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Il delirio della libertà PDF Stampa E-mail

30 giugno 2012

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Questo testo è la sintesi di un articolo apparso su Rassegna di Arianna del 16 giugno 2012 (N.d.d.) 

Da quando l’Illuminismo ha incominciato a predicare la continua perfettibilità dell’uomo, giungendo al suo corollario inevitabile, che il progresso è il motore della storia e che esso è per sua natura illimitato, l’Occidente - e, al suo rimorchio, un po’ alla volta, il mondo intero - si è avviato per una strada che non può non condurre all’implosione. Un progresso illimitato è una contraddizione in termini, sia sul piano materiale, sia sul piano spirituale. Sul piano materiale, perché un pianeta dalle risorse limitate non può offrire materia ad esso sufficiente (e una eventuale colonizzazione di altri corpi celesti non farebbe che spostare temporaneamente il problema); sul piano spirituale, perché pretende di spostare sul piano del quantitativo ciò che, per sua natura, non può che essere esclusivamente qualitativo: prima cosa fra tutte, appunto, la qualità della nostra vita, che non si misura in base al P.I.L. o ad altri indicatori economici, anzi non si può misurare  affatto. La libertà, il grande feticcio dei tempi moderni, dopo aver prodotto innumerevoli ecatombi e crudeltà, si è rivelata infine per quel che era: un vuoto simulacro, una parola d’ordine dietro la quale fa capolino la schizofrenia di una ideologia che, per garantire la massima fruizione di essa al maggior numero di persone, giunge al tragico paradosso di toglierne quote sempre più rilevanti ai cittadini, proprio in nome della difesa dell’ordine senza il quale la libertà stessa non può concretamente esistere. Prima, dunque, si è predicato che la società ad altro non serve che ad assicurare la libertà a tutti, intesa come godimento del maggior numero possibile di diritti; poi, per poter mantenere la promessa, si è introdotta una legislazione sempre più restrittiva della libertà medesima, al fine di tutelarne il godimento, si dice, da parte dei cittadini virtuosi che la rispettano, e contro i cattivi cittadini che ne abusano. Fatto sta che l’erosione della libertà colpisce tutti indiscriminatamente e che le istituzioni coercitive (giudici, tribunali, forze dell’ordine) stanno invadendo, su mandato dei parlamenti democraticamente eletti, spazi sempre più ampi della vita privata dei cittadini, guardati ormai tutti con sospetto dalle autorità, quali possibili sovvertitori dell’ordine costituito.Il serpente si morde la coda. Si voleva sempre più libertà per godere di sempre maggiori diritti; ma, nello stesso tempo, si pretende sempre più ordine pubblico, perché l’esercizio della libertà sia possibile: il risultato è la tendenza verso una società poliziesca, sul modello del Grande Fratello orwelliano, dove le cose proibite, non solo in ambito pubblico, ma perfino in quello privato o semi-privato (di fatto, in molti casi la distinzione netta é impossibile) diventano talmente numerose, che al comune cittadino diviene praticamente impossibile conoscerne e rispettarne l’elenco completo, trovandosi così perennemente esposto ai rigori della legge.

Questa è una delle aporie della moderna società “democratica”, esemplarmente messe a nudo nel nuovo libro di Luigi Iannone, «Il profumo del nichilismo. Viaggio non moralista nello stile del nostro tempo» (Chieti, Solfanelli, 2021), preceduto da una ricca presentazione di Alain de Benoist e scandito in quattro agili ma incisivi capitoli che passano in rassegna, con un taglio sociologico che ricorda un po’ gli «Scritti corsari» di Pier Paolo Pasolini, gli aspetto più invasivi e allarmanti di questa tarda modernità: «Il paese dei balocchi», «Civili e democratici», «L’insostenibile leggerezza delle idee», «La comunicazione globale». Il libro è una vera miniera di spunti di riflessione: argomentato con logica stringente, ma anche con ironia e un certo qual humour che ricorda un po’ Cioran, un po’ il Leopardi delle «Operette morali», persegue una tesi che non perde mai di vista, pur nella discussione degli aspetti particolari, e che si può riassumere in questa formula: in nome di una tecnologia disumana che avrebbe dovuto portarci il Paradiso in terra, stiamo costruendo volonterosamente, pezzo per pezzo, giorno per giorno, qualche cosa che finirà per somigliare molto, ma molto, all’Inferno[...] 

L’ideologia del progresso illimitato porta al conformismo di massa e, a sua volta, il conformismo di massa porta all’individualismo di massa; per reagire ai cui effetti distruttivi non resta che innalzare un idolo all’Ordine pubblico, delegandolo a fare da super-guardiano dei cittadini, nei quali non si è voluto, saputo o potuto gettare nemmeno un seme di spirito critico individuale, unica radice del senso di responsabilità che rappresenta la vera garanzia del vivere civile. Abbiamo eliminato i doveri dal nostro codice etico; anzi, abbiamo gettato via l’etica, considerata, al pari della metafisica, una anticaglia del passato; abbiamo creduto che, per garantire i diritti di tutti, fosse sufficiente stabilire una società perfettamente ordinata. Ora ci stiamo accorgendo che l’ordine presuppone il senso del dovere e non solo la coscienza dei propri diritti; ma, invece di comprendere l’errore commesso e tornare a parlare dei doveri, consumisti fino all’ultimo, stiamo preferendo affidarci al “deus ex machina” della legge, che ci salverà dall’anarchia e farà rigare dritto anche i soggetti meno propensi al bene comune. Insomma: se gli uomini non vogliono diventare perfetti con le buone, allora bisognerà renderli tali con le cattive, magari costringendoli sul letto di Procuste; perché è certo che non ci si può accontentare di niente di meno della perfezione. Infatti, una volta tolta di mezzo la scomoda, ingombrante figura di un Dio che tiene l’uomo in un perpetuo stato di minorità e che gli proibisce di mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del Bene e del Male, a chi dare la colpa del fatto che il Paradiso in terra non sia stato ancora realizzato seguendo i dettami della Ragione? Rimane, in mezzo ai fumi dell’individualismo di massa, con tutti i suoi miti e i suoi discutibili riti, una diffusa carenza di senso del bene comune: questo è il problema più urgente che la nostra società dovrebbe affrontare, prima ancora della crisi economica che ci attanaglia: perché questa nasce da quello, e non viceversa. E tuttavia, da dove potrebbe mai scaturire il senso del bene comune, se l’ideologia dominante non ha fatto altro che battere e ribattere sul tasto dei diritti privati, della libertà privata, dell’edonismo individuale? Se non ha fatto altro che insegnare che la società esiste per garantire al singolo individuo il massimo della libertà possibile, del profitto possibile, della felicità possibile? Si raccoglie quel che si semina.

Francesco Lamendola   


 

 

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