2 agosto 2007 ![Active Image](images/stories/2agiugno/ferie.jpg)
E' tempo di vacanze. Ce le troviamo dappertutto, in televisione, sui giornali, sulla bocca della gente. E' il solito ritornello che si ripete tutti gli anni... peggio, oramai addirittura ogni sei o quattro mesi, dato che basta una festività fuori posto per muovere milioni di turisti. Quindi tutti via verso le mete di villeggiatura, preferibilmente verso quelle nuove al passo coi tempi: sharm, maldive, bali...tutti luoghi talmente belli che l'uomo moderno "civilizzato" non riesce più neppure a godersi: se è alle seychelles, pensa già quando l'anno prossimo sarà a sharm; se è a sharm, pensa che l'anno successivo a bali sarà ancora più bello; se è a bali e vede che è così stupendo, figuriamoci l'anno dopo alle seychelles che il suo amico gli ha detto essere così meravigliose...! Sembra incredibile, ma oggi le persone lavorano per le vacanze. Tanto è diventato insensato ed estraneo l'attuale lavoro, che lo si fa con il miraggio di quando si starà sulla spiaggia; infatti a settembre la prima cosa che farà la gente rientrata dalle vacanze sarà probabilmente stilare il piano ferie/ponti per l'anno dopo. Eppure se ci si pensa bene non dovrebbe essere così. Lavoro e luogo di vita, perchè mai dovrei vivere con il costante assillo di lasciarli? Che senso ha vivere in un luogo sperando di avere l'occasione di andarmene al più presto? E che senso ha fare un lavoro al quale mi dedico solo lo stretto necessario per ricevere la busta-paga? La vita, quella vera, non è il mese che si passa in capo al mondo, ma i restanti undici trascorsi nella propria casa e nel luogo di lavoro. Non è migliorando le ferie che si rende migliore la propria vita. Non è fuggendo un mese e sognando per i restanti undici che si rende più sopportabile il proprio lavoro. Le ferie sono un prodotto del lavoro: più ferie non sono una liberazione, sono un palliativo. Chi dà più ferie, implicitamente toglie qualcosa al lavoro. Se aumentano le ferie, è segno che il lavoro diventa meno sopportabile, anche se magari meglio retribuito; e con esso la nostra vita quotidiana. Il lavoro per l'uomo è quasi sempre stato povero e duro, ma in genere veniva amato. E' sempre servito per portare a casa il pane, e non certo per la possibilità di passare un mese all'anno oltreoceano; ma i dodici mesi che si passavano a casa si lavorava meglio. Stesso discorso per il luogo di vita: esso è sempre stato visto come un rifugio, mai si è pensato - come invece accade oggi al termine delle ferie - "accidenti...mi tocca ritornare a casa mia". Pensiamoci bene: è assurdo, innaturale, mostruoso! Siamo stranieri quotidiani nella nostra città e nelle nostre case! Ho conosciuto tante persone delle generazioni passate che per tutta la vita, dalla nascita alla morte, non hanno mai fatto - nè sentito il bisogno di fare - un solo giorno di villeggiatura. E si riposavano ugualmente a casa loro, anzi meglio. E questo perchè erano padroni e non stranieri della loro vita. Massimiliano Viviani
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