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Ma il problema è l'omosessualità o l'omofobia? PDF Stampa E-mail

13 luglio 2012

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Il testo è una sintesi dell’articolo apparso su Rassegna di Arianna del 5-7-2012 (N.d.d.)

Mi diceva ieri un’amica, mamma di un bambino di ventuno mesi, che, se non stai attento, in libreria ti rifilano fiabe per bambini che vorrebbero presentare l’omosessualità come la cosa più bella e naturale del mondo e l’esistenza di famiglie formate da una coppia di omosessuali come una cosa del tutto equivalente a quella delle famiglie fondate sull’unione tra uomo e donna. Si tratta di libretti illustrati, che sono mescolati insieme a tanti altri sugli scaffali, e che non subito rivelano la loro intenzione recondita (ma neanche tanto): per esempio, la storia - che si dice tratta da un fatto vero - di due pinguini dello zoo, maschi entrambi, che s’innamorano l’uno dell’altro e che cominciano a covare un sasso come fosse un uovo: del che accortosi un guardiano di buon cuore, il sasso viene sostituito da un uovo vero e così i due pinguini omosessuali finiscono per avere un piccolo e per mettere su felicemente una “famiglia”.

Recentemente ha fatto anche parlare di sé la figlia del cantautore Roberto Vecchioni, la quale, legata sentimentalmente, da cinque anni, a un’altra donna, è andata in Olanda (qualcuno parla, sgradevolmente ma efficacemente, di “turismo procreativo”, non certo alla portata di tutte le borse) a sottoporsi alla fecondazione eterologa e poi è tornata in Italia per dare alla sua compagna una coppia di gemelle: spiegando nell’intervista a un settimanale illustrato come una famiglia nasca dall’unione profonda e sincera tra due esseri umani, indipendentemente dal loro sesso. Il tutto corredato da foto ammiccanti, in una bella casa con giardino, assumendo pose da diva e non senza la benedizione di mamma e papà, felicissimi per l’arrivo delle nipotine.

Non solo, da anni, il cinema, la televisione, la letteratura, il giornalismo stanno conducendo una battaglia continua, ora sommessa, ora sguaiata, per assuefare il cittadino comune all’idea che le unioni omosessuali sono la cosa più naturale che si possa immaginare, e che non vi è alcuna differenza fra esse e quelle eterosessuali; ma, da qualche tempo, si è registrato un salto di qualità - si fa per dire - in questa crociata “libertaria”, ponendo al centro del dibattito non l’omosessualità, ma le reazioni che essa suscita e stigmatizzando l’inciviltà di quelle persone che mostrano comportamenti “omofobici”, anche solo a livello verbale. Sia ben chiaro: l’intolleranza fisica è sempre condannabile e, pertanto, le aggressioni o gli insulti ai danni degli omosessuali sono certamente qualcosa di squallido e di meschino, che va condannata con forza; ma da qui a dire che non si ha il diritto di esercitare una critica verso il dilagare del modello omosessuale, ce ne corre. Rifiutiamo fermamente il ricatto secondo il quale non accettare l’equiparazione, anche giuridica, delle coppie omosessuali alle famiglie formate da un uomo e una donna sarebbe una forma di intolleranza e, magari, di violenza e rivendichiamo il diritto al dissenso nei confronti di questa cultura basata sul totale relativismo etico. Quel che fanno le persone sotto le lenzuola, ne siamo profondamente convinti, è cosa privata, che attiene alla sfera di libertà del singolo: in questo senso, non siamo minimamente interessati a conoscere i dettagli della vita intima di personaggi omosessuali che hanno deciso di fare “outing” e ne faremmo volentieri a meno, grati se ci venissero risparmiati; ma che tale esibizione sia finalizzata a creare l’accettazione di un nuovo modello di famiglia, in cui il sesso dei genitori è indifferente e il fatto di avere dei bambini è un loro “diritto”, da realizzare in ogni modo, anche in barba alle leggi vigenti in Italia, così come si ha il diritto di acquistare un oggetto o di prenotare una vacanza, questo lo riteniamo subdolo e inaccettabile.

La cultura permissiva vive, da sempre, di ricatti psicologici e morali; chi non ricorda come, nelle grandi città, qualche anno fa era impossibile andare per strada senza essere fermati da persone volonterose e bene intenzionate che chiedevano soldi per questa o quella comunità di recupero per tossicodipendenti, le quali, davanti alla minima esitazione, la mettevano subito in questi termini: «Ma lei, per caso, ha qualcosa contro i tossicodipendenti?». Il ricatto è questo: se non si approva se non si partecipa, se non si aderisce, allora si è contro: e si passa dalla parte dei cattivi, degli intolleranti, degli oscurantisti; passaggio automatico, immediato, inesorabile, che equivale a una sentenza di condanna morale. Si arriva, così, a ribaltare la frittata e a far sentire il cittadino comune dalla parte del torto, a instillare in lui un senso di cattiva coscienza; in fondo, che cosa chiedono queste minoranze, se non il riconoscimento del loro diritto ad esistere, ad essere quello che sono? Tutta la cultura moderna, figlia dei Lumi e della Rivoluzione francese, parte dal dogma dei diritti: tutti hanno diritto a tutto, evviva la libertà; e chi non è d’accordo, è un miserabile reazionario, meritevole - per usare l’eloquente espressione di uno che di queste cose s’intendeva, Lev Trotzkij - di essere gettato nell’immondezzaio della storia (come se la storia avesse piani nobili e immondezzai; ma questo è un altro inevitabile portato dell’idea salvifica di Progresso).

Nei secoli passati, l’omosessualità era vista non solo come un disordine biologico e morale, ma anche come un gravissimo fattore di dissoluzione della società: per questo i nostri antenati erano così severi nel reprimerla; per questo il sommo Poeta mette i sodomiti nel profondo dell’Inferno, sferzati da una pioggia di fuoco (pur senza mancare di rispetto e di umana simpatia per singole persone, come il suo vecchio maestro Brunetto Latini). Si può e si deve biasimare la durezza con cui la società medievale puniva gli omosessuali, ma bisognerebbe essere cauti nel biasimare il punto di vista dal quale essa partiva: se la stabilità è il fondamento di una vita comunitaria pacifica e ordinata, allora è un fatto che l’omosessualità mina alla base tale fondamento. Inoltre, ai nostri giorni la cultura omosessuale non si accontenta più di vedersi riconosciuto il diritto alla propria diversità; vuole che le unioni omosessuali vengano equiparate, in tutto e per tutto, alla famiglia; ed esige anche il corollario di ciò, ossia l’adozione di bambini o la fecondazione eterologa (per le donne lesbiche) in modo da avere dei figli senza dover passare per la via naturale, che è l’unione sessuale fra uomo e donna; vuole, dunque, che questi bambini crescano con due mamme o con due papà, senza la presenza genitoriale del sesso opposto, considerata come cosa del tutto irrilevante; e vuole, infine, che tutto questo venga accettato, approvato e sottoscritto con perfetta naturalezza, come cosa assolutamente ovvia e scontata.Be’, andiamoci piano.

A noi sembra che la campagna per il rovesciamento della prospettiva, tendente a far passare come problema non il problema stesso (l’omosessualità e le cosiddette famiglie gay), ma la percezione del problema, sia il prolungamento di una impostazione unilaterale della questione della libertà, presente già nel padre nobile del pensiero liberale, John Locke. Questi, come è noto, pone la proprietà privata come uno dei diritti fondamentali dell’uomo, e sappiamo a quali aberrazioni ha portato la sua assolutizzazione: nella più rigorosa delle società liberali, quella statunitense, ammazzare un ladruncolo che si intrufola nel mio guardino per rubare quattro mele non è un reato, perché, sparandogli, io non ho fatto altro che difendere il mio sacrosanto diritto alla proprietà, sancito dalla Costituzione. Ebbene, il “diritto” a equiparare una coppia omosessuale a una famiglia e ad avere dei bambini (assimilabile, per questo verso, ad altri “diritti” alla maternità, come quello delle donne anziane che vogliono diventare mamme anziché fare le nonne) è, anch’esso, una estensione del diritto alla proprietà: in questo caso, alla proprietà dei bambini. Quel che conta non se è questi bambini cresceranno in un ambiente idoneo, ma il diritto degli adulti ad averli. Si sostiene che, per un bambino, quel che conta è l’amore dei genitori e non il sesso al quale essi appartengono: ragionamento aberrante, perché parte da una premessa giusta (quel che conta è l’amore dei genitori) per giungere, in maniera assolutamente illogica, a una conclusione assurda (i genitori possono essere tranquillamente due uomini o due donne). Si cita anche il caso dei bambini orfani di padre e di madre, cresciuti senza la presenza di una figura genitoriale: altro confronto privo di senso; qui non si tratta di avere un solo genitore, ma di averne due del medesimo sesso; di crescere con due papà o con due mamme che si baciano, si accarezzano, fanno l’amore e questo sotto gli occhi dei figli. E la psicologia, la regina delle cosiddette scienze umane, non ha niente da dire al riguardo? Va tutto bene, è tutto a posto?

Qui la posta in gioco, si badi, non è l’omosessualità, che è sempre esistita e sempre esisterà; ma il suo statuto sociale ed i suoi corollari legislativi, in particolare per quanto attiene alla famiglia e alla prole.

 

Francesco Lamendola

 


 

Commenti
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Giovanni Marini (Registered) 13-07-2012 23:24

Un ottimo articolo. Io però non darei sempre la colpa all'Illuminismo per tutte le deviazioni del mondo moderno.
Dov'è che gli illuministi hanno detto che bisogna dare tutto a tutti?
Il tempo ci cambia a volte in meglio altre in peggio. Poi non dimentichiamo che i gay costituiscono un forte e organizzato gruppo di pressione.
daniela (Registered) 15-07-2012 08:50

Sono d'accordo con la tesi dell'autore. In particolare vorrei sottolineare l'impressione che si stia verificando, nella nostra realtà, una eccessiva assolutizzazione del diritto di proprietà. I figli non possono mai essere l'espressione di un diritto degli adulti ad averli. I bambini non possono essere proprietà degli adulti. Dovremmo tutti tenerlo bene in mente, sempre e comunque.
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