Avviso Registrazioni

Scusandoci per l'inconveniente, informiamo i nuovi utenti i quali desiderino commentare gli articoli che la registrazione deve essere fatta tramite Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Login Form






Password dimenticata?
Nessun account? Registrati

Cerca


 
  SiteGround web hostingCredits
Disobbediamo alla Grande Truffa PDF Stampa E-mail

1 settembre 2007

Active Image

In agosto, mese in cui dovrebbero acquietarsi le preoccupazioni e le ossessioni quotidiane, non si è parlato d’altro che di tasse. Le tasse, questa croce che affligge l’italiano medio e lo accomuna ai Montezemolo, ai Calearo, ai Bossi, ai Berlusconi, ai Veltroni e al proprio vicino di casa. Una condanna che rassicura perché trasversale, unanime, ecumenica. Una paranoia nazionale, come se noi Italiani non avessimo altro pensiero che il dolore di metter mano ai cordoni della borsa e pagare lo Stato. L’autobiografia della Nazione? Il vittimismo fiscale.
Intendiamoci: la percentuale dei sudati guadagni che giriamo all’erario è alta, non c’è dubbio. E lo Stato moderno, come non mancano di puntualizzare dalle loro saccenti cattedre i liberaloni nostrani (Ostellino & company), da strumento dell’economia capitalistica qual è, si fonda sul contratto fiscale. Di qui il tic che scatta ogni tot anni: “sciopero fiscale!”. Bossi, tribuno sulla via del tramonto, ha per la centesima volta sparato l’idea (un colpo a salve, figuriamoci). Il rampante Calearo gli ha fatto eco, facendosi portavoce del malcontento del ceto imprenditoriale (che nel suo Nordest come nel Mezzogiorno, non è certo estraneo all’evasione di massa, come si sa). Montezemolo ha posto la pressione fiscale come priorità nazionale, dando un facile assist a Veltroni che ci ha ricamato sopra il suo compitino, un manifesto in dieci punti servito a caldo alla Confindustria e alla borghesia produttiva. Berlusconi è rimasto in disparte. Strano? Non più di tanto. A lui non piace mettersi in fila e fare coro, lui vuole la parte di protagonista.
Questa ben orchestrata campagna contro il fisco rapace, come prima quella contro sprechi e privilegi della politica, è una truffa. L’ennesima. Sottile e ben congegnata, di sicuro successo perché fa leva sull’atavico istinto italiota a fregarsene del pubblico e a interessarsi solo del privato, del proprio privato. Più soldi mi restano in tasca, tanto meglio per me e tanto peggio per gli altri. Qui è il vero scandalo: il mancato ritorno in termini di servizi pubblici, che sborsando il 45% del nostro reddito dovrebbero essere di un’efficienza svedese.
Ma è una truffa per un motivo ancora più profondo e determinante. Noi sudditi, prima che dello Stato oppressore, siamo ostaggi del mercato che ne è l’indiscusso padrone. Siamo ingabbiati nel nostro posto di lavoro, che ci ruba il tempo e la vita, impoverendoci sempre di più sia in termini monetari sia, soprattutto, esistenziali. E siamo dipendenti da quella banda di sequestratori organizzati che è il sistema bancario, che ricatta noi e lo Stato in combutta con le Borse e le agenzie di rating (che Dio le stramaledica!). Noi, chiaramente, ci lasciamo sodomizzare volentieri, rimbambiti come siamo dal miraggio dei soldi facili, degli investimenti, degli alti tassi e delle speculazioni comodamente fatte dal pc di casa.
Gridare alla disobbedienza fiscale è cavalcare la solita tigre di carta, proclamando sfracelli per poi lasciare tutto com’è. Togliamo il nostro denaro dalla banche. Abbandoniamo i sindacati che non pongono come loro primo punto la riduzione dell’orario di lavoro (cioè tutti). Lasciamo perdere titoli, azioni, obbligazioni, fondi e tutto il barnum di espedienti ideati per rapinare i poveri diavoli e finanziare i capitalisti con le pezze al culo. Denunciamo la gigantesca montagna di balle su cui si regge l’economia. Scioperiamo contro la Grande Truffa: questa è vera rivolta che fa male. Non i fucili scarichi di Bossi e tanto meno i pelosi ammonimenti di Montezemolo.

Alessio Mannino

Commenti
NuovoCerca
Solo gli utenti registrati possono inviare commenti!
 
< Prec.   Pros. >