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Il vaso di pandora PDF Stampa E-mail

26 marzo 2011

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La catastrofe che ha devastato il Giappone non sta minando solo il dogma di fede dell'energia nucleare, non più vista, ormai, solo in chiave favolistica come soluzione universale di ogni problema energetico. Alle 14.45 di venerdì 11 marzo 2011, infatti, l'onnipotente uomo moderno ha riscoperto la sua immensa fragilità, sbattutagli in faccia con amorale freddezza da un terremoto e un'onda. Due eventi assolutamente normali e quasi insignificanti per la vita sulla terra che spazzano via in pochi secondi intere città, mettendo in ginocchio uno dei Paesi più avanzati al mondo, da sempre emblema di organizzazione, efficienza e tecnologia. Del presunto dominio umano sulla Natura.
Il simbolo insieme tragico e farsesco dell'impotenza di fronte a quanto accaduto è l'immagine di quegli elicotteri che, in un estremo e disperato tentativo di controllare un mostro creato dall'uomo, nella sua insipienza, e ormai scatenato, gettano acqua di mare sui tetri scheletri dei reattori di Fukushima sventrati dalle esplosioni. Come se si trattasse di un banale incendio di sterpaglie e non di una potenziale fuga radioattiva, con l'incubo di una contaminazione da plutonio. La morte di quei territori.
Nella letteratura greca si parla di hybris, l'arroganza contro gli Dei: una colpa grave che aveva come conseguenza la nemesis, la vendetta della divinità nei confronti degli arroganti, dei superbi che avevano osato sfidare leggi immutabili. È quasi facile vedere tutto questo nell'ecatombe giapponese, come se vi fosse un destino in atto. Come se fosse stato lanciato un terribile messaggio. Insieme un avvertimento e una lezione alla nostra società, quella dell'homo oeconomicus, delle crescite illimitate, della produzione illimitata, del consumo illimitato. Il tutto in una realtà e in un mondo che hanno confini precisi, quelli fisici e temporali. Quelli della vita di ognuno di noi, che illimitata non è. Il corto circuito è evidente e immediato. Qui niente è infinito, a parte la follia di chi è convinto che ogni cosa esistente, a cominciare dalle persone, sia al servizio di un fantomatico sviluppo che, creato sulla pelle dell'ambiente in cui l'uomo vive, finisce per trasformarsi, ironico ossimoro, in autodistruzione.
La negazione di quel futuro tanto agognato, altra parola d'ordine dei nostri tempi, uno dei propulsori psicologici della nostra economia. Un tempo vago e lontano, che come i miraggi nel deserto scompare in un attimo all'avvicinarsi del viandante moribondo e assetato. Quasi una categoria mentale più che una dimensione temporale, una meta che non arriva mai e che sembra creata appositamente per giustificare e alimentare i deliri di crescite eterne. "Perché in questo modello di sviluppo basato sull'ossessiva proiezione nel futuro, invece che sulla ricerca dell'armonia in ciò che c'è già" scrive Massimo Fini ne Il vizio oscuro dell'occidente "l'uomo non può mai raggiungere un punto di equilibrio e di pace, ma colto un obbiettivo è costretto dall'inesorabile dinamismo del sistema a inseguirne un altro, in un'affannosa corsa priva di senso che ha termine solo con la morte dell'individuo. Come al cinodromo i cani levrieri, tra le bestie più stupide del Creato, battagliando e mordendosi l'un l'altro, inseguono la lepre di stoffa che non possono raggiungere, così è l'uomo oggi".
E mentre in Giappone il veleno radioattivo vomitato da ciò che resta del sito di Fukushima sta già contaminando cibo e acqua, minacciando di investire direttamente la capitale Tokio, impossibile da evacuare con i suoi 30 milioni di abitanti, il resto del mondo torna a riflettere, almeno così si dice. Sarebbe allora utile domandarsi, approfittando di questo momento di presunta onestà intellettuale, se valga la pena compromettere l'integrità di intere aree del pianeta e la salute di milioni di persone, per garantire la sopravvivenza di un modello economico trasformatosi, nel tempo, da strumento nelle mani degli uomini a fine ultimo dell'esistenza di questi, divenuti, a loro volta, mero ingranaggio di un'immensa macchina. Sarebbe bello discutere di questo. Chissà, magari alla prossima catastrofe.

Marco Bombagi

Commenti
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daniela (Registered) 28-03-2011 20:44

Certamente non vale la pena battersi per garantire la sopravvivenza di questo modello economico. Certamente non si può elaborare a tavolino un modello alternativo da sostituire dall'oggi al domani. certamente vale la pena, su tutti i fronti, sperimentare ciò che è possibile, ove possibile, nei limiti del possibile, all'insegna di idee, principi, valori, che in questo blog si sono delineati, sempre più chiari e netti, nelle linee essenziali.
Sì, questo, per me, vale la pena.
Giovanni Marini (IP:188.11.25.136) 29-03-2011 17:03

Un articolo eccellente. Trovo molto giusto il riferimento alla hybris e alla nemesis. L'uomo ha peccato di arroganza nei confronti della natura liberando l'immensa energia dell'atomo e affermando che fosse sicura, così come costruì quella fantastica nave che fu il TITANIC e pretese che fosse inaffondabile. Quello che è successo dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che l'energia nucleare non è sicura, né lo sarà mai perchè l'imponderabile è ineliminabile dalla natura e proprio perchè tale non può rientrare nei calcoli del rischio. Inoltre, la gestione del disastro nucleare è impossibile. Qualunque disastro naturale si autolimita, al contrario la dispersione del materiale radioattivo nell'ambiente produce danni perduranti per tempi lunghissimi. Tutte le grandi opere che implicano un importante impatto ambientale sono una sfida alla natura e in ultima analisi un rischio mortale per l'uomo. Tutti noi siamo portati a pensare all'energia idroelettrica come a qualcosa di abbastanza sicuro e ecocompatibile. Non è così. Si pensi alla diga di Assuan costruita sul Nilo nel sud dell'Egitto. Questa ha creato un immenso lago artificiale, il lago Nasser, lungo 500 km e largo 35, una quantità d'acqua immensa che se cedesse la Diga spazzerebbe via il Cairo con i suoi 15 milioni di abitanti nel giro di poche ore, comprese tutte le città sulle rive del Nilo. Ecco, l'Egitto vive con questa spada di Damocle sulla testa, e gli egiziani lo sanno.
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