30 maggio 2012 ![Image Image](https://www.giornaledelribelle.it/images/stories/suicidio.bmp)
Cesate: imprenditore si impicca schiacciato dai debiti.Un idraulico di San Cataldo si è chiuso nella sua auto e ha appiccato il fuoco che lo ha ucciso. Un muratore di 53 anni, disperato perché da sei mesi aveva perso il lavoro, si è suicidato nella sua abitazione di Gravina di Catania. Un custode e un operaio edile rimasti senza lavoro si sono tolti la vita nel Salernitano. Proprietario di un'agenzia immobiliare si toglie la vita in un parco a Vicenza. Un uomo di 48 anni, si è suicidato impiccandosi questo pomeriggio a Salerno. «Chiedo perdono a tutti... Visto che sono un fallito ho deciso di farla finita.” L'elenco degli annunci di questo tipo, riportati di solito in modo molto scarno e quasi asettico in questi ultimi tempi dai nostri giornali, sarebbe ancora lungo. Dal nord al sud, sempre più frequentemente, uomini si danno la morte per motivi economici. La loro denuncia è forte, senza appello. In passato non è mai avvenuto che si ricorresse al suicidio così frequentemente, mai, neppure quando l'Italia era un paese povero, poverissimo. Il nostro modello economico ci dice continuamente di produrre, di consumare, e dopo, magari, lasciarsi pure crepare. Cinicamente ci consiglia persino di trovare una clinica in cui decidere, se malati o troppo vecchi per restare in corsa, decidere liberamente s'intende, di darci una bella morte, sempre che si abbiano i mezzi economici per farlo. Di contro, sempre più spesso mancano le condizioni per le quali si possa produrre, oppure consumare. Come mantenere il proprio tenore di vita, come sbarcare il lunario? Non ci si riesce? Allora tanto vale finirla, finirla subito. Potrei sottolineare alcuni motivi che inducono a gesti così gravi. Hanno un fondamento , è vero. Capisco le ragioni, le sofferenze, le giustificazioni. Alcune persone sensibili ne hanno parlato, e lo hanno fatto nel modo giusto.Però, ora vorrei venire ad un punto particolare, che mi preme.Si tratta esclusivamente di uomini, di maschi.Perché non scelgono altre strade per denunciare le loro difficoltà o superarle?Perché il fallimento nel lavoro, nel mondo degli affari, li fa sentire falliti come persone? Eppure hanno una famiglia, frequentemente una famiglia numerosa, spesso dei bambini piccoli. Che non scompaiono con la loro morte.Mi viene da pensare che c'è, come denominatore comune, in queste persone, una certa idea forte di virilità. Un'idea forte o un'idea sbagliata?Si sa che l'uomo, da tempo immemorabile, si è assunto il ruolo di proteggere la sua famiglia. Succede che deve portare, su di sé, tutta la responsabilità dello status sociale di questa famiglia, e per far questo deve lavorare con successo, per realizzarsi, per esistere. Senza il lavoro, senza l'impresa, il castello di carte che si è costruito crolla, e l'uomo è solo davanti a tutti i suoi problemi. Se cade nella disperazione deve risolvere il suo problema da solo. Il suo ingannevole senso di onnipotenza, infranto miseramente, lo spinge a farla finita.Eppure non era solo e i problemi non scompaiono con lui. Nessuno parla mai di cosa faranno quelle mogli, quei figli, che gli sopravvivono. La mia speranza è che le famiglie ce la possano fare, perché, se lo Stato abbandona sempre più i cittadini a loro stessi, se aiuta in modo inadeguato, è ancor viva, nei paesi, nei quartieri, nella cerchia delle parentele e delle amicizie, una rete di solidarietà a cui in particolare le donne, le mogli, sanno accedere. Questa solidarietà deve essere ripristinata il più possibile. E poi la cultura del dono, il senso vero della comunità.Il mio vuole essere inoltre un invito alla collaborazione fra i generi, nella loro differenza. I ruoli tradizionali vanno solo un po' rivisitati, ecco tutto.Il vero coraggio non è darsi la morte, il vero coraggio è affrontare le difficoltà della vita e la noia della quotidianità. Daniela Salvini
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