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Paesaggio, bene comune? PDF Stampa E-mail

16 giugno 2011

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Se c’erano due cose di cui l’Italia poteva menar vanto, oltre ai suoi storici contributi artistici e culturali, erano il carattere gioioso del suo popolo e la bellezza dei suoi paesaggi immersi nel suo clima mite. Una grande varietà di scenari, dalle splendide coste ed isole soleggiate, alle pianure fertili atte alla coltivazione, dalle colline da cui proveniva il miglior vino del mondo, alle montagne per i pascoli, fino cime scoscese ed innevate.
Vien da se che gli italiani erano un popolo felice soprattutto in virtù di tali condizioni climatiche e ambientali favorevoli all’agricoltura, al pascolo e alla vita all’aria aperta immersa in un paesaggio splendido. Cosa rimane di tutto questo? Per esser franchi, ben poco. Le coste son state cementante e riempite di ogni sorta di porcheria: dalle strutture per il turismo di massa a immonde industrie corredate di scarico a mare; villette a schiera in ogni dove, magari di un bel color rosa, terreni agricoli diventati magicamente edificabili o adibiti a monocolture. Colline e montagne sempre più spopolate e di contro città sempre più caotiche, enormi, malsane e invivibili. Il grigio domina su tutto, il verde pubblico rimasto è la parodia di quel che era. Che buon umore può avere un povero cristo a cui capita di vivere nell’hinterland di città quali Milano, Roma, Palermo o Cagliari? O un poveraccio che deve convivere tra le discariche di “monnezza”, cemento armato e diossina nel napoletano?
Se a ciò aggiungiamo poi il sentimento di frustrazione che patiamo quotidianamente, dovuto all’impoverimento costante e ineluttabile della nostra economia (che ne dicano politici ed esperti la situazione non si risolleverà mai) violentata per diventare da prevalentemente agricola a industriale e terziaria, il quadro è completo. Abbiamo venduto tutto quello che avevamo e non abbiamo ottenuto nulla. Tolto così il buon umore, dopo la bellezza dei paesaggi, ormai anche la cultura legata al patrimonio paesaggistico e storico-artistico è destinata pressoché a perire. Il crollo di Pompei e il progetto del ponte sullo Stretto sono un segno lampante ed inequivocabile dei tempi. Agli italiani rimane ormai solo il famoso ingegno, ma purtroppo quando l’umore è nero, le tasche vuote e manca cultura ed educazione, è facile che esso tramuti in furbizia, e da qui a divenire malaffare il passo è breve. Fin troppo.
Ma se come abbiamo affermato, la qualità della vita, oltre che dalla soddisfazione dei bisogni prettamente di sussistenza e materiali, dipende anche da elementi d’importanza cruciale per l’equilibrio emotivo, ad esempio la bellezza del paesaggio, com’è possibile che oggi non si riconoscano queste situazioni, visto poi che anche a fini meramente economici e strumentali se cementiamo e sporchiamo tutto anche il turismo è condannato? Chi verrà più dagli USA o dal Giappone a vedere villette a schiera, scarichi industriali e discariche? Il problema è molto complesso e coinvolge diversi fattori ma quello che a noi più interessa palesare è quello legato all’idea tutta moderna del diritto all’arbitrio soggettivo del singolo di far quel che vuole con i beni immobili di cui rivendica la proprietà esclusiva.
L’errore di fondo di cui la maggioranza non si capacita, in buona o cattiva fede che sia, è d’aver concesso troppo ai diritti del singolo o di gruppi organizzati (che sia il costruttore che deve vendere gli appartamenti, il privato cittadino che decida di farsi casa a modo suo in spregio degli elementari principi di pianificazione edilizia ed estetici, la multinazionale che piazza l’industria o il sindacato che la difende, poco importa).
Il paesaggio, infatti, è un bene comune e dovrebbe essere soggetto a vincoli stabiliti dalla comunità stessa secondo criteri che vadano oltre il diritto di modificare la propria proprietà a piacimento. Naturalmente a questo dovrebbero teoricamente provvedere i piani regolatori e urbanistici ma come sappiamo tra incompetenza, mazzette, malaffare e condoni va a finire che chi può fa comunque quel che vuole e come vuole. Senza arrivare agli eccessi della cementificazione di Palermo ad opera della mafia o ai casi eclatanti di scempio industriale come le industrie del Sig. Moratti, è assurdo pensare che anche un singolo cittadino possa costruirsi casa a modo tutto suo secondo il suo arbitrio se ciò corrompe irrimediabilmente l’equilibrio paesaggistico. Questo, infatti, non è né un diritto universale né naturale.
Il paesaggio è un bene particolare: anche quando ne gode il singolo dalla sua propria e personale visuale lo può fare solo in virtù dell’insieme creato dall’intreccio di natura e comunità umana sul quale può allargare lo sguardo.
Come scrive, infatti, il cantante e scrittore Giovanni Lindo Ferretti, “si può percepire quanto veloce e profondo, nel tempo di una generazione, è stato il mutare del paesaggio nel mondo. Paesaggio non è un dato materiale. Non si può acquistare, né cedere, né tassare. E’ determinato dalla collettività che lo abita trasformandolo ma è un patrimonio inalienabile dell’essere umano nella sua squisita individualità. E connaturato alla percezione soggettiva, non esiste se l’occhio non lo scruta ma si struttura in processo mentale e diventa realtà fiduciaria. […] Ispira poesia e se ne nutre”.
Ma oggi chi è in grado di “sentire” questa poesia? Se prima dell’avvento della modernità tutti avessero ragionato come si fa attualmente, non esisterebbero i bellissimi centri storici che possiamo ammirare in tutta Italia né particolarità come i trulli pugliesi, le case campidanesi in Sardegna o esempi unici come Venezia. Allargando il discorso a livello mondiale la cosa diventa ancora più lampante. Che la bellezza stava nella diversità delle culture e che ciò era un valore aggiunto andava interpretato in questo senso e non nel senso che ciascuno può fare, in questo caso parliamo del territorio, quello che più gli piace! E poi chi se ne frega se da vivere in un’oasi felice, ti ritrovi immerso in una fogna!

Alberto Cossu

Commenti
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ottavino (Registered) 16-06-2011 12:47

Proprio un bell'articolo.
Se poi prendessimo per buona la seguente teoria: "L'uomo non č altro che una trasformazione dell'ambiente circostante", vedremmo che il degrado esterno viaggia in coppia con il degrado interiore.
Tutti noi, infatti, frequentiamo cittā e paesi e ne osserviamo "le genti", ma fino ad oggi non ho mai trovato alcuno che si sia preso la briga di descrivere dettagliatamente la bruttezza degli umani che popolano le cittā odierne.
Eppure, camminando per strada, non č difficile incrociare persone "scombinate"....sguardi torvi, aciditā che esce dai pori....č "la normalitā"....
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