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Nonno Attilio PDF Stampa E-mail

27 Novembre 2012

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Tratto da Appelloalpopolo del 22-11-2012 (N.d.d.)

Erano venuti a prenderlo una gelida mattina di novembre 1942. Aveva appena fatto in tempo a vendere la “mussa” (l'asina) assieme al carretto con cui consegnava legna e carbone per essere portato via dal camion dei fascisti. Assieme a lui una dozzina di altri uomini che dovevano essere deportati, probabilmente padri di famiglia come lui. Lasciava così senza sostentamento la famiglia, con mia madre (in quei giorni undicenne) figlia più “vecchia” di quattro fratelli. Sarebbero stati tempi molto duri per tutti. Impenitente socialista (nulla a che vedere con le degenerazioni successive della Milano da bere, mi preme ricordare), non si era mai voluto fare la tessera del fascio. E alla fine i fascisti gli presentarono il conto: campo di concentramento [...] 

Dove fosse stato internato non lo si seppe mai, né lui mai lo disse. Accennò solo qualche volta ai doberman dei nazisti che in più di qualche occasione avevano sbranato dei prigionieri. In sua assenza la famiglia aveva dovuto arrangiarsi come meglio poteva. Mia nonna e mia madre furono costrette a lavorare in fabbrica per portare a casa qualche soldo. Poi la guerra finì, i campi di concentramento vennero liberati, ma di lui nessuna traccia. Passarono mesi dalla Liberazione ed ancora nessuna notizia, né di lui né dei suoi compagni di sventura. Ormai era dato per morto, una delle tante vittime senza nome della barbarie nazista e fascista.

E invece un giorno dell'autunno '45 ricomparve. Fu grande festa. A titolo di risarcimento si era portato via due pesantissime terrine di porcellana. Io me le ricordo ancora. Bianche, rotonde e spesse, con la base abbastanza piccola e l'ampia apertura avevano lati dritti fino al bordo di spessore doppio. Sul retro c'era il marchio inconfondibile: l'aquila della Luftwaffe e qualche scritta tedesca che non ricordo, tutto stampigliato in inchiostro blu. Per me bambino che non aveva conosciuto gli orrori della guerra quella era la prova che il nazismo non era solo un racconto dei “vecchi”. I nazisti avevano deportato mio nonno e lui gli aveva portato via le due terrine. Centinaia di chilometri a piedi verso casa, come la maggior parte degli internati fece, con quei due pesantissimi trofei. Semplicemente grandioso.

In quanto a portare a spasso oggetti spaventosamente pesanti se la cavò bene anche dopo. Me lo ricordo ancora sulla sua bicicletta da fornaio: nera, pesante, con il telaio doppio, un enorme portapacchi davanti ed uno altrettanto grande dietro e le ruote piccole (penso fossero da 22 contro le moderne 28). Quando veniva a conoscenza che da qualche parte (non importa quanto distante) c'era un paracarro o una pietra miliare divelta da un incidente o da lavori stradali lui non perdeva tempo e si dirigeva in bici a recuperare il prezioso pezzo di trachite per portarselo a casa. Me lo ricordo ancora seduto a battere con la mazzetta sullo scalpello che doveva ridurre il masso a dimensioni accettabili per farne un pezzo del muro di casa sua. Ogni tanto la mazzetta scivolava e la mano sanguinava: lui leccava il sangue, bestemmiava e proseguiva con l'opera. Fu così che si costruì la casa. Una casa di pietra, rara da queste parti dove i mattoni sono sempre stati il materiale principale per l'edilizia. E me lo ricordo quando dopo aver pranzato, ancora seduto sulla sedia, si appoggiava al palmo e si appisolava a bocca aperta. Si alzava sempre prestissimo e non tollerava intrusioni in quell'attimo di riposo. Se ne rese conto anche la vespa che lo continuava ad infastidire: finì masticata. D'accordo, non fu una decisione brillante quella di masticare la vespa, perchè questa ricambiò il favore pungendolo sulla lingua. E si spaventarono un po' tutti quando videro come si era conciato. Ma lui bestemmiò un quarto d'ora in più e risolse la questione così.

Un altro episodio che mia nonna mi raccontò fu quando andarono al cinema a vedere un film di guerra. Mia nonna insistette parecchio prima di convincerlo. Film? Roba che non gli interessava. Ma se è di guerra, boh, vediamo cos'è un film di guerra. Pagano, entrano e si siedono. Inizia il film. Le scene che si succedono evidentemente rinverdiscono le sue memorie. Non aveva voluto mai parlare della sua permanenza nei campi di concentramento, ma quel film stava facendo affiorare immagini mai dimenticate. Finì per diventare una questione sua personale tra lui e gli attori che personificavano i ruoli dei nazisti, e non smise di apostrofarli pesantemente per tutta la durata della proiezione. Ad un certo punto mia nonna per calmarlo lo convinse ad uscire. Fine del film, e fine della sequela di improperi. Non si era mai vergognata così tanto, mi confessò [...] 

Quando tornò dal campo di concentramento si mise a fare quei i mestieri che gli uomini semplici di una volta sapevano fare: muratore e agricoltore. Nessuna specializzazione, solo buon senso e tanta fatica. Nessuna scuola, a parte quella della vita. Una volta era così: ci si arrovellava per cose concrete senza andare in cerca del “quantum leap”, per dirla in linguaggio forbito. Nessuna priorità a parte quelle vitali (la casa, il mangiare e vestire) e non c'era quell'affannosa ricerca di quei “miglioramenti” (qualsiasi questa cosa possa significare, dal PIL allo status symbol) che da un bel pezzo sono diventati il leit-motiv della vita moderna. All'epoca avere una vita “migliore” significava avere abbastanza da riempirsi la pancia. Oggi invece la pubblicità della CNA ci ammonisce: “noi abbiamo vissuto meglio dei nostri padri, e i nostri figli dovranno vivere meglio di noi”, in un crescendo vorticoso di “miglioramenti” obbligatori. Secondo questa proiezione siamo tutti destinati a diventare miliardari che passano le loro giornate sulla tolda di un lussuoso yacht bevendo millesimato, e nessuno lavorerà più. Morì con ancora tutti i suoi denti in bocca, un primato di cui sicuramente io, pur ancora molto più giovane di lui adesso, non posso menare vanto alcuno. Sono un portatore sano di falsità odontoiatriche, destino molto comune al giorno d'oggi. Lui invece con i suoi denti piccoli e gialli spaccava le ossa di pollo per succhiarne il midollo. Un lusso che mi costerebbe un mutuo da versare direttamente nel conto corrente del mio dentista. Oggi poi le ossa di pollo non si danno neanche più ai cani: un altro segno di come sono cambiati i tempi.

Alla fine, avendo resistito con tutte le sue forze alle forze distruttive della modernità del “secolo breve” di Hobsbawm ne venne comunque infettato al punto di morirne: il tumore ai polmoni non gli lasciò scampo. Alle volte le battaglie più dure non sono quelle contro i nemici visibili come gli uomini che lo internarono. Alle volte la vittoria è solo apparente ed il nemico si prende silenziosamente la rivincita. “Il carcinoma del polmone è la neoplasia con il maggior tasso di incidenza e di mortalità nel mondo.. maggiore tasso d'incidenza nelle popolazioni esposte all'inquinamento proveniente …dall'esposizione soprattutto ai fumi provenienti dalla combustione del gasolio e dei carburanti derivati dal petrolio.” I nazisti e fascisti avevano perso, ma aveva vinto la modernità, che richiedeva adeguati contributi [...]

In quei giorni la guerra stava avviandosi verso la sua conclusione, con vinti da una parte, vincitori dall'altra e la modernità nel mezzo. Nonno Attilio sopravvisse al nazismo e al fascismo, ma non sopravvisse alla modernità.

Tonguessy     

 

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