parte Napoleone (e forse Lenin). Detto ciò, concordo che fondare l'unità a partire dal Regno delle due Sicilie ci avrebbe reso eredi di quel Federico II "Stupor mundi", che è stato probabilmente il più grande monarca che l'Italia abbia mai avuto. Ma di ciò è complice l'epoca, e il discorso si farebbe ben più ampio.
Ad ogni modo, comprendere Garibaldi tra i personaggi da tre righe di cronaca mi pare eccessivo, dato che altri Paesi come l'Uruguay, l'Argentina, il Brasile e l'Ungheria lo annoverano in qualche modo tra i loro eroi nazionali. Che poi abbia combattutto per la parte sbagliata è un altro discorso.
Dissento anche sul fatto che i mali del Meridione d'Italia siano da imputare tutti a chi tale unità ha voluto e gestito. Perchè a soffrire la mentalità industriale, produttivistica e competitiva moderna non è solo il sud Italia, ma pure il meridione della Francia con la Provenza, il Portogallo, il meridione della Spagna con l'Andalusia, la Grecia, la Turchia e in generale tutti i Paesi del bacino del Mediterraneo, che sono tuttora lontani dallo spirito borghese, calcolatore e utilitarista di chi la locomotiva moderna conduce. Quando uno spirito comunicativo e qualitativo come quello del sud si scontra con la mentalità moderna, competitiva, quantitativa e numerica, sono proprio i primi a soccombere. E ne conseguono dei disastri, dei popoli rovinati. E' un processo che io trovo naturale, inevitabile...non è solo questione di colpe.
Piuttosto, sarebbe da domandarsi come faccia un'epoca come la nostra a considerare "benessere" solo quello che nasce da industria e finanza, che secondo la nostra ottica poi è da annoverare piuttosto tra il "malessere", visti i danni che, dietro a una superficiale patina di piacere, arreca all'uomo nella sua interezza. Anche qui, come per i grandi uomini del nostro Paese, più che una questione di tempi, modi e zone geografiche, è una questione di cultura e di visione del mondo. Io che sono cremonese e lombardo da generazioni, più che disprezzare i cosiddetti "terroni" per non essere come noi, mi domando come sia possibile che nel mio paesino della campagna cremonese, dove da ragazzino vedevo ancora la mattina le massaie andare a fare la spesa sotto casa canticchiando e spettegolando tra loro, oggi a distanza di solo una quindicina di anni, vedo le strade deserte e i suv sfrecciare alla ricerca del più vicino ipermercato. Non credo che sia questo che vorresti vedere nella tua terra, Marco.
aragorn (IP:81.75.53.91) 06-03-2011 18:21

Io ho utilizzato le versioni ufficiali della retorica risorgimentalista per contestarne l'approssimazione e la superficialità, finalizzate alla costituzione del mito dell'epopea unitaria. La tesi secondo la quale un Sud occupato da stranieri(?), povero e degradato, è stato liberato da intrepidi condottieri ed eroi è tutt'ora quella che si insegna nelle scuole e nelle università. Non a caso sulla non conoscenza della situazione pre unitaria, sulla menzogna storica aggravata e continuata la Lega ha fondato la propria fortuna politica.
Ho premesso che non sono anti italiano e che, come si è letto, reputo essere l'Italia l'espressione di qualcosa di profondo e sottile che agisce in una dimensione di respiro cosmico. Lo schema povertà/ricchezza, oppure industria/agricoltura, che non appartiene alla mia visione del mondo, mi è servito per fornire dei dati reali, gli stessi dati che sconfessano la storia ufficiale ed aprono finalmente gli spazi ad una ricostruzione storica più vicina alla realtà. Naturalmente questo non neutralizza la mia coscienza e le mie consapevolezze antimoderne, ed ovviamente amo le donnine pettegole più dei SUV quanto te, ma io nel mio scritto mi sono fermato al 1861.
Quanto allo spirito "borghese, calcolatore ed utilitarista", che meglio si adatterebbe ad alcune popolazione e peggio ad altre, permettimi di dissentire e di dirti che quello del meridionale fantasioso e scavezzacollo, poetico ed incapace di una produttività tipica dei nordici è un mito destinato a svanire. Nessuno è adatto al mondo industrializzato, nè i cinesi nè i prussiani, a causa della sua origine anti naturale e sovversiva dell'ordine cosmico. Ma questa, come sussurrava la voce narrante di Conan il Barbaro, è un'altra storia.
zacheo01 (IP:82.76.204.29) 07-03-2011 18:45

Complimenti per l'articolo, ne condivido appieno spirito ed impostazione, e le verita' storiche dei numeri sono una ventata di freschezza.
Si dovrebbe ricordare piu' spesso queste verita' storiche, come si dovrebbe studiare veramente e piu' a fondo la vera storia del "brigantaggio", termine dispregiativo con cui si usa liquidare ad azioni di cafoni e criminali quella che fu una vera e propria rivolta popolare e comunitaria contro le sopraffazioni del nuovo stato. Faccio inoltre memoria che nell'opera di repressione del brigantaggio, l'esercito piemontese fece vere e proprie stragi da puri macellai, uccidendo donne, bambini, vecchi, preti, ed esponenendo le teste tagliate ed i corpi tumefatti degli insorti come monito al resto della popolazione (fratelli d'Italia, vero?). A queste atrocita' si aggiunge anche il fatto che l'esercito piemontese, non potendo da solo reprimere il movimento di ribellione perche' contava dell'appoggio dell'intera popolazione, venne volentieri a patti con i massoni ed i "lorsignori" del posto, pur di sopprimere il movimento. L'aiuto per la soppressione della ribellione in cambio di lassismo nei confronti dei signorotti. Questo ha sicuramente dato la spinta propulsiva ai fenomeni di controllo del territorio da parte delle famiglie, tipico del meridione, che negli anni e' poi sfociato nelle varie mafie. Ai piemontesi interessava l'integrita' dei confini e l'assoggettamento della popolazione, del resto fu Cavour a teorizzare il nord produttivo ed il sud agricolo, che poteva importare del resto?
Per gli amanti, suggerisco di scaricare da internet il film "Li chiamarono bringanti" di Pasquale Squitieri. Il film fu censurato dal governo Andreotti e ritirato dalle sale perche' minava appunto i fondamenti della retorica celebrativa dell'unita' nazionale.
Onore a te, Generale Crocco!
psaracocolos@gmail.com
psaracocolos (Registered) 07-03-2011 20:16

"L%u2019Italia unita politicamente poteva essere una buona Patria per tutti" scrive Marco Francesco De Marco ed aggiunge "bisognerà restituire ad ogni italiano la dignità della sua storia pre-unitaria".
Per fare questo si deve evitare di commettere un errore comunissimo per chi si appresta a ragionare di fatti storici. Non si deve ragionare di un avvenimento del passato con l'opinione di oggi su quei fatti e quelle persone.
Noi tutti, quando affrontiamo gli argomenti che hanno a che fare con il cosiddetto risorgimento, ci affanniamo per chiarire che noi non siamo così come ci hanno dipinto gli storici in questi ultimi centocinquanta anni di bugie.
Dobbiamo invertire l'argomentazione. Smettere di citare i primati del Reame (abbondantemente citati dai sedicenti difensori del Reame di Napoli, i cosiddetti "neo-borbonici") ma chiedere:
Come mai Napoli era l'unica città italiana con le strade lastricate, mentre Torino e Milano avevano dieci centimetri di fango misto a deiezioni di cavalli, e questo fino al 1860, mentre magicamente dopo le strade sono state pavimentate?
Come mai, come è facilmente osservabile, Milano è una città interamente rifatta dopo il 1860 e quasi nulla è rimasto della Milano preunitaria ed, in ogni caso, è stato interamente restaurato?
Come mai la costruzione del Duomo, il gran monumento dei milanesi, il simbolo di Milano, iniziata nel 1386, si è conclusa solo dopo il 1860?
Come mai uno scrittore milanese ne 1888 scriveva della sua Milano le seguenti frasi?
A Milano, una volta di vie e di vicoli infami ne avevamo parecchi.
Le case di via del Guasto erano tutto ciò che v%u2019ha di più innominabile e di più lurido al mondo: una vera verminaia umana.
Ma c%u2019è un nucleo di quartieri nel centro di Milano che in parte ora fu sventrato e in parte sta ancora incolume e che potrebbe essere chiamato con tutto onore il nucleo infame.
Il vicolo delle Quaglie è una schifezza, tanto per l%u2019aspetto come per la gente che vi abita.
Per evitare personalizzazioni cito anche una descrizione di Torino all'epoca dei Savoia-Carignano. Ecco come viene descritto un quartiere di Torino da un contemporaneo. «Mucchio di catapecchie e casacce, le cui mura screpolate ed annerite dal tempo minacciavano di crollare ad ogni istante, era la fortezza di uomini tristi, nemici dell'ordine, avidi dell'altrui, sitibondi di sangue e spinti da un feroce istinto al mal fare».
In questa ottocentesca bidonville, mefitico labirinto di vicoli soffocati da capanne informi, tenute assieme più dal fango che dalla calcina, con feritoie al posto di finestre, con porte scardinate e tetti di stuoie marce o di tegole pericolanti, la promiscuità era spaventosa: totale mancanza di norme igieniche, luridi servizi in comune, pozzi neri en plen air nei bui cortili, cassoni dell'acqua mai spurgati, altro ricettacolo di germi, immondizie fuori dell'uscio, scaraventate da finestre e ballatoi su strade e cortili, dove i più svuotavano i pitali senza nemmeno avvisare i passanti, abituati del resto a quei proiettili.
Non si correvano meno rischi all'interno delle case, se così potevano definirsi simili squallidi alveari. In un solo locale di pochi metri quadrati si stipavano famiglie di otto, dieci, anche dodici persone. Pochi disponevano di un letto, i più dormivano su materassi di paglia o di foglie dall'infernale lezzo, almeno per quei visitatori (messi comunali, sbirri, parroci, medici) che occasionalmente capitavano. Ma anche lo spettacolo che offriva il resto della città non faceva onore ai pubblici amministratori.
La sporcizia non risparmiava alcun quartiere, le strade, pavimentate con rozze selci, erano trafitte da ragnatele di minuscoli collettori di acqua piovana e di liquami fluenti da scarichi pubblici e privati. Anche se pochi ci badavano, lo schifo era grande. Nel 1843 «iniziò una lenta riforma del suolo e del sottosuolo delle strade... la riforma del selciato consistette nell'introduzione delle rotaie in pietra e del marciapiede in alcune strade.»
La provvisorietà o l'inesistenza dei più elementari servizi sanitari rendeva drammatica l'igiene personale.
La maggior parte dei torinesi si sottoponevano ad abluzioni sommarie, più settimanali che quotidiane, ma più mensili che settimanali. Pochissimi fortunati disponevano di un bagno o potevano affittare ad ore una tinozza d'acqua calda. La pulizia, del resto, non era tenuta in gran conto: lo stesso Vittorio Emanuele aveva scarsa dimestichezza con acqua e sapone. Come molte sue favorite.
Bisognerebbe chiedere ad un lombrosiano: che cosa è successo nel 1860?
alessio (Super Administrator) 09-03-2011 17:18

Ottimo articolo, Marco.
Alessio Mannino
anarca@hotmail.it
Martin Venator (IP:188.217.239.231) 10-03-2011 21:43

Qui è stata delineata l'unica Italia vera e possibile per cui si possa gridare "Viva!".

Viva la verità. Viva i sogni. Viva l'uomo che, in quanto libero, realizza i suoi sogni sulla strada della verità.
Giovanni Marini (Registered) 11-03-2011 00:33

Al tempo dell'emergenza rifiuti a Napoli mi sono chiesto come sarebbe stata la città se avesse continuato ad essere la capitale dello Stato delle due Sicilie. In altre parole una Casa regnante con sede a Napoli avrebbe permesso che la sua capitale sprofondasse in quello stato di degrado che tutti abbiamo visto? Non credo. E la Campania, Sicilia, Calabria sarebbero state di fatto governate dalle varie mafie? Le mafie prosperano quando c'è un vuoto di potere legittimo. Una aristocrazia stanziata sul territorio, diciamo pure retriva, avrebbe permesso l'affermarsi di un potere pervasivo come quello della mafia? Ancora non credo. Probabilmente oggi il Regno delle due Sicilie se avesse avuto una storia senza traumi avrebbe raggiunto un livello di sviluppo pari o superiore a quello della Spagna. Quali sarebbero le conseguenze di una separazione? A mio parere non è più possibile resuscitare lo Stato delle due Sicilie, rimettere insieme campani e siciliani, calabresi e pugliesi. Quelle diversità erano tenute insieme da un potere centrale legittimo e dalla religione; l'uno e l'altra sono oggi scomparsi. Quella che era una volta l'indiscutibile, prestigiosa capitale del regno, Napoli, oggi sarebbe ridicolo solo pensarlo. Il danno fatto dall'unificazione, è stato anche un male sociale, morale, profondo. L'uomo del sud avendo perso i suoi radicati riferimenti è diventato eccentrico, si è ripiegato in un individualismo negativo, ha perso il senso dell'appartenenza ad una Nazione. Perciò penso che la separazione produrrebbe certamente la nascita di piccoli stati dall'incerto destino coincidenti con gli attuali confini regionali. D'altro canto a posteriori dobbiamo riconoscere che l'Italia unita è stato un progetto di successo. Il Paese nel complesso si è ben comportato nei suoi 150 anni di vita, fatta eccezione per l'ignominiosa sconfitta nella II guerra mondiale, ma non per la sconfitta in sé, quanto per il modo. Non so se una eventuale separazione possa portare vantaggi al Nord. Il Nord potrebbe più facilmente realizzare una qualche forma di aggregazione tra regioni ma non ho davvero idea se questo gli porterà fortuna.
Oggi come oggi non mi sento di festeggiare nulla, sono solo triste e non ne capisco il vero motivo.
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 11-03-2011 07:44

C'è poco da festeggiare in questa Italia rappresentata dalle montagne di spazzatura, reale e metaforica, e materia inesauribile di barzellette per i comici di tutto il mondo. Il Sud borbonico fu aggredito dopo un'opera massiccia di denigrazione che ricorda le attuali campagne preparatorie di invasioni imperialiste per portare la civiltà, la democrazia e il rispetto delle donne. Però non cadiamo nell'errore opposto di fare dei Borboni l'avanguardia della civiltà europea e non dimentichiamo che se il loro governo godeva di consenso a Napoli, non era altrettanto popolare in Sicilia, teatro di frequenti rivolte indipendentiste.
MarMar81 (Registered) 11-03-2011 10:43

Nessun altra nazione corrisponde ad un territorio così naturalmente definito.
Introduzione suggestiva,ma un po' forzata...Gli stati isolani corrispondono anch'essi a territori molto ben definiti. Penso al Giappone, o al Regno Unito, o l'Irlanda...
MarMar81 (IP:78.4.84.196) 11-03-2011 11:04

Aggiungo un ulteriore commento alla discussione, che trovo interessantissima. Pochi sanno che nel 1848 i moti di Genova - ceduta senza ligittimazione apparente ai Savoia nel 1815 durante i lavori del Congresso di Vienna - non avvenirono, come in altri luoghi, per rivendicazioni liberali, ma indipendentiste. I genovesi si erano stancati del governo di Torino e volevano riacquisire piena indipendenza; i Savoia soffocarono nel sangue la ribellione ligure, popolazione che da allora assunse sempre una posizione fortemente ostile alla monarchia quando non propriamente repubblicana. Anche questa è storia - dimenticata - del Risorgimento...
aragorn (IP:151.82.119.254) 11-03-2011 12:52

Siamo prigionieri di un engramma ideologico. Perchè se sosteniamo che i Borbone erano l'avanguardia d'Europa secondo dei criteri progressisti e tecnologici, qualcuno di noi potrà ribadire che è tutto da dimostrare che la maggior ricchezza e la miglior produzione industriale siano un fatto positivo.
Io mi propongo soltanto di contribuire alla sostituzione della storia retorica con quella reale. Il Sud era la parte d'Italia più ricca, e di gran lunga. Al 36 per cento della popolazione corrispondeva quasi il 70% della ricchezza circolante in Italia.
La mortalità infantile, dato che dimostra buone o cattive condizioni igieniche, presenza di medici sul territorio, era minore che nel resto d'Italia. Nel Regno delle due Sicilie, sulla scia degli esperimenti corporativi di San Leucio, vi erano forme di Stato sociale, di assistenza mutualistica, di sostegno alle classi deboli. Il più grande edificio d'Europa, il Real Albergo dei poveri, ospitava migliaia di bisognosi offrendo loro vitto ed alloggio. Napoli era la capitale d'Europa per l'architettura, grazie al genio di Vanvitelli e della sua scuola. Il San Carlo fu il primo Teatro lirico del mondo e tutt'oggi è il più grande. Il giovane Mozart invano implorò il padre per stabilirsi a Napoli per cercare di imparare e diventare famoso. Leopold Mozart, vista la quantità e qualità di musicisti presenti nella capitale mondiale della musica, scrive al figlio nel 1778 : "Adesso la questione è solo: dove posso avere più speranza di emergere? forse in Italia, dove solo a Napoli ci sono sicuramente 300 Maestri oppure a Parigi, dove circa due o tre persone scrivono per il teatro e gli altri compositori si possono contare sulle punte delle dita?"
Scrive Sthendal nel 1817: Arrivo a Napoli. Entrata grandiosa: si scende per un'ora verso il mare attraverso un'ampia strada, scavata nella roccia tenera, sulla quale la città è costruita. Solidità dei muri. Albergo dei Poveri, primo edificio. E' molto più impressionante di quella bomboniera, tanto vantata, che a Roma si chiama porta del popolo.
La prima impressione è quella di essere piovuti nel palazzo di un imperatore orientale. Non c'è nulla in tutta l'Europa che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea. Gli occhi ne restano abbagliati, l'anima rapita...
Parto. Non dimenticherò né la via Toledo né tutti gli altri quartieri di Napoli; ai miei occhi è, senza nessun paragone, la città più bella dell'universo.
Scrive Goethe: "Da quanto si dica, si narri, o si dipinga, Napoli supera tutto: la riva, la baia, il golfo, il Vesuvio, la città, le vicine campagne, i castelli, le passeggiate%u2026 Io scuso tutti coloro ai quali la vista di Napoli fa perdere i sensi!"

Riconoscete in queste descrizioni la città delle cronache di questi mesi?
E chi ha sottratto a Napoli ed al Sud il suo splendore, la sua nobiltà, la sua ricchezza morale e materiale, che dal 1735 al 1861 furono merito, oltre che dei cittadini del Sud anche degli illuminati Borbone napolitani?




kafka09 (Registered) 19-03-2011 16:54

Sono d'accordo con le argomentazioni che rovesciano le falsità sul meridione, ma non con il concetto di unità metafisica dell'Italia. Il colonialismo, il primo vero colonialismo è stato quello di Roma, la quale ha provveduto a diffamare e calunniare le civiltà con cui veniva a contatto e che distruggeva. I Celti hanno subito questa operazione, pur avendo un pensiero e una forma di vita alte. Quando nel 490 hanno saccheggiato Roma, lo hanno fatto solo per motivi etici, per un tradimento subito, ma non l'hanno sottomessa, non hanno pensato di imporre un'amministrazione, uno stato, un diritto. E oggi combattiamo proprio con l'idea di diritto.
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